Google, aria di controllo e di gendarmi
Quanta confusione e quanta ignoranza nel palazzo di giustizia di Milano. I pm di lassù hanno iscritto tra gli indagati due responsabili di Google Italia: non avrebbero vigilato sulla immissione dei video in rete, in particolare su quello delle sevizie a un disabile, in una scuola di Torino. Molti hanno obiettato che essendo milioni i video sparsi per i server in giro per il mondo, un controllo a priori su quanto viene caricato da utenti singoli è impossibile a farsi. Esistono infatti ottimi software per leggere le parole, e sono quelli usati per esempio dalla Cina ma anche dai filtri anti-spam per bloccare i messaggi indesiderati della nostra posta. Ma non c'è software intelligente capace di leggere e interpretare le immagini, estraendone il senso. Se poi dovessero farlo gli umani, ce ne vorrebbero milioni.
Questa è una critica vera ma debole perché accetta l'idea sbagliatissima dei magistrati di Milano che i siti web siano assimilabili alla stampa (visto che «pubblicano») e che dunque i loro titolari sarebbero responsabili, penalmente. Una sentenza valdostana sostenne mesi fa la stessa discutibile tesi. Ma nel diritto, operare per analogia rivela pigrizia mentale e scarsa conoscenza del mondo e in genere porta a errori pericolosi. Comunque l'analogia, per quanto stiracchiata, potrebbe forse valere per i siti d'autore, a carattere prevalentemente informativo, quando non esplicitamente giornalistico, mentre Google Video, così come YouTube, non sono siti, ma piattaforme di rete, servizi web con cui un'azienda privata offre ai singoli utilizzatori la possibilità, gratuita o a pagamento, di depositare in pubblico i loro materiali. Di essi gli autori, e solo loro, devono rispondere. Da tempo del resto si è riconosciuto che gli Internet Provider, i fornitori di connettività e di ospitalità delle pagine, non possono essere chiamati a controllare i contenuti, ma sono solo obbligati a rimuoverli, rivelandone anche gli autori, qualora ci sia un reato, ma solo dopo, non prima. Vale in questo caso la stessa irresponsabilità riconosciuta alle tipografie e alle edicole. Guai infatti se la collettività attribuisse a dei privati il compito di controllare, magari con loro criteri, i contenuti dei libri, delle riviste, dei video su cassette o in rete.
I magistrati di Milano, peraltro, ben esprimono, senza volerlo, il desiderio di controllo sociale che i poteri, tutti i poteri, e i governi, quasi tutti, vorrebbero esercitare verso un fenomeno sociale che oltre a essere tecnologico ha dato parola, voce e video a circa un miliardo di persone che prima non l'avevano. Di fronte alle conversazioni dilaganti per il pianeta Terra, la prima reazione è di spavento e orrore. E ogni espressione negativa o delittuosa (ce ne sono moltissimi in rete, così come nei gabinetti dei treni) offre loro un'ottima occasione non già per difendere i deboli punendo i violenti, ma per limitare la voce di tutti.
«Tira aria di controllo e di gendarmi» nella rete italiana, ha detto ieri il sottosegretario Beatrice Magnolfi, durante un convegno pisano sulla partecipazione civica per via elettronica. Come darle torto?
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