Un brevetto sospeso
Presentate due mozioni a Bruxelles per riaprire il «dossier» sull'applicazione delle norme europee sui brevetti al software
La brevettabilità del software è un tema scottante, in Italia come in Europa, poichè in un mondo iperconnesso e digitalizzato ha una evidente rilevanza economica. Si pensi al grande business del software per i cellulari e alle tecnologie embedded in automobili e lavatrici; ma anche allo svilupo di Internet, del wi-fi, della tv digitale. Funzionano col software. Eppure i governi sembrano dargli meno importanza di quanto facciano le imprese, rischiando così di fare scelte che avranno effetti disastrosi per le economie nazionali. Effetti disastrosi perché «ottenere dei brevetti è diventato per molte persone ed imprese un fine a se stesso, non certo per proteggere un investimento in ricerca e sviluppo, ma per creare guadagni vendendo licenze a imprese che, in realtà, fabbricano e vendono prodotti senza neanche essere a conoscenza dell'esistenza dei brevetti in questione». Questa dichiarazione non viene da un sito noglobal, ma da un dirigente della Cisco System americana in una testimonianza alla Commissione federale per il commercio degli Usa, a Washington, il 28 febbraio 2002. Il fatto che da «strumento per proteggere il progresso della scienza e delle arti applicate» il brevetto stia diventando strumento di monopolio del mercato per poche industrie multinazionali in grado di pagare «law firms» specializzate nella tutela dei diritti brevettuali e nel cross-licensing (se divento comproprietario delle tue licenze non ti faccio causa qualora vìoli la mia proprietà intellettuale) dovrebbe mobilitare tutti quelli che dicono che la privatizzazione del mondo, e delle idee, non è accettabile, e ad esercitare un controllo democratico sulle istituzioni che «fanno» le regole della proprietà intellettuale, come la Wipo.
Ma la politica è spesso disattenta alle questioni che non riguardano la sopravvivenza legislativa di singoli politici e amministratori. Eppure qualcuno ci prova. Come Attac, come Eurolinux, come alcuni parlamentari europei convinti che oggi si combatte una battaglia centrale intorno alla privatizzazione della conoscenza espressa nel software. E' per questo che dopo il rinvio della discussione di merito a lunedì prossimo da parte del Consiglio dei ministri europei, con due distinte petizioni sia l'ala sinistra del parlamento europeo (Verdi e Comunisti) che i Radicali hanno invocato la norma del parlamento europeo che prevede di riaprire il dossier e far ripartire il processo legislativo, chiedendo il supporto di quegli stati che non avendo una forte industria nazionale sono consapevoli che gli investimenti per l'innovazione tecnologica vanno da est verso ovest, oltre l'atlantico, e di quelli che sanno che la brevettabilità del software impedirebbe innovazione e ricerca a chi abbonda di capitale intellettuale ma difetta di capitale finanziario (le piccole e medie imprese).
Le associazioni invece chiedono di ridurre gli ambiti della brevettabilità come «principio di precauzione» per impedire cioè che aziende come Microsoft possano minacciare le pubbliche amministrazioni di querelarle per violazione dei loro brevetti.
E tuttavia l'argomentazione più forte a favore della non brevettabilità delle idee incorporate nel software è un'altra. Come dice la filosofa Maria Grazia Pievatolo, «il carattere pubblico dei linguaggi che girano sui computer non è un fatto di specialisti perché segue lo stesso concetto della pubblicità della parola, cioè la possibilità di discutere le idee, metterle in pratica, trasformarle in strumenti, ed ha a che fare con la possibilità stessa di fare scienza e cultura. Se i codici che usiamo fossero brevettati da qualcuno non sarebbero possibili discorsi comuni e mondi comuni: non sarebbero possibili una società, un diritto, un'economia, una cultura comuni» (www.nosoftwarepatents.com». Un codice condiviso è il punto di partenza per cambiare il mondo in meglio.
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