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Per fare un albero

«la civiltà indiana si è caratterizzata per il fatto di aver attribuito alla foresta e non alla città la sua fonte di rigenerazione, materiale e intellettuale...».
25 agosto 2005
Vandana Shiva

Vandana Shiva Fino a non molto tempo fa gli indiani si sono identificati con l’Aranya Sanskriti, la Civiltà della Foresta. Secondo l’eminente poeta Rabindranath Tagore il carattere distintivo della cultura indiana consiste nell’aver definito la vita nella foresta come la più alta forma di evoluzione culturale.
Nel suo Tapovan Tagore scrive che «la civiltà indiana si è caratterizzata per il fatto di aver attribuito alla foresta e non alla città la sua fonte di rigenerazione, materiale e intellettuale...».

E ancora: «La cultura scaturita dalla foresta è stata influenzata dai diversi processi di rinnovamento della vita, processi che sono sempre in atto nella foresta e variano da specie a specie, da stagione a stagione per aspetto, suono e odore. Il principio unificante della vita nella diversità, del pluralismo democratico è diventato quindi il principio della civiltà indiana».
Oggi incontriamo difficoltà nel proteggere i nostri sistemi fondamentali di sostentamento della vita e la nostra identità di fondo in quanto civiltà proprio perché abbiamo sacrificato, a beneficio delle categorie riduzioniste e che si escludono a vicenda del pensiero occidentale, il principio unificante della vita nella diversità e del pluralismo democratico che prelude alla coesistenza. La tigre è contrapposta alle popolazioni tribali, le popolazioni tribali sono contrapposte agli alberi. La reciprocità e il rapporto vengono sostituiti dall’antagonismo, dalla polarizzazione e dall’esclusione che minacciano tutto: le popolazioni tribali, la tigre e la biodiversità della foresta.

Questa polarizzazione e il conflitto tra la protezione della specie umana e delle specie non umane nelle nostre foreste sono apparsi evidenti in due aspri dibattiti che hanno assorbito il Paese negli ultimi mesi: uno sulla scomparsa della tigre in India, Paese nel quale le tigri da 40.000 che erano un secolo fa sono ormai meno di 3.000; l’altro sulle tribù schedate (gruppi riconosciuti e che hanno specifici diritti garantiti dalla Costituzione indiana) e il Riconoscimento della Legge sui Diritti della Foresta del 2005. Le popolazioni tribali, poco più dell’8% della popolazione dell’India, vengono allontanate dalle loro abitazioni nella foresta per far posto alle dighe, alle miniere e alle autostrade.

In un momento in cui gli ambientalisti e gli attivisti dei diritti tribali dovrebbero fare fronte comune per proteggere le nostre foreste e le diverse specie che le popolano dal saccheggio ad opera delle società minerarie, dei cacciatori di frodo, dalle mafie del legno e della terra, in realtà passano più tempo ad accusarsi a vicenda che a combattere il comune nemico.

In questioni vitali quali la sopravvivenza delle nostre foreste e del popolo delle foreste, abbiamo bisogno di comunità in grado di decidere e di sistemi normativi e di tutela statali.

Le leggi coloniali indiane sulla tutela delle foreste e della fauna selvatica erano basate sui pregiudizi occidentali secondo cui la specie umana e le specie non umane non possono coesistere, i parchi debbono essere disabitati e dove ci sono insediamenti umani non deve esserci biodiversità. Siamo in presenza della dottrina giuridica della Terra Nullius che è stato uno dei pilastri della colonizzazione. Se terra e foreste non fossero state conservate non sarebbero state «sviluppate» e quindi, stando al paradigma sulla proprietà di Locke, non sarebbero state di proprietà degli originari abitanti. Durante la colonizzazione dell’Australia il governo britannico si servì del concetto della Terra Nullius per giustificare l’espropriazione digli indigeni che vivevano lì da almeno 60.000 anni.

I coloni britannici non riconobbero che la terra veniva utilizzata in quanto gli indigeni utilizzavano la terra in maniera differente. Di conseguenza i diritti degli indigeni furono ignorati. Tuttavia come ebbe a statuire l’Alta Corte nel 1992 in relazione al famoso caso Mabo, il non riconoscimento non estingue i diritti. Il Native Title Act approvato in Australia nel 1993, al pari del proposto Tribal Act in India, riconosce la continuità dei diritti.
Le tradizioni indigene indiane poggiavano sulla diversità, sul pluralismo, sulla multifunzionalità, sulla non esclusività. La legge che riconosce i diritti tribali rafforzerà la protezione delle foreste e della fauna selvatica garantendo la sicurezza dei diritti e l’intervento delle guardie forestali. Le popolazioni tribali insieme alle autorità forestali debbono proteggere congiuntamente le foreste dall’usurpazione. Non vi sono alternative.

Cittadini e governo debbono collaborare.
Sistemi economici e stili di vita fondati sulla conservazione del patrimonio forestale hanno tenuto in vita sia le popolazioni tribali che le foreste. Se le popolazioni tribali e le foreste sono diventate più povere non è perché la biodiversità e la vita nelle foreste non generano ricchezza, ma perché quella ricchezza è stata espropriata da forze commerciali esterne.
L’agricoltura biodiversificata e le economie pastorali possono essere elementi sostenibili degli ecosistemi forestali. La produzione non sostenibile su scala commerciale mediante l’impiego di trattori, macchinari pesanti, sostanze chimiche tossiche non è una attività forestale sia che venga svolta da mafie che si impadroniscono della terra sia che venga svolta da comunità tribali. La tutela della foresta è l’autentica misura degli stili di vita e delle culture indigeni.

Nel suo The Agricultural Testament, Sir Albert Howard scrive: «nell’agricoltura asiatica ci troviamo al cospetto di un sistema di coltivazione contadina che, in buona sostanza, si è andato subito stabilizzando. Quanto sta accadendo oggi nei piccoli campi dell’India e della Cina ha avuto luogo molti secoli fa. Le pratiche agricole dell’oriente hanno superato la prova suprema, sono permanenti quasi come quelle della foresta, della prateria o dell’oceano primordiali».

Questi principi di produzione perenne possono essere integrati nella gestione forestale diversificata e multifunzionale che conserva specie diverse e protegge tanto le foreste quanto gli stili di vita dei popoli delle foreste. Se vogliamo possiamo fare in modo che le tigri, le popolazioni tribali, gli alberi e tutte le altre forme di vita siano protette e possano continuare il loro viaggio evolutivo in pace e armonia.

Qualora non dovessimo riuscirci perché i nostri obiettivi poco lungimiranti ci rendono ciechi al punto da non farci vedere i nostri più grandi doveri, distruggeremo gli ecosistemi che sostengono la nostra vita e distruggeremo la vita e le culture delle comunità indigene che dispongono delle conoscenze di cui l’umanità ha bisogno per effettuare la transizione verso un sistema di vita sostenibile su un pianeta estremamente fragile in tempi estremamente fragili.

Note: Vandana Shiva, scrittrice e attivista dei movimenti femminili e di tutela ambientale, ha ricevuto il Right Livelihood Award (una sorta di premio Nobel del settore) nel 1993.
© IPS
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

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