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Veleni ventennali nell'area industriale di Tito scalo

Zona industriale di Tito scalo (PZ): sito d'interesse nazionale. Partendo da questo assunto, si dà il via ad una serie di ricostruzioni, valutazioni e quesiti, molti ancora irrisolti, che vale la pena approfondire
27 marzo 2009
Pietro Dommarco

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Partendo dall'inizio, è necessario citare l'importante Decreto Ministeriale dell'8 Luglio 2002, emanato dal Ministero dell'Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare – pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 231 del 2 Ottobre 2002 – che stabilisce la perimetrazione del sito d'interesse nazionale in oggetto.

Il Ministero dell'Ambiente, considerando il “perimetro al fine di censire tutte le aree potenzialmente contaminate, salvo l'obbligo di procedere alla bonifica delle aree esterne al perimetro che dovessero risultare inquinate” e “che sulle aree perimetrate sarà effettuata la fase di caratterizzazione per accertare le effettive condizioni di inquinamento al fine di pervenire alla individuazione del perimetro definitivo”, decretò – per l'appunto – che “Le aree da sottoporre ad interventi di caratterizzazione ed agli eventuali interventi di messa in sicurezza d'emergenza, nonché, sulla base dei risultati della caratterizzazione, ai necessari interventi di messa in sicurezza, bonifica, ripristino ambientale e attività di monitoraggio” e che “L'attuale perimetrazione non esclude l'obbligo di bonifica rispetto a quelle porzioni di territorio che dovessero risultare inquinate [...]”.

Dalla documentazione in possesso degli Enti Ministeriali citati, che hanno portato all'emanazione del Decreto – notificato previa registrazione al Comune di Tito, alla Provincia di Potenza, alla Regione Basilicata ed all'Arpab (Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Basilicata) – si presuppone l'urgenza di intervento circa la bonifica di un'area industriale della Basilicata fortemente a rischio. A supporto di questo, sono apparsi – nell'agosto del 2005 – alcuni articoli pubblicati su “La Gazzetta del Mezzogiorno” a firma di Gianni Rivelli. Il giornalista scrive di “situazione, in alcuni casi, drammatica”, oltre che della presa di posizione di un'azienda presente nel perimetro (Daramic S.r.l.), autodenunciatasi, comunicando di aver causato “un pesante stato di contaminazione della falda e del terreno da tricoloroetilene, tricloroetano, dicloroetilene, bromodiclorometano, cloroformio, bromoformio, cloruro di vinile monomero, esaclorobutadene, tetracloroetilene, sommatoria organoclorurati e idrocarburi totali”. Queste appena citate sono da considerarsi sostanze “tossiche, cancerogene e persistenti”.

E' chiaro che il tasso di inquinamento riscontrato nelle falde acquifere, un milione di volte superiore ai limiti consentiti, è allarmante. Per quanto riguarda il tricloroetilene, ad esempio, i valori rilevati erano di “un milione 470mila nanogrammi/litro a fronte di un limite di, un nanogrammo e mezzo, e nei suoli la stessa sostanza è risultata presente 300 volte oltre il limite consentito, vale a dire 3290 milligrammi a chilo contro i dieci previsti”. Quella che sembra una vera e propria emergenza, dal crescente pericolo per l'ambiente e la salute dei cittadini, viene fortemente presa in considerazione da Gianfranco Mascazzini, Direttore della Direzione Qualità della Vita del Ministero dell'Ambiente, che evidenziò prontamente “la concreta possibilità che il suddetto stato di contaminazione della falda sia esteso ad aree esterne allo stabilimento di proprietà della Daramic”, a fronte, quindi, di un'opera di bonifica “indispensabile quanto complicata”.

C'è da dire che il segnale d'allarme per questo Sito d'Interesse Nazionale – con un’estensione di 59.000 metri quadri all’interno dell’area Consorzio Asi – e conosciuto ai più come area dell'ex Liquichimica di Tito Scalo, parte nel Febbraio del 2001. Si susseguono una serie di sopralluoghi che portano al ritrovamento di “una discarica abusiva dalle ingenti dimensioni”, caratterizzata da “residui accumulati nel ventennio 1981-2001, ossia da dopo la chiusura della Liquichica, da cui resti sarebbero provenuti buona parte di quei materiali”, e alla scoperta, in ordine temporale, di “rifiuti di diversa origine (speciali, pericolosi, assimilabili agli urbani) in quantità pari a circa 210mila metri cubi” e di una vasca per lo stoccaggio contenente “rifiuto tossico nocivo” e “realizzata in totale violazione di quanto previsto dalla legge e senza alcuna autorizzazione”. Questo è quanto dichiarano i dottori Mauro Sanna e Alessandro Iacobucci “con l’assistenza del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri e della Polizia Provinciale”.

Al cospetto di quello che sembra essere una spada di Damocle su una terra già martoriata da altre attività invasive, c'è il dubbio su come il grosso del “ritrovamento lascia pensare ad un traffico di rifiuti vero e proprio, poiché, a quanto si è verificato durante il sopralluogo, il contenuto nulla ha a che vedere con i rifiuti derivanti dall’attività dello stabilimento dell’ex Liquichimica Meridionale, ma si tratterebbe di un’attività di raccolta e smaltimento di rifiuti pericolosi provenienti da altre realtà. Il presunto stoccaggio illegale dei rifiuti sarebbe stato un grosso business per quanti lo hanno realizzato”.

Il giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno, Gianni Rivelli, oltre a parlare di business, prefigura scenari ancor più preoccupanti. “Il materiale è stato depositato senza le dovute cautele per l’ambiente. Attività di personaggi senza scrupoli che per i loro business non hanno esitato esporre suolo e falde acquifere ad un forte pericolo di contaminazione. L’ombra dell’ecomafie, insomma, ma anche l’ipotesi di connivenze di qualcuno che, pur conoscendo la situazione, ha fatto finta di niente. Sulle loro tracce, le indagini vanno avanti”.

Ma cosa è successo da quel lontano 2001, dal punto di vista politico ed istituzionale?

L'unica cosa certa è l'erogazione, di finanziamenti, a scalare negli anni, di circa 160.000 mila euro derivanti dal "Progetto Amianto", promosso dalla Regione Basilicata in collaborazione con l'Istituto di Metodologie per l'Analisi Ambientale (Imaa) e presentato - gioco del “destino” - nella sede del CNR (Centro Nazionale per le Ricerche) di Tito Scalo che doveva consentire l'accertamento ed il monitoraggio dello stato globale di inquinamento ambientale da fibre di amianto in Basilicata, con lo scopo di “individuare le situazioni di pericolo effettivo da risanare con urgenza”, preceduti da circa 2.480.000 di euro (2003, 2002, 2001) e 774.000 euro (2003, 2001).

Sullo stato d'utilizzo dei fondi pubblici stanziati per cofinanziare il risanamento delle aree industriali italiane, imposto per legge agli “inquinatori”, c'è stato – ed è tuttora in corso – un acceso dibattito, anche perchè risulta, in bassissima percentuale, un magro numero bonifiche portate a termine. In merito, il quadro normativo vigente, smentisce la prassi tutta italiana di ritardi e “dimenticanze”. Infatti, già con un Decreto Ministeriale del 16 Maggio 1989 vennero stanziati i primi finanziamenti destinati alle Regioni, al fine di consentire loro “la pianificazione degli interventi di bonifica”, rappresentando un ottimo impulso per il completamento di un primo censimento dei siti inquinati. Otto anni dopo, nel 1997, con l'articolo 17 del Decreto Legislativo n.22 del 5 Febbraio (per semplificazione Decreto Ronchi), vennero stabiliti gli obblighi degli “inquinatori”, attuando il principio comunitario del “chi inquina paga” e definendo “le competenze delle amministrazioni locali”. Nel 1998, invece, con Legge n.426 del 9 Dicembre viene dato il via ad un programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, sulla base di una Task Force attuata in sinergia tra Ministero dell'Ambiente e Conferenza Stato- Regioni. Come conseguenza vennero stanziate diverse centinaia di miliardi di vecchie lire per i primi “siti di interesse nazionale” individuati (Porto Marghera, Napoli orientale, Gela e Priolo, Manfredonia, Brindisi, Taranto, Cengio e Saliceto, Piombino, Massa e Carrara, Casal Monferrato, litorale Domizio-Flegreo e l’Agro aversano, Pitelli, Balangero e Pieve Vergonte), tra i 40 complessivi in tutta la Penisola, tra i quali c'è ovviamente quello di Tito scalo, catalogato per “abbandoni incontrollati di fanghi di depurazione e rifiuti da produzione di concimi, cementoamianto e da attività siderurgica”.

L'epilogo normativo - se così può essere definitivo - si ha il 15 Dicembre del 1999, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Decreto Ministeriale n.471/99, nel quale viene enunciata una inequivocabile definizione di sito inquinato, basata sulla “concentrazione di una o più sostanze inquinanti nel suolo o nelle acque di falda o superficiali supera i valori di concentrazione limite accettabili stabiliti nell’allegato al decreto, riferiti alle due categorie di siti individuate: ad uso verde e residenziale e ad uso commerciale ed industriale”. In una pubblicazione del 12 Aprile 2004 su Lexambiente.it, dal titolo: “Documento sulle bonifiche dei siti contaminati (archivio 1998 – 2003), analizzando il Decreto Ministeriale n.471/99, si rileva che “le novità principali rispetto alla normativa precedente riguardano i seguenti aspetti: il decreto affronta l’inquinamento di ogni tipo di sito, indipendentemente dalla sua dimensione” […] ”...mentre viene estesa la definizione di sito inquinato ad aree in cui sono insediate industrie ancora in attività. Alle Regioni viene richiesto l’aggiornamento dei censimenti regionali dei siti potenzialmente contaminati previsti dal Decreto Ronchi, e, sulla base dei criteri definiti dall’Agenzia nazionale protezione ambiente (Anpa), la definizione dell’Anagrafe dei siti da bonificare”.

Insomma, il tempo delle vacche grasse c'è stato, ora sembra essere arrivato quello delle vacche magre, come fa intendere la recente notizia che conferma la mancanza di fondi per il Programma Straordinario Ufficiale Nazionale per il recupero economico produttivo dei siti industriali inquinanti. Infatti, i milioni di euro dei FAS (Fondi Aree Sottoutilizzate) 2007-2013 sono destinati al altro con l’ultima Finanziaria. Questo significa che la bonifica dell'area di Tito Scalo (unitamente all'intera Valbasento) non ci sarà. Siamo, sicuramente, di fronte ad un problema con radici lontane, e non esclusivamente imputabile alle azioni restrittive del Governo Berlusconi.

I ritardi di attuazione del famigerato Piano di Bonifica cominciano a pesare, in misura certamente maggiore sulla tutela ed il rispetto della salute delle popolazioni locali. Il Presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, in recenti dichiarazioni apparse sulla stampa locale ipotizza “la bonifica con nostri fondi”, aggiungendo anche che “già nel programma nazionale era prevista una quote di partecipazione da parte della Regione. In ogni caso, noi stiamo lavorando con il Governo per riavere i fondi”. In merito alla bonifica del Sito d'Interesse Nazionale di Tito Scalo, nelle voci d'uscita del bilancio regionale, c'è la somma di 1.161.015,47 di euro destinata alla società Metapontum Agrobios – riportata in un'inchiesta del Sole24Ore, pubblicata in data 11 Settembre 2008, sui compendi erogati dalle Regioni per le consulenze del 2007.

Tra l'opera di consulenza erogata ad Agrobios appare anche la “caratterizzazione geochimica dei siti inquinati di interesse nazionale”. Sul sito ufficiale della società appena citata si può leggere, nella sezione dedicata al “Monitoraggio ambientale finalizzato alla definizione dell’anagrafe regionale dei siti industriali di Tito Scalo e Val Basento”, che “lo studio di aree che sono state oggetto di attività industriali è finalizzato all’inserimento nell’anagrafe regionale dei siti inquinati. Il progetto prevede la valutazione del grado di inquinamento da sostanze xenobiote nelle aree industriali di Tito e Val Basento. Il programma prevede una campagna di campionamento tramite perforazione del suolo in 380 siti, prelievi di acque sotterranee di falda da piezometri in 380 siti, prelievo di acque e sedimenti fluviali in 10 siti. Nel programma sono previsti anche l’allestimento di 8 aree di monitoraggio biologico e chimico per la sorveglianza dell’inquinamento atmosferico”. Di dati, in merito non se ne ha notizia, così come non ci sono dati dell'area, sul sito dell'Arpab.

Tutto tace. O quasi. Ai continui silenzi del sindaco di Tito, Pasquale Scavone, che dovrebbe intervenire, essendo responsabile della salute pubblica, si aggiunge un comunicato stampa del 24 Marzo 2009 di Confindustria Basilicata, nel quale il presidente Attilio Martorano lamenta l'amarezza e la delusione degli imprenditori dell'area industriale di Tito Scalo, sottolineando problemi atavici “come quelli legati al Consorzio Asi con difficoltà che da anni si riversano sulle imprese” e questioni spinose, come la bonifica dell'area: “Quello della bonifica del sito industriale è un tema che ci interessa particolarmente anche perchè non abbiamo capito cosa vuol fare la Regione”.

L'ultima nota utile è ferma in un documento del Novembre 2004, divulgato dal Gruppo di Lavoro Obiettivo Bonifiche della Rete Nazionale delle Autorità Ambientali e delle Autorità della Programmazione dei Fondi Strutturali Comunitari 2000-2006, su analisi delle problematiche, valutazioni e suggerimenti. Nel capitolo dedicato alla Gestione degli Interventi di Bonifica e Fondi Strutturali per le Regioni dell'Obiettivo 1, sullo stato di attuazione procedurale del Sito di Tito Scalo, si legge che “si trova in una fase iniziale: al momento sono stati approvati in sede di Conferenza di Servizi il piano di caratterizzazione dell'area pubblica ex-liquichimica”. Sarebbe opportuno, visto che sono passati ben 5 anni, rendere note tutte le evoluzioni, le osservazioni e lo stato di caratterizzazione della bonifica, presumibilmente presentate dalle Amministrazioni, dagli Enti Pubblici e dai Soggetti obbligati.

Note: "Bonifica dei siti inquinati nella programmazione dei fondi strutturali 2000/2006: analisi delle problematiche, valutazioni e suggerimenti" | Rete Nazionale delle Autorità Ambientali e delle

Autorità della Programmazione dei fondi strutturali comunitari 2000–2006
Novembre 2004

"Documento sulle bonifiche dei siti contaminati (archivio 1998-2003)" | Lexambiente.it
12 Aprile 2004 (http://www.lexambiente.it/article-print-814.html)

"Monitoraggio ambientale finalizzato alla definizione dell’anagrafe regionale dei siti industriali
di Tito Scalo e Val Basento" | Metapontum Agrobios
(http://www.agrobios.it/servizi/suolo.htm)

"Indagini epidemiologiche nei siti di interesse nazionale per le bonifiche delle regioni italiane previste dai Fondi strutturali dell’Unione Europea"
"Le piccole Regioni guidano la classifica delle consulenze" | Il Sole24Ore
11 Settembre 2008

"Sos cancro" di Luca Carra e Daniela Minerva | L'Espresso
24 Maggio 2007 (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Sos-cancro/1621567&ref=hpstr1)

"Autodenuncia di un’azienda prima presente nell’area. Sostanze cancerogene in acqua un milione di
volte oltre la soglia" di Gianni Rivelli | La Gazzetta del Mezzogiorno
12 Agosto 2005

"Il sito rientra tra quelli definiti di interesse nazionale. Già pronti 4 milioni di euro ma la bonifica ancora stenta" di Gianni Rivelli | La Gazzetta del Mezzogiorno
11 Agosto 2005

"Montagna di fanghi industriali a Tito Scalo. Una vasca per i fosfogessi abbandonata è stata trasformata in discarica abusiva" di Gianni Rivelli | La Gazzetta del Mezzogiorno
11 Agosto 2005

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