Lo scandalo del bilancio europeo

6 gennaio 2006
Guido Montani (Presidente del Movimento Federalista Europeo)
Fonte: Unità Europea

Intervento di Guido Montani al Forum sociale europeo di Firenze

Del problema del bilancio europeo il cittadino viene informato solo in occasione dei litigi di cui sono protagonisti i capi di Stato e di governo in alcuni Consigli europei. Così è avvenuto anche per il bilancio 2007-13, il 17 dicembre, quando finalmente alle tre del mattino, dopo estenuanti trattative, il Consiglio europeo ha trovato un accordo su un minimo comune denominatore. Ora si può essere certi che, salvo improbabili sussulti del Parlamento europeo, la questione sparirà dalle prime pagine dei giornali per un buon numero di anni.

L’Europa non fa politica. Non ha risorse sufficienti né per garantire un decente piano per la crescita e l’occupazione, né per finanziare una politica estera adeguata alle sue responsabilità mondiali.

Eppure la questione sembra interessare solo i federalisti e qualche esperto. I partiti politici presenti nel Parlamento europeo si guardano bene dal sollevare il problema di fronte all’opinione pubblica con il solo metodo efficace di cui dispongono: respingere la proposta del Consiglio come insufficiente per realizzare le politiche che gli stessi governi europei sostengono di volere.

Il problema si può riassumere in poche cifre. Il tetto del bilancio europeo è stato fissato all’1,24% del PIL comunitario, con voto unanime dei 25 governi. La Commissione Prodi, al fine di aumentare le risorse necessarie per colmare il divario che separa l’Europa dagli USA nella ricerca e nell’innovazione e per far fronte agli impegni derivanti dall’allargamento, aveva proposto un bilancio che sfruttava ogni margine di manovra, sino al tetto fissato dai governi. In effetti, la debolezza dell’economia europea, la sua mancanza di competitività internazionale e il suo scarso dinamismo nella creazione di nuovi posti di lavoro dipendono principalmente dalla scarsità di investimenti pubblici e privati nella ricerca e nell’innovazione, compresa la formazione di una sistema universitario europeo capace di attirare scienziati e studenti da tutto il mondo.

Contro la proposta della Commissione Prodi (ripresa da Barroso) si sono subito schierati alcuni governi europei, in particolare quelli di Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Austria, che hanno chiesto di ridurre il bilancio europeo, portandolo all’1% del PIL comunitario. Condizionata dall’ondata euroscettica suscitata dei referendum in Francia e in Olanda, la presidenza lussemburghese aveva proposto, a giugno, un bilancio pari all’1,06% del PIL.

Questa proposta è stata abilmente respinta da Blair, che ha sfruttato il semestre di presidenza inglese per ridurre ancora di più le possibilità d’azione dell’Europa, presentando una proposta pari all’1,03% del PIL, destinato a scendere sotto l’1% nel 2013. Alla fine, grazie alla mediazione tedesca della Sig.ra Angela Merkel, il Consiglio ha approvato, con gran sollievo di tutti, un bilancio pari all’1,045% del PIL comunitario. Una miseria, se si pensa che i bilanci nazionali dei paesi membri sono mediamente pari al 48% del loro PIL e che il bilancio federale statunitense (esclusi i bilanci degli States) è pari al 20% del PIL degli USA.

A Bruxelles, il 17 dicembre, Tony Blair e gli altri capi di governo hanno, dunque, trasmesso ai cittadini europei l’immagine di un'Unione europea che non ha alcuna ambizione di fare politica e che non vuole darsi i mezzi per farla. Chi intende rovesciare questa situazione dove chiedere di colmare le due più vistose lacune del bilancio europeo, realizzando:

1. un capitolo di bilancio adeguato per finanziare gli investimenti in ricerca e innovazione (il Rapporto Sapir lo stima pari allo 0,45% del PIL comunitario); in caso contrario, la Strategia di Lisbona fallirà ingloriosamente, come in effetti sta avvenendo;

2. una difesa europea adeguata alle ambizioni della politica estera dell’Unione, come delineata nel documento “Solana”, del 2003, sulla Politica di sicurezza.

Per consentire all’Unione, in particolare alla Commissione europea, di realizzare queste due politiche cruciali è necessario rivedere radicalmente il meccanismo delle cosiddette risorse proprie. In verità, oggi l’Unione non ha risorse proprie, poiché almeno i 3/4 delle risorse comunitarie provengono dai contributi nazionali. Dato questo sistema di finanziamento del bilancio europeo, è inevitabile che ogni governo pretenda il “giusto ritorno”, cioè di avere indietro quanto paga. Si tratta di un sistema perverso, che riduce praticamente a zero la funzione di solidarietà intrinseca nelle politiche europee. Se questo principio si applicasse all’interno di uno Stato nazionale, si condannerebbero le regioni e i comuni meno ricchi ad un impoverimento crescente. Occorre, dunque, riformare radicalmente il sistema delle risorse proprie, nella consapevolezza che non si tratta di tassare ulteriormente i cittadini europei, per dare più risorse all’Unione. Molto più semplicemente, si tratta di rendere trasparente ciò che il cittadino paga ai governi nazionali e ciò che paga all’Unione. Le due politiche da includere in bilancio, in effetti, non richiedono nuovi finanziamenti, ma solo un trasferimento di risorse dai bilanci nazionali a quello europeo (questo è evidente per la difesa europea, così come per gli investimenti nella ricerca e l’innovazione, che devono essere aumentati al livello europeo, non a quello nazionale). In breve, si tratta di fare bene in Europa ciò che oggi i governi fanno male nei singoli Stati, con sprechi e gravi inefficienze.

Le riforme necessarie per mettere l’Unione nella condizione di fare politiche efficaci si possono così riassumere:

1. includere il bilancio europeo nel Patto di stabilità e di crescita, il quale fissa le regole che i paesi dell’Unione monetaria devono rispettare per quanto riguarda i loro bilanci. In questo modo, si può concepire una strategia europea di bilancio complementare a quelle nazionali, affinché i cittadini possano giudicare ciò che è ragionevole fare a livello europeo e ciò che va fatto a livello nazionale mediante una programmazione pluriannuale. Il piano finanziario dell’Unione, in linea di principio, dovrebbe coincidere con la legislatura europea; il Parlamento europeo dovrebbe inoltre partecipare alla sua approvazione, con pieni poteri di codecisione, con il Consiglio;

2. eliminare il tetto alla spesa comunitaria stabilendo per il bilancio europeo gli stessi vincoli di spesa e di indebitamento dei bilanci nazionali; ciò significa che il bilancio europeo non deve più osservare il vincolo del pareggio e diventano possibili l’indebitamento europeo e la raccolta di denaro sui mercati finanziari europei mediante l’emissione di Union-bonds, come già aveva proposto la Commissione Delors nel 1993;

3. consentire che le risorse proprie dell’Unione provengano da nuove forme di imposizione, compresa una percentuale dell’imposta personale, perché i cittadini devono sapere quanto costa l’Unione e chi è responsabile dell’uso delle risorse fiscali europee; per questo, in seno alla Commissione, deve essere nominato un Ministro dell’Economia e delle finanze (così come è previsto un Ministro degli Esteri) con il compito di presentare periodicamente al Parlamento europeo un resoconto delle spese e delle entrate dell’Unione.
Queste riforme sono indispensabili per superare il deficit di democrazia dell’Unione. Esse avrebbero già dovuto essere incluse nel progetto di Costituzione europea, che tuttavia non ha sostanzialmente intaccato il vecchio meccanismo intergovernativo, grazie al quale i governi nazionali hanno l’ultima parola nel fissare il tetto al bilancio europeo. La situazione di stallo in cui si trova attualmente la Costituzione europea rende difficile rivedere le regole di bilancio. Un bilancio non è che un mezzo per finalità politiche. Il dramma del bilancio europeo è, dunque, il dramma di un’Europa alla quale i governi nazionali impediscono di fare politica. Chi vuole mettere l’Unione nella condizione di diventare un soggetto politico, nei confronti dei cittadini europei e del mondo, deve avere il coraggio di cominciare a pretendere un bilancio adeguato alle ambizioni politiche dell’Unione europea.

Se le battaglie mai cominciano, mai verranno vinte. Vi sarà nel Parlamento europeo qualche partito o qualche deputato che avrà il coraggio di assumersi questa responsabilità?

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