1989-2009: Vent'anni dopo la caduta del Muro di Berlino, Europa Attore mondiale Cercasi
9 novembre 1989: il muro che per 28 anni ha diviso Berlino è abbattuto da un mare di folla alla notizia che la Germania dell’Est aprirà le frontiere. Il 3 ottobre dell’anno dopo, la Germania torna ad essere uno stato unitario (in forma federale) al centro di un’Europa in cui si iniziano a smantellare i pericolosi residui della guerra fredda. Molte interviste ai protagonisti di allora sono circolate nei giorni precendenti la celebrazione del ventennale di quell'evento: oltre alla rivelazione di specifici retroscena, si è soprattutto ritornati sull'atmosfera e le opportunità che sembrarono sorgere dalla inattesa fine dell'ordine bipolare.
La prima cosa da ricordare, è che la caduta del muro si colloca nel sogno di pacificazione mondiale che ispirò la politica di disarmo e di ristrutturazione dell'ultimo presidente dell'URSS: Michail Gorbaciov; tra il novembre 1989 e il dicembre 1991 gli eventi fecero però precipitare il blocco sovietico e gli Stati Uniti si ritrovarono unica “superpotenza” dello scenario mondiale.
Tutti ricordano, tuttavia, che quel sogno di pacificazione non venne meno per questo, anzi, si ritrovò rafforzato da quella che parve l'inappellabile vittoria di un modello (economico, ideologico, sociale) su un altro. La pax americana sembrò una garanzia per il futuro, la storia giunta al capolinea...
Cosa resta vent'anni dopo di questi sogni di pace? Che cosa ha da insegnarci la storia che è iniziata dalla caduta del Muro?
Le condizioni in cui si trovano oggi l'Europa e il Mondo, non lasciano ormai dubbi nell'affermare che nessuno di quei sogni si è realizzato. Gli Stati Uniti hanno probabilmente impiegato proprio questi venti anni per rendersi conto che il mondo unipolare era una chimera insostenibile. Non ha smesso di crescere la pressione di una crisi sistemica, che tocca ogni ambito delle nostre vite e arriva a mettere in discussione la sopravvivenza stessa della specie (cambiamenti climatici, insostenibilità del modello di sviluppo). Vacillano diritti e benessere, anche dove sembravano acquisiti. Rimangono all’ordine del giorno i rischi di conflitto armato (dalle bombe atomiche agli atti terroristici).
Altri attori della politica e dell'economia mondiale hanno guadagnato il primo piano via via che l'interdipendenza fra le diverse comunità umane è andata crescendo, e che la fine dell'ordine bipolare ha reso più mobile il quadro. L'Europa, non si può ancora pienamente annoverare tra questi attori, perché anche il sogno dell'unione politica non si è realizzato.
Ma mentre il miraggio di una “pax americana” ha dovuto scontrarsi con la realtà, il progetto di una Federazione Europea ha dovuto scontrarsi soprattutto con l'interzia e gli egoismi nazionali degli stati europei stessi.
Il 9 novembre 2009 dovrebbe essere un giorno di riflessione autentica su questi dati storici essenziali, se vogliamo evitare che la ricorrenza si trasformi in una vuota celebrazione priva di utilità per la costruzione del nostro futuro. Tanto il complesso mondo multipolare che si va formando, quanto l'urgenza che rende ormai indilazionabili scelte di lungo termine che modifichino globalmente il modello di sviluppo, rendono necessario che anche l'Europa torni ad avere il coraggio delle scelte lungimiranti. Perché noi europei non abbiamo ancora dato una vera, unitaria risposta alla fine della Guerra Fredda: non lo potremo fare nemmeno con il Trattato di Lisbona.
Ciò che avvenne venti anni fa deve servirci da monito: non possiamo commettere un'altra volta l'errore di accontentarci. Ogni soggetto attivo della società europea deve sentirsi coinvolto perché Lisbona non sia un punto di arrivo, perché si riprenda l’iniziativa con il chiaro obiettivo di completare l’unificazione politica di quei paesi e cittadini europei disposti a stringere un vero patto costituzionale fra loro, a delegare a un governo democratico comune, dotato di risorse proprie e di un bilancio adeguato, la gestione delle grandi linee di politica economica e la gestione della politica estera, di difesa e di sicurezza comune.
Di questo ha bisogno l’Europa perché di questo ha bisogno il mondo! Gli egoismi nazionali delle piccole potenze europee, nonché i precari risultati dell’Unione Europea, sono il più grave ostacolo ai progetti che la società e la cultura europea sanno ancora ideare e potrebbero ancora attuare: riconversione ecologica dell’economia, sostenibilità della globalizzazione, riforma democratica dell’ONU e degli altri organismi internazionali. Se non sapremo assumerci responsabilità nel consesso dei grandi stati continentali, non potremo dare alcun contributo serio al progresso dell'umanità: né alla pace né alla nostra stessa sopravvivenza.
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