Latina

In caduta libera il consenso verso la "presidenta de facto"

Perù: il regime di Dina Boluarte

La repressione prosegue, ma le proteste non si fermano
8 aprile 2023
David Lifodi

Perù: il regime di Dina Boluarte

Sette ministri ed ex ministri del governo di Dina Boluarte si trovano sotto inchiesta per la morte di alcuni manifestanti nelle proteste che si protraggono in Perù dal giorno in cui la donna si è dichiarata presidenta del paese in maniera illegittima, il 7 dicembre scorso. Le regioni del sud del Perù, Apurímac, La Libertad, Puno, Ayacucho e Arequipa, sono quelle dove è più forte l’opposizione sociale al governo.


Sono accusati di genocidio il premier Alberto Otárola, il ministro Jorge Chávez Cresta (Difesa), l’ex primo ministro Pedro Angulo, gli ex primi ministri César Cervantes e Víctor Rojas (entrambi passati dagli Interni). Inoltre, l’attuale ministro dell’Interno, Vicente Romero, è accusato per le violenze commesse dalla Polizia nazionale durante l’intervento all’interno dell’Universidad Nacional Mayor de San Marcos, conclusasi con l’arresto di circa duecento studenti. Infine, è indagato per corruzione Luis Adriánzen, ministro del Lavoro.

Secondo l’Instituto de Estudios Peruanos, Dina Boluarte gode di meno del 20% dei consensi nel paese. Il rifiuto nei suoi confronti è dovuto alla durissima repressione scatenata nei confronti delle organizzazioni popolari. I primi cento giorni del suo governo sono stati caratterizzati da 66 morti, 48 dei quali provocati dai proiettili sparati dalla polizia e dall’esercito contro i manifestanti che chiedevano con urgenza la convocazione di nuove elezioni ben prima della scadenza del mandato prevista dal 2026.

Gran parte delle persone uccise dalla repressione di stato appartenevano alle comunità indigene, la cui protesta è stata criminalizzata fin dall’inizio con il sostegno del latifondo mediatico. In un’intervista rilasciata al quotidiano argentino Página/ 12, l’antropologo e analista politico Carlos Monge ha evidenziato l’improvviso voltafaccia di Boluarte che, a seguito dello sciagurato colpo di stato di Pedro Castillo, è passata in breve tempo da stare dalla parte di quello stesso elettorato che aveva permesso al maestro rurale di vincere le elezioni all’ultradestra, a sua volta artefice di ogni tipo di complotto per rovesciarlo. Dalla sinistra radicale, così era definito da molti l’esecutivo di Castillo, improvvisamente Boluarte si è autoproclamata la condottiera di un governo autoritario di destra, ma non è escluso che le stesse elites la scarichino nel caso in cui non sia più utile ai loro interessi.

Contestualmente alla repressione indiscriminata, è cresciuta l’indignazione popolare, soprattutto per il carattere razzista del governo, che ha accusato indistintamente di terrorismo gran parte delle organizzazioni popolari andine, definendo, in maniera provocatoria, le azioni poliziesche come “immacolate” e cercando di far passare gli agenti responsabili delle violenze come “eroi”. Del resto, non c’è da stupirsi di tutto ciò. Boluarte mira a rimanere in sella fino al 2026 alla guida di un governo autoritario che gode del sostegno dell’apparato militare e delle lobbies imprenditoriali, il cui unico interesse è quello di mantenere intatti i propri privilegi, soprattutto a scapito degli indigeni quechua e aymara, in maggioranza nel paese.

È in questo contesto che il governo e le Forze armate sembrano avere buon gioco anche nell’impedire che rimanga traccia delle violazioni dei diritti umani, come sostiene Zuliana Lainez, presidenta del sindacato dei giornalisti, tra i bersagli preferiti della repressione di Boluarte. Sono circa 170 gli attacchi agli operatori della comunicazione da parte dell’attuale governo.

I giornalisti non allineati hanno denunciato l’assenza di dibattito democratico nel paese e fatto crescere la stampa indipendente, soprattutto quella digitale, nonostante il governo abbia cercato di ridurla a semplice comparsa.

Gran parte del latifondo mediatico è concentrato nelle mani del Grupo El Comercio e, se un operatore dell’informazione decide di non farne più parte, ha difficoltà nel trovare un nuovo impiego. In più, il giornalismo indipendente deve guardarsi anche da vere e proprie macchine di disinformazione come Willax e altri mezzi di comunicazione di estrema destra. L’attuale presidenza Boluarte è simile alla dittatura fujimorista-montesinista degli anni anni Novanta come dimostra, ad esempio, il caso di Aldair Mejía, foto-giornalista minacciato di morte per aver fotografato un caso di detenzione arbitraria, tanto da essere vittima di un colpo di pistola che lo ha costretto per mesi a stare lontano dal proprio lavoro.

Tra i principali sostenitori di Boluarte Mario Vargas Llosa, insignito del riconoscimento dell’Orden del Sol dalla stessa presidenta, probabilmente per la sua perseveranza nel definire gli oppositori come vandali e terroristi. La riunione a Lima, nell’ultimo fine settimana di marzo, a cui hanno partecipato esponenti dell’estrema destra latinoamericana, dai seguaci di Bolsonaro all’Opus Dei, dai neofascisti provenienti dall’intero continente agli stessi fujimoristi che giocavano in casa, testimoniano la crescente assenza della democrazia in un paese che, sotto Boluarte, si è trasformato, nel migliore dei casi, in un governo autoritario.

A testimoniarlo, se ancora ce ne fosse bisogno, l’utilizzo di proiettili vietati, ma in dotazione alla polizia e utilizzati per reprimere le proteste che, nonostante tutto, vanno avanti.

Note: Foto ripresa dal sito web indipendente perruviano https://wayka.pe/

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