La lezione di quel fiume in piena
Settembre 1961. Per la prima volta la bandiera arcobaleno viene piantata sulla rocca maggiore di Assisi. Da allora, grazie alla marcia voluta da un padre della nonviolenza, Aldo Capitini, quella bandiera è diventata il simbolo del movimento per la pace italiano. Lo ha accompagnato in tutti i passaggi storici: dalla lotta contro il dispiegamento dei missili a Comiso, alla prima guerra del Golfo, passando per quella al Kosovo, all'Afghanistan fino ad imbandierare le facciate degli edifici dell'Italia intera per la recente guerra preventiva e infinita di George Bush.
La Perugia-Assisi appartiene - più che al comitato organizzatore o alla piattaforma d'indizione - al popolo della marcia. Esso è corpo e anima di questa manifestazione ed ogni volta rompe la liturgia del rito. Dipingerla come la manifestazione dei "pacifisti moderati" è non solo ingiusto ma anche profondamente sbagliato. Quel popolo armato di sandali, scarpe da ginnastica, chitarre e zainetti sceglie di camminare per 24 km perché avverte come inaccettabile l'esistenza di un mondo governato dalla legge delle armi e della prepotenza.
Quando la marcia comincia dalla discesa dei giardini del Frontone, quel popolo variopinto prende forma in un serpentone infinito e le parole d'ordine si correggono negli striscioni e nei cartelli portati a mano, negli slogan gridati o cantati acquisendo radicalità e nettezza.
Ricordo un Rutelli, allora deputato del Partito Radicale, uscire furente ed irritato dal percorso della marcia perché nel corteo si gridava contro la Nato. Ancora, più recentemente, ricordo D'Alema presidente del Consiglio di un governo in guerra, fischiato da pericolosi estremisti vestiti da boy scout….
Certo non sfugge a nessuno l'ipocrisia di coloro che marciano per la pace e poi in parlamento votano per la guerra. Ma è un "doppio binario" sempre più impervio e impraticabile. Da questo punto di vista più grande sarà la 16° marcia e più debole sarà il partito della guerra comunque aggettivata (umanitaria compresa).
Nella varie fasi del movimento pacifista la Perugia-Assisi ha inoltre funzionato da apripista. Nel Settembre del 1981, dopo anni di leggi speciali e di divieto di manifestare, battezzò l'inizio di una straordinaria stagione di lotta contro i missili Cruise e l'equilibrio del terrore. Un mese dopo - esattamente il 24 Ottobre del 1981- nella Roma interdetta alle manifestazioni dal decreto Cossiga, una nuova generazione tornava alla politica riprendendosi l'agibilità di piazza con quella che sarà - oltre mezzo milione di persone - l'inizio di una lunga serie di mobilitazioni oceaniche per la pace e il disarmo. Giovani come Tom Benettollo costruirono la tela di un movimento capillare che arrivò a far votare sette milioni di persone nel referendum autogestito contro i missili a Comiso.
Durante gli anni della "guerra alle porte di casa" - quella nella ex Jugoslavia - ancora una nuova generazione decise di attraversare quei luoghi del conflitto cercando nella nonviolenza, nel dialogo interetnico, nell'ostinata volontà di gettare ponti di pace una risposta all'implosione dell'odio proprio nel cuore dell'Europa che credevamo istruita e civile. La marcia è sempre stato contro la guerra. Nonostante la devastazione culturale ed ideologica della sinistra post-muro di Berlino. Non parliamo solo della frenesia filo-Usa che caratterizzò la trasformazione del Pci in Pds. Ci riferiamo anche a voci più nobili come Alex Langer o Rossana Rossanda che di fronte al mattatoio bosniaco giustificarono l'intervento dei bombardieri della Nato. Nella Perugia-Assisi si lavorava in altro modo. In quegli anni in Umbria arrivarono serbi, croati, macedoni, kosovari e bosniaci di ogni etnia e con essi palestinesi, pacifisti israeliani, movimenti asiatici e latino americani. L'Onu dei Popoli nasce così: nell'ostinata ricerca di un'altra strada che non sia la guerra e la violenza. Si marcia da Perugia ad Assisi anche contro la guerra del Kosovo raccogliendo la proposta lanciata da Bertinotti in piazza Navona quando tutto il mondo politico stava con i caccia della Nato.
Si marcia dopo Genova 2001, con ancora Carlo Giuliani nel cuore e le ferite di Bolzaneto nella carne. E' la più grande Perugia-Assisi della storia. Ci vengono anche i disobbedienti ed i Cobas.
Tutte le contromarce sono invece fallite. Quando il movimento dei social forum decise - pur nel percorso della marcia - di darsi una conclusione autonoma, la cosa non riuscì. Fu un errore. Non si capì che c'era un fiume in piena. Imparammo la lezione. Fu anche grazie a quella marea di persone che nel movimento si coniò la parola d'ordine "contro la guerra, senza se e senza ma". Il Social Forum di Firenze prima, le grandi mobilitazioni del comitato "Fermiamo la guerra" poi, hanno segnato in modo indelebile anche i "moderati" della Tavola della Pace.
La marcia ha inoltre il merito storico di aver contribuito a contaminare il pacifismo laico con quello cattolico. Il dialogo tra Enrico Berlinguer con i francescani di Assisi nacque ai margini di una edizione della marcia. Questa unione ha rafforzato enormemente sia la capacità di mobilitazione del movimento per la pace sia quella di egemonia culturale nella società. Innumerevoli sono i corsi e le scuole di pace oggi sparsi in tutta Italia spesso per impulso degli Enti locali per la pace. Innumerevoli sono i progetti di cooperazione decentrata ed i gemellaggi con realtà di lotta ed amministrazioni di base di tutto il mondo. Si deve anche a questo rapporto la scelta di mettere la lotta alla povertà e allo sfruttamento all'ordine del giorno della marcia di quest'anno. Non si tratta di un discorso da dame di S. Vincenzo. E' il nuovo pacifismo forgiato dalla contestazione al Wto, alla Banca Mondiale, al Fondo Monetario Internazionale, ovvero nelle mobilitazioni contro "il Pentagono dell'economia" quello che con un piano di aggiustamento strutturale cancella economie di sussistenza e interi popoli. E' il cuore del sistema di guerra che deve essere rimesso in discussione. Vengono in mente le parole dell'ultimo Balducci, quelle dell'uomo planetario: «essere pacifisti oggi significa essere degli eversori nelle nostre cittadelle della ricchezza». La pace non può piegarsi di nuovo alle leggi della realpolitik siano esse quelle dettate dal neoliberismo o dalla cosiddetta guerra al terrorismo.
C'è la necessità di cacciare il governo Berlusconi per ritirare le truppe dall'Iraq e per imprimere una svolta nella politica estera dell'Italia. Ma per farlo è necessario rompere con le ideologie che hanno sdoganato la guerra rendendola ancora possibile. Mai più guerre umanitarie o modelli di difesa che bruciano miliardi e uccidono il futuro. Quel popolo in cammino segnala una strada che deve e può essere percorsa. Anche dalla politica.
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