E’ davvero evidente che la demonizzazione del nemico costituisce un meccanismo di difesa rispetto al negativo che rifiutiamo dentro di noi, come persone, ma anche come gruppi sociali, in quanto l’altro e gli altri si configurano come una realtà separata di deumanizzazione e distruttività. Anche la scuola ha dato inconsapevolmente, forse, il proprio contributo al processo di deumanizzazione quando ha esaltato il concetto di “identità nazionale”, dimenticando che siamo tutti cosmopoliti, cittadini del mondo. Il riconoscimento dell’altro come simile a sé transita attraverso la condivisione, lo scambio, la comunicazione delle emozioni e dei sentimenti. Per esempio all’interno del gruppo classe è possibile aiutare il bambino a riconoscere nel compagno, con cui spesso litiga, il proprio stesso vissuto, come questa comunicazione deve essere facilitata tra i gruppi sociali, soprattutto in contesti che il bambino vive come nuovi, diversi e pericolosi.
Per combattere il processo di deumanizzazione occorre facilitare le occasioni di condivisione, di scambio, di incontro, sottolineando tutte le cose che uniscono, anziché ciò che divide. I mezzi di comunicazione di massa negano implicitamente per i loro messaggi l’umanità dei singoli e dei gruppi sociali, facilitando ostacoli che si frappongono all’incontro tra i bambini, tra gli uomini, tra i gruppi sociali. Un’educazione alla pace si deve proporre di facilitare l’acquisizione di atteggiamenti cooperativi e non competitivi, oltre a favorire le condizioni per un uso non lesivo, ma adattivo dell’aggressività nella sicurezza, la possibilità di affermazione di sé, l’identificazione con l’altro. Gli studi sull’acquisizione dei comportamenti cooperativi e non competitivi e sulla genesi di atteggiamenti costruttivi indicano che queste caratteristiche non lesive della relazione sono strettamente correlate con la capacità di allontanarsi, sia emotivamente, sia cognitivamente, dall’impellenza delle situazioni frustranti e conflittuali, al fine di trovare una risoluzione complessa e mediata, tenendo presente l’esistenza e le esigenze dell’alterità.
La ricerca di una soluzione pacifica, cooperativa e collaborativa comporta un impegno di decentramento cognitivo dalla situazione emotiva che deve essere analizzata in un’ottica decentrata, appunto dall’esterno, per ritrovare soluzioni ulteriori, più complesse e mature che richiedono una ristrutturazione del campo cognitivo, ossia una rivalutazione degli elementi complessivi della situazione, in una prospettiva globale, dove emergano connessioni e collegamenti innovativi. La rapidità con cui si intuiscono queste risoluzioni non deve trarre in inganno sulla complessità del processo di ristrutturazione cognitiva e di distanziamento e decentramento emotivo richiesto. Sussiste un diretto collegamento tra capacità collaborativa e facoltà di simbolizzazione, attraverso cui il bambino realizza il distacco dall’immediatezza della realtà, rendendo possibile la ristrutturazione cognitiva.
Collaborare significa trovare un percorso comune complesso e difficile, che tenga conto delle esigenze complessive nella soluzione di situazioni di opposizione. Educare alla pace significa anche stimolare la capacità di simbolizzazione del bambino. Una delle più importanti manifestazioni della capacità simbolica è il linguaggio, per cui il primo compito della scuola consisterà nell’aiutare i bambini ad esprimere personali emozioni, sentimenti e stati d’animo come l’aggressività, in forma verbale, tramite lo scambio verbale e la discussione, tramite cui risulta attuabile un processo di pattualità e negoziazione che consente di vagliare ed esaminare i punti di vista altrui, fino a giungere ad una soluzione cooperativa e collaborativa. La scuola deve porsi l’obiettivo di insegnare a dialogare anche quando sorge il conflitto, sostando in esso come un valore, una risorsa che può giungere ad una pattualità collaborativa
Laura Tussi da SCUOLA E DIDATTICA, LA SCUOLA Editrice
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