Se l’obiettivo dei Paesi Nato fosse la pace, non invierebbero tank ma diplomatici
Centinaia di migliaia di soldati ucraini e russi morti, mutilati, pesantemente traumatizzati da lungo tempo avrebbero dovuto portare ogni ragionevole politico a concludere: è la strada sbagliata. A meno che: non si tratti affatto della pace. La politica della violenza militare deve cessare.
«Follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati differenti», disse una volta Albert Einstein. La frase del celebre fisico ricorda la condotta della Germania e di altri Stati membri della Nato. L’Occidente dà a intendere di star «sostenendo» l’Ucraina inviandole armi da usare contro l’aggressore russo. Questa è la versione dei fatti riscontrabile in tutti i principali media. Dall’attacco russo ai danni del vicino, lanciato a febbraio 2022, le armi sembrano costituire lo strumento definitivo per porre fine alla guerra. Se l’obiettivo è davvero farla terminare il più rapidamente possibile, a fronte dello spargimento di sangue che questa strada provoca, occorre parlare di un catastrofico fallimento.
Armi, armi e ancora armi. Tank, tank e ancora tank - cos’è questa? Politica? Questo è guerrafondaismo - benché i guerrafondai non si dipingano certamente come guerrafondai, ma come angeli della pace. A inizio settimana un titolo recitava:
«Senza gli Usa: la Germania prepara ingenti forniture di armi per l’Ucraina».
A seguire si diceva:
«L’invio dei Panzer indica che sta per essere adottatata una possibile nuova strategia sul campo di battaglia, dopo che il magazine americano Forbes aveva già annunciato che l’Ucraina avrebbe creato un battaglione corazzato, con soli Leopard 1 e Marder tedeschi».
La strada delle armi deve finire
Decrepiti Leopard 1 e Marder, a cosa dovrebbero servire? Alla a lungo attesa, o per meglio dire, a lungo propagandata svolta militare sul campo di battaglia? Sconfiggere militarmente la Russia - una potenza nucleare - in Ucraina? È il sogno proibito dei ras dei seggi seduti nei parlamenti e nelle redazioni. Quale idea si sta delineando? Che dopo due anni di guerra la Russia, intimorita a morte dall’acciaio tedesco, abbandoni il campo con la coda tra le gambe? Gli infimi strateghi non vedono l’ora di stappare finalmente lo champagne di fronte a una fantomatica sconfitta russa.
Sebbene talvolta la ragione rasenti la follia, qui la distanza è incolmabile. La Russia non perderà questa guerra, o più esattamente: visti gli interessi russi per la sicurezza nazionale, non potrà affatto perdere. E quel che significa dovrebbe essere chiaro a tutti. L’uso di armi nucleari potrebbe diventare realtà. L’accento è posto su «potrebbe». Si parla di uno scenario ipotetico, che ad oggi non è avvalorato da nessun motivo razionale. La Russia non sta perdendo. Anzi.
Estremamente reali sono invece le numerose dichiarazioni rilasciate da personalità di primo piano di Svezia, Inghilterra, Germania, Austria, o più recentemente della Polonia, che danno per scontata una prossima guerra tra la Russia e la Nato. Il ministro della Difesa polacco ha parlato di preparativi a un attacco russo e del «peggior» scenario. A che pro queste dichiarazioni allarmistiche? L’impressione che ne deriva è che stiano formalmente invocando il terzo conflitto mondiale. Dichiarazioni simili, anzi, addirittura misure preparatorie a una guerra si adattano sorprendentemente bene a manovre politiche profondamente irrazionali.
Se l’obiettivo degli Stati membri della Nato fosse la pace, non invierebbero carri armati ma diplomatici. Quali che siano le ragioni dello sconsiderato discorso in merito a un attacco russo alla Nato, la strada delle armi deve finire. Questa guerra può essere ancora disinnescata con la diplomazia. Dov’è la volontà?
Marcus Klöckner ha studiato sociologia, scienze della comunicazione e americanistica all’Università di Marburgo. Il fulcro del suo lavoro di giornalista e autore è la critica al potere e ai media.
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