Sulla vicenda della Flotilla per Gaza si fronteggiano quattro tesi giuridiche

Le azioni della Flottilla sono legali o illegali?

La condotta della Flotilla non è in alcun modo illegale né dal punto di vista del diritto interno né del diritto internazionale, dato che il “blocco navale” è ormai divenuto totalmente illegittimo, in ragione della condizione di accertamento del genocidio a danno della popolazione di Gaza
28 settembre 2025
Michele Carducci
Global Sumud Flottilla Sulla vicenda della Flotilla per Gaza si fronteggiano quattro tesi giuridiche.
1) La prima, la meno plausibile, è quella che sostiene che l’azione della Flotilla sarebbe legittima perché consisterebbe in un atto di disobbedienza civile in nome del rispetto del diritto internazionale e umanitario da parte di Israele. Tale tesi appare poco persuasiva perché la disobbedienza civile insorge allorquando sussistono due condizioni concomitanti: a) l’assunzione consapevole e deliberata di condotte in violazione di leggi ritenute ingiuste; b) in nome del riconoscimento di diritti e soggettività di chi disobbedisce, altrimenti negate dal diritto ufficiale. Nessuna delle due condizioni è riscontrabile nelle condotte e nei soggetti della Flotilla. In primo luogo, la Flotilla non sta violando, almeno fino ad ora, alcuna disposizione né di legge interna agli Stati dei soggetti partecipanti (esercitando la c.d. “libertà di navigazione”) né del diritto internazionale (generale, consuetudinario, pattizio, del mare e umanitario). Essa, al contrario, rispettando rigorosamente queste fonti giuridiche, intende dimostrare le violazioni israeliane del diritto (come, per esempio, l’utilizzo illegittimo dei droni a disturbo della propria navigazione). In secondo luogo, i partecipanti alla Flotilla non rivendicano diritti o soggettività negate per sé, ma piuttosto solidarizzano con soggetti e diritti negati per altri (i palestinesi a Gaza). Dunque, la tesi giudica della disobbedienza civile non contribuisce alla conoscenza e comprensione dell’iniziativa.

2) La seconda tesi è quella che ritiene che l’attività della Flotilla sia illegale dal punto di vista del diritto nazionale, almeno in Italia.
A dimostrazione, si evoca addirittura l’art. 244 del Codice penale italiano, intitolato “Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra”. L’art. 244 così testualmente recita: «Chiunque, senza l’approvazione del Governo, fa arruolamenti o compie altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra, è punito con la reclusione da sei a diciotto anni; se la guerra avviene, è punito con l'ergastolo. Qualora gli atti ostili siano tali da turbare soltanto le relazioni con un Governo estero, ovvero da esporre lo Stato italiano o i suoi cittadini, ovunque residenti, al pericolo di rappresaglie o di ritorsioni, la pena è della reclusione da tre a dodici anni. Se segue la rottura delle relazioni diplomatiche, o se avvengono le rappresaglie o le ritorsioni, la pena è della reclusione da cinque a quindici anni». Come si vede, questo tipo di reato, per essere correttamente compreso, deve essere declinato con le regole e i principi del diritto internazionale (ossia del diritto fra Stati per la pace). Infatti, gli elementi costitutivi e distintivi della condotta criminosa sanzionata risiedono in tre presupposti: -a) quello c.d. “negativo” della “mancata approvazione del Governo” (che, secondo la dottrina, mancando precedenti successivi alla Costituzione repubblicana, deve consistere in una formale dichiarazione governativa di delegittimazione dell’iniziativa perché illegale, da rendere o antecedentemente alla consumazione del reato – se si è a conoscenza della condotta – o successivamente all’atto compiuto); -b) il carattere “ostile” dell’atto, solitamente individuato nella violazione di norme costitutive delle relazioni internazionali di pace, a partire dalla Carta delle Nazioni Unite; - c) la destinazione dell’atto “contro” lo Stato estero, che consiste nel violarne la sovranità territoriale con la forza oppure nel comprometterne la condizioni di rispetto dei propri diritti e obblighi di diritto internazionale o i rapporti bilaterali fra Italia e lo Stato estero coinvolto. Come accennato, non esistono casi di applicazione di questa disposizione nella storia repubblicana italiana. L’art. 244 Cod. pen. non venne applicato neppure nei confronti di Giorgio Rosa, fondatore della famosa c.d. “Isola delle Rose” al largo di Rimini, in acque internazionali, nel 1968, in ragione della natura non violenta e pacifista di quella singolare (e un po’ bizzarra) iniziativa, che non intendeva essere “ostile” verso nessuno, né verso l’Italia né verso la Jugoslavia (di allora). Ma anche nel caso della Flotilla, l’art. 244 Cod. pen. non è in alcun modo invocabile, per cinque ragioni: perché la condotta degli attivisti non è stata formalmente “disapprovata” dagli organi costituzionali italiani, titolari del potere estero (basti pensare alle dichiarazioni del Presidente della Repubblica, che l’ha elogiata nei suoi fini umanitari, e a quelle del Governo, per bocca del Ministro Crosetto); è pacifista e non violenta; non è “ostile” verso la sovranità dello Stato di Israele (portando aiuti umanitari a Gaza, territorio estraneo appunto alla sovranità israeliana); non compromette le relazioni bilaterali (vive e vegete con i famosi Memorandum militare e Accordo di sicurezza, che nessuno dei due Stati minaccia di abbandonare); e non mette a repentaglio diritti e doveri di Israele nel diritto internazionale (visto che purtroppo è Israele a violare il diritto internazionale generale, consuetudinario, pattizio, del mare e umanitario). Dunque la tesi è totalmente insostenibile. Nessun penalista serio la prenderebbe in considerazione. Non a caso, essa affascina, come sempre, solo chi di diritto conosce poco o nulla.

3) La terza tesi sostiene che comunque l’azione della Flotilla sarebbe illegale, una volta che gli attivisti andranno a infrangere il “blocco navale” israeliano sulle coste di Gaza. A sostegno di siffatta tesi, si afferma che il “blocco navale” israeliano, pur non riguardando un territorio sottoposto alla sovranità di Israele, sarebbe comunque legittimo alla luce di un documento prodotto nel 2011 dalla Commissione d’inchiesta del Segretario Generale delle Nazioni Unite sul raid israeliano a danno della Flotilla “Mavi Marmara” nel 2010, noto come “Rapporto Palmer” (dal nome del suo presidente, ex Primo ministro neozelandese). In effetti, il “Rapporto” dichiarò quel blocco navale israeliano su Gaza legittimo in base al diritto Internazionale, giustificato dal fatto che Israele stesse affrontando una seria minaccia alla propria sicurezza da parte di Hamas. Lo stesso Rapporto, però, criticò duramente l’uso eccessivo e sproporzionato della forza, da parte delle forze israeliane durante l’abbordaggio della nave, definendolo “inaccettabile”, perché provocò nove morti e molti feriti, anche gravi, fra gli attivisti turchi a bordo della Flotilla. Infatti, la Turchia, a seguito di quell’evento, dichiarò ufficialmente la rottura delle relazioni militari e diplomatiche con Israele. Inoltre, proprio per gli effetti nefasti dell’abbordaggio israeliano, anch’esso avvenuto in acque internazionali, il “Rapporto Palmer” venne poi respinto dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU, che sottolineò l’illiceità dell’uso della forza e le conseguenze umanitarie del blocco terrestre, marittimo e aereo imposto a Gaza, qualificandolo come una forma di punizione collettiva, in violazione dell’articolo 33 della IV Convenzione di Ginevra del 1949, a protezione dei civili. Dunque, questa tesi, evocando il “Rapporto Palmer”, finisce con lo smentire se stessa, considerati i contenuti sanzionatori del “Rapporto” e l’esito finale in sede di Consiglio per i diritti umani.

4) La quarta tesi è quella più corretta in punto di diritto, in quanto essa fa presente che la condotta della Flotilla non è in alcun modo illegale né dal punto di vista del diritto interno né dal punto di vista del diritto internazionale, dato che il “blocco navale” di Israele sulle coste di Gaza è ormai divenuto totalmente illegittimo, in ragione della condizione di accertamento del genocidio a carico dello Stato israeliano a danno della popolazione di Gaza e dell’ostinata violazione israeliana del c.d. “Manuale di Sanremo” del 1994, documento internazionale non vincolante ma ampiamente riconosciuto come espressivo di regole consuetudinarie umanitarie, applicabili nei conflitti armati in mare. In base a quel “Manuale”, infatti, Israele, se davvero convinta di operare nel rispetto del diritto internazionale, dovrebbe accogliere la Flotilla (dato che essa non trasporta agenti o mezzi di Stati in guerra con Israele), accettare gli aiuti umanitari, procedere alla loro distribuzione, garantire la supervisione dei rappresentati della Flotilla.
Lo farà Israele? Tutti i precedenti portano a una risposta negativa. Addirittura, Israele, nei casi precedenti, ha applicato agli equipaggi delle Flotilla il proprio diritto interno militare, persino in acque internazionali o a bordo delle navi straniere. Il che costituisce mostruosità giuridica perché assume il postulato (mostruoso, in quanto risalente alle pratiche di pirateria marittima) che il diritto interno israeliano (militare e penale) prevalga sul diritto internazionale e persino su quello degli altri Stati, i cui cittadini lo rispettano e lo applicano sia nelle loro navi che nei rapporti con altri navi o Stati.

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