E domenica il prete non potrà tacere...
La morte di Lazzaro, su cui Gesù pianse richiama al senso della morte di tanti sconosciuti su cui dovrebbero scorrere lacrime di chi non può assistere alla loro morte o accompagnarli nell’ultimo passaggio: morti di ‘senza nome’, frutto di ingiustizia e di scelte inique, ma anche frutto di negligenze e di calcoli politici di chi sfrutta la questione immigrazione e l’emergenza a scopi puramente propagandistici ed elettorali. A fronte di tale cinismo è importante resistere e mantener fermo uno sguardo che sappia vedere volti di persone, di uomini e donne, con legami, storie, ferite, attese e sogni… con bagagli di vita vissuta e di vita attesa naufragati con loro nel freddo mare di una traversata iniziata nella disperazione e nella speranza e conclusa nel buio ingoiati dalle onde. Abbiamo ascoltato in questi tristi giorni voci indegne con richieste di respingimenti senza scrupolo, o inviti sorprendenti all’ospitalità “perché l’Italia è un paese cattolico” da parte di chi non ha alcun rispetto per la fede sottesa a tale riferimento ma nutre solo interessi di sostegno politico da parte di gerarchie ecclesiastiche sensibili alle blandizie del potere. Lo spettacolo dell’ipocrisia sembra non avere limiti: chi guida una compagine politica composta di forze che assecondano bassi egoismi dell’elettorato, chi ha promosso una legislazione che considera la condizione di clandestinità come reato, chi fino all’altro ieri ha concluso patti senza scrupoli con i dittatori sulla pelle dei diseredati ed ha calpestato in ogni modo legalità e diritti, si fa promotore di valori cristiani, quando invece ciò che si esige da un governo sarebbe riconoscimento di diritti umani e rispetto per la Costituzione. La volgarità, la provocazione alla rissa, lo schiamazzo prevalgono, ma soprattutto si afferma la regola che chi dispone di ingenti mezzi economici la può fare franca di fronte a qualsiasi legge e tutto può comprare mentre la condizione dei poveri è disprezzata. Nel trionfo dell’ipocrisia e di assenza di sentimento umano che osserviamo attorno c’è anche qualche esile traccia di un richiamo antico alla pietà, alla com-passione umana, da notare, a cui lasciare spazio, uno spazio di riconoscimento di umanità comune: tra questi un articolo di Paolo Di Stefano e la voce della presidente della Rosa Bianca.
Paolo Di Stefano, Migranti. Quei morti senza nome ci dovrebbero spingere alla pietà (“Corriere della Sera” 4 aprile 2011): “L’emergenza sui migranti che approdano sulle coste italiane, il confronto politico interno, l’esigenza di uno smistamento equo, le discussioni che conseguono a tutto ciò rischiano di tenere in ombra, nella nostra coscienza, l’autentica e più profonda dimensione della catastrofe umana. Interi barconi dispersi di cui abbiamo notizie frammentarie e tardive. Una settantina di cadaveri trovati in fondo al mare, vite in fuga che diventeranno tanti ‘senza nome’ sulle lapidi di chissà quale cimitero, come molti altri ignoti la cui morte è già incisa, priva di dati anagrafici, nei marmi di Lampedusa. E chi lo sa quante famiglie, quanti bambini, figli, madri e padri che nessuno osa reclamare ma che di sicuro qualcuno ha pianto, piange o piangerà. Se l’Italia, come ha affermato il premier Berlusconi, è davvero ‘un Paese solidale’, dobbiamo tutti tenere ben presente l’enormità incommensurabile della tragedia. Magari ricordando che anche per gli sconosciuti (a noi) che partono per disperazione dalla loro terra esiste un fondamentale riconoscimento dei diritti umani. E che oltre alle trattative diplomatiche e le polemiche e le invettive e i dibattiti da talk show e le dichiarazioni di rigore e di opportunità (spesso meschine) e i propositi di respingimento senza-se-e-senza-ma e i vergognosi spettacolini parlamentari, esiste un livello minimo di pietà, solidarietà, compassione, carità (chiamatela come volete) sotto il quale anche il nostro cinismo da salotto non può (non deve) scendere. A meno che il nostro cinismo non ci faccia ritenere che esistano morti di serie A, morti di serie B, morti di serie C, D eccetera, lasciando nelle categorie più basse le vittime della povertà, della paura e delle guerre (non si può dire neanche lontane), quelle che hanno cercato scampo altrove e che sono state ripescate nel fondo del mare, indegne di emozione prima ancora che di commozione perché colpevoli di aver minacciato il nostro benessere. La pietà, ha scritto Sciascia, è un terribile sentimento: un uomo deve amare o odiare senza vie di mezzo? E sia. Allora i morti sconosciuti in fondo al mare ci costringono a scegliere”.
Alessandro Cortesi op, Pistoia
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