Web Man Walking Giornalisti e informazione antimafia al tempo di Internet

7 settembre 2006
Roberto Salvatore Rossi
Fonte: "Problemi dell'informazione" 2/2006. Edizioni Il Mulino, Bologna

Fra le dita un bicchiere di amaro “Il Padrino”. «E la macchina, dove gliel’hanno bruciata?» Un sorso distratto. La sensazione (consapevole) di aver detto qualcosa di troppo. Nel bar di Piazza Falcone e Borsellino, a Corleone, il silenzio pesante è rotto dal rumore stropicciato della carta del «Giornale di Sicilia» piegato nervosamente, e da una voce che arriva da dietro le spalle. Chiara, limpida, assertiva: «la macchina se l’è bruciata da solo, per farsi pubblicità, per comprasene una nuova».
Di solito è una questione di fimmine, quando un uomo che fa antimafia viene assassinato. Questa volta il morto non c’è, ma a dispetto del «tam tam» popolare che normalmente accompagna un attentato di mafia, le fiamme che avvolgono un’Opel Vectra la notte tra il 28 e il 29 gennaio, nel paese dell’entroterra palermitano, hanno un significato preciso. «Da anni Dino Paternostro, insieme ad altri e ad altre, sta insegnando ai giovani che, come diceva don Milani, "l'obbedienza non è ormai più una virtù ma la più subdola delle tentazioni". Ma dire ai giovani con i fatti che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza alla logica del dominio è la più subdola delle tentazioni: tutto questo a qualcuno non piace. Prendere la parola, usare la parola, Dino non ha altri strumenti né potrebbe averli, disturba. Perché non è vero che le parole non fanno niente, come un certo qualunquismo, un certo perbenismo, un certo comodismo interessato ripete. Non è vero che finché si parla non succede niente. No, le parole rompono il silenzio e il quieto vivere, squarciano i veli, disturbano i manovratori» (Rosario Giuè, «la Repubblica/Palermo», 1 febbraio 2006).
Dino Paternostro ha la doppia colpa di essere giornalista e segretario della Camera del lavoro nel paese dove nel 1948 l’assassinio del sindacalista comunista Placido Rizzotto segnava l’ascesa del giovane boss Luciano Liggio. Quella vicenda, insieme ad altri episodi che hanno marcato «la storia dei golpisti di Cosa Nostra», è raccontata nel libro «I Corleonesi», distribuito con «L’Unità» e scritto dal direttore del giornale online «Città Nuove», collaboratore di «Repubblica», del mensile «Narcomafie» e del quotidiano «La Sicilia», per il quale cura una rubrica di approfondimento storico.
Dino, ma perché colpire proprio te, insomma, Cosa Nostra ha altre vocazioni ormai? «L’analisi della mafia post-moderna, impegnata nella finanza internazionale è incompleta, l’organizzazione conserva la sua ingerenza presso gli affari delle piccole comunità, non rinunciando a nessun settore di attività, anche solo per mantenere il controllo del territorio. Per questo è importante scommettersi al livello locale nel fare un’informazione che rimanga attenta all’evoluzione del fenomeno e alle sue commistioni con la vita pubblica». «Città Nuove» era un mensile. Sul web è migrato nel 1999, perché la scelta di non avere grossi sponsor pubblicitari impediva di sostenere le spese di stampa. «Mi piace parlarne come di una testata-progetto: il progetto di incoraggiare e sostenere la nascita di "nuove città", libere dalla mafia e dal malaffare. Una rivista capace di riflettere e di fare riflettere sugli avvenimenti, di scavarvi a fondo, di immaginare un futuro migliore».
Con una media di centocinquanta contatti giornalieri oggi è l’unica testata presente nel territorio. Si rivolge ad un pubblico locale, ma il 15% dei visitatori si collega dalla Svizzera, dalla Germania e da tutti i Paesi in cui sono presenti emigrati corleonesi. I temi, trattati spesso con ironia, sono legati al territorio, e finalizzati alla considerazione sul fenomeno mafioso. Gli strumenti sono quelli tradizionali: l’approfondimento giornalistico, l’analisi, l’inchiesta. «Internet ci permette di essere presenti costantemente sulla notizia, nel caso ce ne fosse necessità. Ma è indiscutibile che il valore aggiunto è calcolato sulla possibilità di condurre liberamente campagne stampa nei confronti del malgoverno, attraverso le inchieste e gli approfondimenti che programmiamo nel corso delle riunioni di redazione, ogni quindici giorni».
Riflettere sugli avvenimenti comporta la necessità di avere degli strumenti di analisi, per questo il sito è dotato di una rassegna stampa che raccoglie i contributi pubblicati su altre testate sui temi che più interessano la community antimafia nata intorno al sito. Non mancano inoltre riflessioni e ricerche di carattere storico: «Scavare nella memoria storica serve a mantenere il rapporto con il passato di lotta alla mafia. Corleone ha avuto una grande parte nella storia del movimento antimafia. Inoltre la storia è un valido strumento di lettura dell’attualità. Un esempio: Michele Navarra, il vecchio boss ucciso da Liggio negli anni Quaranta, era un medico. Il suo salotto non era molto diverso da quello di Giuseppe Guttadauro, il medico capomandamento di Brancaccio, le cui intercettazioni sono al centro delle recenti inchieste sui rapporti tra mafia e politica che coinvolgono anche il presidente della Regione, Cuffaro, medico a sua volta».
«Città Nuove» è anche un’associazione ed è collegata alla CGIL. Il sito diventa uno strumento di mobilitazione e promozione di azioni offline: «in un piccolo paese i momenti non possono essere separati. C’è l’azione sindacale concreta, c’è il racconto giornalistico e la riflessione pubblicata sul web. Non è solo informazione, non è solo azione sociale, è un mix di riflessione e di partecipazione sociale che infastidisce non poco i mafiosi e i gestori corrotti della cosa pubblica». Nel giro di due anni sono arrivate tre querele, ora si brucia una macchina: «non c’è dubbio che entrambe le manifestazioni sono strumenti intimidatori del sistema politico-mafioso».
Il primo febbraio, sulla cronaca palermitana di «Repubblica», si parla ancora dell’attentato, mentre sulle pagine nazionali infiamma la questione iraniana. Un piccolo quadro racconta la storia di Hossein Derakhshan, il blogger che dal Canada gestisce hoder.com, un blog politico, redatto in persiano e in inglese, capofila di una serie di iniziative online prese dai riformisti iraniani che usano la rete per diffondere le loro idee politiche, in opposizione al regime teocratico. Realtà diverse, per cultura, per storia, per sistema politico, e però anche il giornalista di Corleone non è il solo in Sicilia che si occupa sistematicamente di mafia e delle sue infiltrazioni presso le istituzioni politiche ed economiche.
Mentre la maggior parte dei media tradizionali regionali disertano, in nome di un ostentato garantismo, l’impegno antimafia, offrendo un’informazione da desk, senza andare a fondo nelle questioni, senza analisi e commenti che non dicano il già noto, questi giornalisti sono riusciti a ritagliarsi piccoli ma densi spazi web, presso i quali affrontare i temi più scottanti della società siciliana. Con loro, l’informazione antimafia si è attrezzata sfruttando al meglio le potenzialità che il nuovo mezzo mette a disposizione. L’approfondimento, il giornalismo partecipativo, la progettazione di iniziative offline. E soprattutto la prima e non trascurabile virtù: che «scrivere su un sito costa appena un po' di più che scrivere sui muri ma è infinitamente più efficace» (Riccardo Orioles, «La Catena di San Libero», 26 maggio 2003). Esistono, lavorano, danno fastidio, e già solo questo, nella terra degli otto cronisti uccisi e dell’«oligopolio protocapitalistico» (Nicastro, 2003), dove Catania e provincia sono esclusi dalla diffusione del dorso regionale di «Repubblica», è una boccata di ossigeno per il pluralismo dell’informazione isolana, oltre che rappresentare una mappa culturale sulla quale tracciare un percorso di rinascita civile e morale della cittadinanza impegnata nell’antimafia.
«Forse non sarebbe male prepararsi ad un nuovo totalitarismo ma questa volta non andando in montagna, bensì mettendosi online», la provocazione è di Umberto Eco (2003). Riccardo Orioles – ex redattore del «Giornale del Sud» e dei «Siciliani», cofondatore di «Avvenimenti» e dal 1999 curatore di una e-zine che affolla più o meno ogni settimana le mail di 5000 utenti – la raccoglie e la muove sul contesto regionale: «È ormai veramente improprio parlare, sul piano tecnico, di "nuove" tecnologie. Nel giro di vent'anni, la tecnica dei computer si è ormai affermata a livello diffuso e maturo […]. Tuttavia, le tecnologie continuano ad essere "nuove", nel senso che non siamo ancora arrivati a percepirne le estreme – e liberatorie – conseguenze. È come se stessimo usando già da una generazione l'alfabeto fenicio ma senza ancora avere abolito del tutto i geroglifici, e senza soprattutto aver compreso come l'alfabeto moderno, riservato a tutti e non a pochi sacerdoti, renda ormai obsoleti i vecchi inni ai Faraoni e renda possibile alla persona comune comporre storia, cultura, scienza e anche canzoni d'amore. L'alfabeto fenicio si sviluppò maggiormente in regioni periferiche, dove la comunicazione "ufficiale" non aveva raggiunto la complessità e la prepotenza toccate altrove. La poesia moderna così nacque in Grecia, e non al centro dei vari imperi. E oggigiorno, non c'è ragione per cui una regione relativamente povera, e certo molto deprivata sul piano della comunicazione ufficiale, non possa invece porsi consapevolmente l'obiettivo di essere fra le prime sul piano dei nuovi alfabeti» (Orioles, 2006).
«Non so su che mezzo stai leggendo, in questo momento, queste righe. Al momento in cui scrivo, non so se esse verranno pubblicate da un giornale, e da quale, o se le diffonderò tramite Internet, o se mi stai leggendo grazie a una stampante laser a 300 dpi - o su un volantino. Faccio il giornalista antimafia da vent'anni, e al ventunesimo anno non sono affatto sicuro di potermi far leggere da te con mezzi "regolari"». Con questo editoriale debutta il 25 ottobre del 1999 la «Catena di San Libero», una e-zine distribuita tramite posta elettronica, e «montata» anche su altre piattaforme sotto forma di rubrica. Come è tipico dei magazine curati da one web man (Romagnolo e Sottocorona, 1999; Miani, 2005), la «Catena» è legata ad un formato giornalistico classico, che differisce dal più recente formato blog, soprattutto in termini di interattività: non c’è la possibilità di fare commenti estemporanei, anche se in ogni numero c’è uno spazio dedicato alle mail dei lettori, che rimane comunque uno strumento tipico dell’informazione su carta. Anche la struttura è simile ad un periodico cartaceo, declinato rispettando i canoni di un foglio di opinione. L’editoriale, che riflette spesso con mordente ironia sull’attualità, su un evento particolare della settimana: «il fatto che secondo me, e rispetto al target a cui mi rivolgo, – dice il giornalista – ha il valore aggiunto di rimanere oggetto di dibattito pubblico per più di una settimana». Seguono commenti e analisi «da giardinetto». Giardinetto? «Si, – continua – sono i discorsi da giardino pubblico, quelli che fanno i pensionati attorno alle panchine, mentre accompagnano i nipoti alle giostre..». E ancora, notizie e curiosità che difficilmente passano nel circuito dei mass-media. Spesso sono presenti contributi di altri giornalisti, come gli appuntamenti con Carlo Gubitosa ed Enrico Natoli. C’è anche lo «spot», uno spazio dedicato all’informazione su campagne civili, raccolta fondi, particolari iniziative online e offline, o l’uscita di qualche rivista. Spesso la «Catena» si è fatta autonomamente promotrice di azioni e campagne civili.
La mafia e l’antimafia rimangono i temi forti, ma si discute spesso anche di libertà di informazione, di diritti civili, prendendo sempre spunto dall’attualità, e non rinunciando mai alla sottile arte del pungolo, retaggio di una tradizione rispetto alla quale il giornalista deve essere antipatico, scomodo, fastidioso: «il modello che avevo in testa quando ho dato vita alla «Catena» era quello dei grandi giornali illuministi del ‘700, come lo «Spectator» di Richard Steele e Joseph Addison o «Il Caffè» del circolo di Pietro Verri». Un’altra peculiarità della «Catena» è il rapporto coi lettori. Frequentata da un pubblico nazionale «politicamente e anagraficamente variegato», offre ai suoi lettori la possibilità di collaborare. Oltre alle mail infatti, vengono pubblicate curiosità e notizie raccolte da loro stessi. Alla base del “contratto” non c’è alcuno scambio di natura economica. Ai lettori è chiesto di fare la loro parte per incrementare il contenuto, di partecipare alla raccolta delle informazioni: «non mi interessa avere un grande pubblico, mi interessa che chi mi legge mostri un interesse partecipativo. Non di rado cancello dal mailing chi non si fa vivo per molto tempo, anche solo per esprimere una critica». La «Catena», anche per questo motivo, al contrario di diverse esperienze one web man d’oltreoceano, non può essere presa in considerazione come modello di business. «Gratuita, indipendente, senza fini di lucro», è finanziata da chi, tra i fruitori, vuole contribuire alle spese. «Quello che mi interessa è mettere a disposizione uno strumento culturale, offrire un punto di vista militante, nient’altro». «A che serve vivere se non si ha il coraggio di lottare?»: è la frase di Giuseppe Fava che regolarmente chiude ogni numero della «Catena di San Libero».
Al di là delle potenzialità in termini di libertà e pluralismo dell’informazione, il merito importante di chi sceglie il web per fare informazione antimafia è il fatto di creare le condizioni perché si mantenga vivo tra gli individui l’impegno della lotta alla mafia, soprattutto negli anni della normalizzazione: il processo che vede crescere l’impunità dei criminali, tornata a livelli altissimi, in proporzione all’invisibilità militare di Cosa Nostra, con conseguenze rovinose per l’educazione alla legalità delle nuove generazioni. In altri termini, ciò che il web permette di fare, rispondendo all’insufficienza informativa dell’oligopolio, è offrire un repertorio culturale all’antimafia. Rispondere alle urgenze informative delle identità antimafia, i cui capitali sociali e personali si misurano principalmente sulla base dei bisogni simbolici degli individui: avere a disposizione informazioni e conoscenze, e ancora avere la possibilità di veicolarle, scambiarle, confrontarle liberamente e consapevolmente. Questa è la valenza dei «giardinetti» di Riccardo Orioles e dell’informazione locale connessa alle azioni sociali di Dino Paternostro. In questi termini ancora va stimata l’importanza del lavoro di inchiesta e di ricerca storica di leinchieste.com, il sito di Carlo Ruta.
«Molti sono i ragazzi che mi hanno chiesto informazioni su Giovanni Spampinato, il cronista de «L’Ora» ucciso a Ragusa nel 1972 – chiosa Ruta – alcuni di loro stanno approfondendo la sua storia, stanno compilando tesi di laurea. Niente male per una storia ancora irrisolta e di cui quasi nessuno sapeva niente». Fabio Repici è l’avvocato di parte civile della famiglia del giornalista Beppe Alfano, ucciso dalla mafia nel 1993, scrive all’indomani di un attentato a Ruta, nel marzo del 2004: «Leggere la storia di Giovanni Spampinato (i cui scritti mi hanno impressionato per la lucidità di denuncia e la maturità di comprensione degli intrecci fra fascio, mafia e settori dello Stato) mi ha fatto individuare nitidamente alcune similitudini con la vicenda di Beppe Alfano ... È per queste ragioni che desidero manifestarle la mia stima e, soprattutto, la mia solidarietà per le "attenzioni" di cui è fatto segno».
Nato dalle ceneri di accadeinsicilia.net – fatto oscurare dal tribunale di Ragusa nel dicembre del 2004, mentre sulle sue pagine veniva sviluppata un’inchiesta incrociata sulla Banca Popolare di Ragusa e la Procura – leinchieste.com è il «diario di informazione civile» di Carlo Ruta, uno storico con la passione del giornalismo: «mi occupavo di storia. Mi interessava indagare sulle riflessioni degli intellettuali rispetto alla strategia della tensione, le stragi di stato, e personalmente conducevo un lavoro di ricerca sulla strage di Portella della Ginestra e sul rapporto tra le politiche agrarie di Mario Scelba e il bandito Giuliano. Poi è venuta la scelta, che io chiamo “minimalista”, di occuparmi delle piccole storie del sud-est siciliano, quelle di cui nessuno avrebbe parlato mai, e che spesso fanno parte dell’attualità. Il mio incontro con Internet è combaciato con questo cambio di prospettiva, che ha portato inevitabilmente a scontrarmi con la realtà del territorio. A fare informazione laddove l’informazione dei grossi media regionali non arrivava, e continua ad essere appiattita su posizioni reticenti. Qui non si tratta di fare controinformazione – tiene a ribadire, tra i libri di storia e le prime pagine de «L’Ora» dedicate all’assassinio di Spampinato appese ai muri della sua casa di Pozzallo – qui siamo noi a fare diventare notizie fatti che sennò sarebbero totalmente ignorati. Facciamo informazione, semplicemente».
Il caso Spampinato, il cui omicidio fu risolto con la condanna del killer a cinque anni di reclusione da scontare in un ospedale psichiatrico; ma anche la vicenda della morte di un boss, considerato un onesto imprenditore; le indagini sulla procura di Ragusa, il cui operato è stato messo sotto inchiesta dal Csm, ed è stato oggetto di una recente interrogazione parlamentare di Oliviero Diliberto; le inchieste sulla Banca Popolare di Ragusa «la ventesima in Italia per capitalizzazione»; gli approfondimenti sulle condizioni dei clandestini ospitati dai Cpt siciliani; e ancora la ricostruzione del modus operandi e degli organigrammi delle organizzazioni criminali della provincia di Ragusa colluse con le istituzioni, «in una zona che è sempre stata considerata lontana e immune dalle vicende di Cosa Nostra». Tanti e tante le storie e i campi d’indagine di cui il giornalista di Pozzallo si è occupato nella solitudine della sua redazione domestica. Mettendo in piedi un lavoro di ricerca certosino, col metodo dello storico, contestualizzando ogni avvenimento, offrendo una lettura dei fatti inedita, pubblicando stralci di documenti giudiziari, provocando lo sdegno della società civile. Non di rado le sue ricerche si sono risolte con l’organizzazione di comitati cittadini che chiedono chiarezza e la riapertura di casi giudiziari insabbiati.
Il sito non rinuncia alla sua vocazione storica. Un frame è dedicato agli studi sulla strage di Portella della Ginestra, e le implicazioni di Mario Scelba in quella che da più parti è stata definita la prima stage di Stato della storia della Repubblica. Altre parti sono affollate dalle testimonianze storiche di studiosi e viaggiatori che hanno scritto sulla Sicilia: da alcuni passaggi dell’indagine sulle condizioni socioeconomiche di Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti della seconda metà del XIX secolo, alle note di viaggio di Renè Bazin. Ancora, una sezione è dedica al «dibattito sull’informazione in Sicilia», con i contributi di alcuni studiosi. Mentre non si rinuncia a raccontare le «storie di ordinaria ingiustizia», le vicende «minime, ma emblematiche» di persone lese nei loro diritti, «che nessuno raccoglierebbe mai».
Certo, il feedback non è sempre positivo: l’oscuramento del sito, l’incendio della sua automobile, il furto di qualche centinaio di libri, venticinque querele «tutte risolte in mio favore, tranne una per la quale sono ricorso in appello, e che ho buone possibilità di vincere». Oltre che svariate minacce più o meno velate: «tanti sono gli strumenti per intimorire, legali e non legali. Lì per lì ti tremano un po’ le gambe, ma poi vai avanti, conservi un senso di dignità, devi pur mantenere un minimo di rispetto per te stesso e per quello che fai».
Storie come quelle di Ruta, Orioles e Paternostro consegnano paradossalmente alla seconda paventata svolta digitale il merito di restituire un giornalismo vecchia maniera, fatto di scarpe sporche e di polverose carte giudiziarie, l’unico possibile in provincia, lontano dalle redazioni e dalle notizie già confezionate che appaiono sui desk. Questo anche in virtù dei bisogni informativi dei pubblici di riferimento. «Si cambia il mezzo, non si cambiano in sostanza le esigenze di informazione» (Campanella, 2003, p. 81). A causa o per colpa della nota situazione del mercato regionale, con loro, prima e dopo di loro, il nuovo medium è stato luogo di sperimentazione per altri formati giornalistici.
È il caso di Itacanews.it, web-magazine diretto da Claudio Fava, il cui valore aggiunto si misura sulla raccolta di articoli ed analisi apparsi su altre testate e sui commenti del direttore.
Ancora, Antimafiaduemila.com che, oltre a pubblicare alcuni articoli usciti sul cartaceo «Antimafia» e a metterne a disposizione l’archivio, offre la possibilità di scaricare interviste e servizi in formato audio e video, sentenze giudiziarie, e un database informativo sui latitanti di Cosa Nostra. Mentre non si rinuncia a strumenti come il forum, alla promozione di campagne sull’educazione alla legalità, e alla raccolta di notizie sulla mafia, bypassando il cartaceo, i cui tempi di composizione ne inficerebbero la freschezza.
Terrelibere.org nasce nel 1999 da un gruppo con esperienze nel giornalismo d’inchiesta, nella ricerca sociale e nella cooperazione internazionale. Produce e diffonde inchieste ed e-book su temi come migrazioni, antimafie, economia globale, pace e ambiente.
Cuntrastamu.org è il sito di un’associazione il cui obbiettivo è «quello di portare l'attenzione sulla presenza delle mafie in Italia, una realtà che costituisce un serio ostacolo alla crescita culturale, economica e sociale del nostro paese» (cuntrastamu.org). Si occupa di tutte le mafie del Paese, pubblicando documenti di studio relativi alle diverse organizzazioni criminali, e offrendone una copertura informativa completa attraverso una rassegna stampa di ampio respiro. È collegata ad un blog tematico, Cuntrablog.
Sono le caratteristiche di libertà, di economicità e di sostanziale illimitatezza dello spazio sul web che più giovano all’esperienza dell’informazione antimafia, le cui esigenze rimangono quelle dell’approfondimento e dell’analisi. Inoltre le nuove tecnologie rappresentano una risorsa importante per i territori non coperti dalle testate regionali, dando la possibilità a piccoli giornali locali – che non potrebbero coprire i costi di stampa, dato l’asfittico mercato pubblicitario – di sviluppare un giornalismo per alcuni tratti simile al community journalism americano descritto da Jock Lauterer, che si prende cura («take care») di raccontare le storie «relentlessy local», e si occupa dei fatti nazionali solo se collegati alle questioni locali. Ma che allo stesso tempo può diventare una fonte autorevole per l’informazione nazionale, e che spesso azzera le distanze fra le categorie di «Community of Ideas» e «Community of Place» – sottostanti all’analisi dello studioso americano (Pedretti, 2003) – posto che i lettori condividano non solo gli ambienti geografici dei quali si racconta, ma anche e soprattutto un senso di riscossa civile e di partecipazione alla lotta contro il potere mafioso.
Infine, proprio in relazione al concetto di partecipazione, ci si è accorti di come l’interattività connessa all’uso di Internet abbia determinato non solo la possibilità di sperimentare a livello locale o comunitario (of ideas) nuove forme di giornalismo partecipativo, ma anche l’opportunità di usare il mezzo come luogo di mobilitazione per azioni offline, diminuendo le distanze tra operatore e fruitore dell’informazione, e agevolando il rapporto di scambio simbolico, necessario ad un giornale – e ad una qualsiasi agenzia culturale – per continuare ad essere «officina delle identità» (Agostini, 2006), e per incidere discretamente sui comportamenti sociali.
Ci sono ancora due osservazioni. La prima è che le esperienze prese in analisi non rappresentano modelli di business, con tutto ciò che questo comporta in termini di professionalizzazione e sviluppo del modello informativo (che tuttavia rimane legato più alle logiche della militanza volontaristica politica e civile). La seconda considerazione riguarda la fruizione ed è declinata su due piani: quello culturale e quello tecnologico. Specialmente nei piccoli centri siciliani l’abitudine di prendere informazioni da Internet è ancora poco diffusa, mentre la carenza di infrastrutture è alla base di un digital divide che rischia di inficiare l’impegno di questi operatori dell’informazione, la cui attività è da prendere in considerazione unicamente sotto l’aspetto culturale e della sperimentazione.

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Riferimenti Bibliografici

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