Perché la democrazia sta incutendo timori?
Non era neppure passato un mese dall’insediamento della 16esima legislatura, che già Alfano s’occupava d’intercettazioni. Per ridurle, nei tempi e nel numero, voleva ricorrere, addirittura, al decreto d’urgenza, motivato dal costo eccessivo che impegnava il 33% della spesa complessiva. In effetti, negli ultimi 5/6 anni, il costo aveva raggiunto circa 1.200 milioni che, seppur ampiamente recuperato dai sequestri miliardari alla criminalità intercettata, restava una spesa elevatissima. A parità di tempo e d’inchieste, i conti rivelavano che alcune procure spendevano ben 18 volte più di altre. Chiaro è che il dato era dunque da imputare alla macchina (dis)organizzativa e non già al mero abuso del sistema investigativo. Non era neppure corretto sostenere che l’Italia ricorreva alle intercettazioni più di qualunque altro Paese. Da noi l’accesso è consentito solo all’autorità giudiziaria. Negli altri Stati è consentito anche ai servizi di sicurezza e a tutte le autorità amministrative di natura economica. Per risparmiare sarebbe stato dunque sufficiente attivarsi, a livello nazionale, come le sedi giudiziarie più diligenti. Il governo precedente stava già progettando in tal senso, sarebbe stato sufficiente proseguire l’opera, ma evidentemente lo scopo non era questo perché non se ne fece niente.
Dal 2008 a oggi, grazie alle intercettazioni, siamo venuti a conoscenza di accadimenti criminosi e criminogeni. Qualcuno, di striscio e no, ha coinvolto rappresentanze istituzionali ad ampio raggio. Se la stampa non ci avesse informato, sarebbero ancora tutte al loro posto. Il dubbio tra innocenza e colpevolezza cessa con provvedimento passato in giudicato, ma nel frattempo quel dubbio può minare lo stato di diritto, rischio che la democrazia non può permettersi.
E’ in questo contesto che la legge sulle intercettazioni è tornata -prepotentemente- a farsi sentire. Questa volta di costi non si parla proprio. Siamo stati catapultati su altro pianeta: ciò che non potè il denaro poté la privacy. E’ questa la ratio legis che vogliono propinarci per giustificare bavagli e mordacchie alla magistratura e alla libertà d’espressione. Scoperta negli Stati Uniti due secoli fa, la privacy è sbarcata da noi in tempi assai più recenti. Tra i primi autorevoli giuristi, conoscitori del significato e della natura della legge, possiamo senz’altro indicare il prof. Rodotà. Poiché la privacy ci consegna il diritto d’essere lasciati in pace, naturalmente nelle azioni del diritto e del dovere consentite dalla legge, il suo garante ci educò a comprenderne il senso.
Per gli Stati Uniti il fondamento principale della democrazia è la libertà di stampa, perciò questa è intoccabile, inviolabile e non deve subire interferenze. In un Paese governato democraticamente, ovvero informato perché possa esprimersi, deve essere la norma. La natura della privacy è pertanto subordinata alla natura della libertà d’informare ed essere informati. Rodotà che, abbiamo visto, ben conosce il significato e il significante della legge sulla privacy, si oppone recisamente al ddl sulle intercettazioni. Rileva che il dispositivo viola i cardini principali della nostra Costituzione, prima fonte del diritto. Come potrà mai reggersi il diritto alla privacy -cui il legislatore dice di riferirsi- se gli si amputano le basi della legge fondamentale e fondativa dello Stato?
La legge è una delle fonti di diritto che, necessariamente, deve attenersi a quella primaria. Non è dato che il potere legislativo la promulghi indebolendo fortemente l’operatività del potere giudiziario che, si ricorda, è uno dei tre principi fondamentali dello stato di diritto. Il ddl in questione agirebbe, di fatto, invece come ostacolo. E’ composto da tali e tanti vincoli, termini perentori, condizioni facilmente aggirabili da chi ne ha interesse, che il contrasto alla criminalità apparirebbe per lo più impossibile. La scienza della criminalità è progredita via via che progrediva la scienza contro il crimine. Far retrocedere questa vuol solo dire avvantaggiare l’altra. E’ questo che vuole il popolo sovrano? Ed è questo stesso popolo che non vuole essere informato sulle sorti della cosa pubblica, ovvero della sua cosa?
In democrazia governa la maggioranza. Paradosso vorrebbe che se questa fosse composta da delinquenti, il potere sarebbe in mano a questi? Non esiste. Tra tutte le forme di governo, la democrazia nasce dal sacrificio, dalla sofferenza, dalla generosità di chi ha rinunciato alla propria vita purché molte vite potessero vivere meglio. Potrà mai, dunque, la sua natura delinquere? Impossibile.
Se amiamo la democrazia dobbiamo, prima di tutto, comprendere di cosa è fatta e cosa ci vuole dire. E’ la ricerca del benessere per ciascuno di noi e non solo di una parte. Solo lo stare bene ci concede serenità, armonia, pace, necessarie per raggiungere la capacità di scegliere e agire scientemente, nell’interesse dell’autentico bene comune.
Diffidiamo di chi s’arroga il potere di stravolgerne la natura. Libertà, giustizia, democrazia, dignità, sono paletti intoccabili e sono nostri. Per proteggerli è indispensabile ripassare, ogni giorno, il loro significato reale.
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