Berlusconi e la Sicilia

Mentre continua nell’isola la corsa all’oro, che contrappone i maggiori gruppi industriali ed alcune economie consolidate della regione, la politica si divide. Quali i punti reali di contrasto?
28 dicembre 2010
Carlo Ruta
Fonte: "Left Avvenimenti - L'Isola possibile"

Che non si tratti di un rapporto pacifico né scontato è documentato dagli eventi più recenti che stanno interessando il Pdl siciliano e gli altri partiti che sono usciti vincenti dalle elezioni del 2008. Per mesi il fuoco ha retto sotto la cenere. Ma nell’ultimo anno la situazione è precipitata, con l’esplodere di un vero e proprio conflitto, che se ha investito in pieno i partiti del centro destra, fino a lacerarli e a sfaldare la coalizione, ha avuto effetti non da poco sul piano generale. Il sostegno conferito dal PD al secondo governo Lombardo, garantito da dirigenti di prestigio come Giuseppe Lumia, ne è un esito. Il confronto politico che attraversa i partiti è tuttavia solo il dato visibile di uno scontro strutturale, destinato a sommuovere la vicenda siciliana dei prossimi anni. Il centro destra, che ha governato le maggiori città siciliane, le province e la regione dalla metà degli anni novanta, si direbbe senza interruzione, ha espresso cinque linee economiche. Quelle già deliberate riguardano l’acqua, i termovalorizzatori, le energie rinnovabili, il ponte sullo stretto. La quinta, più recente, riguarda l’opzione nucleare, che, pure nel merito di una possibile dislocazione in Sicilia, ha trovato dei fermi sostenitori nella siracusana Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente, e nel trapanese Antonio D’Alì, presidente della Commissione Ambiente del Senato. In tali linee, in grado di movimentare in ogni caso miliardi di euro, si sintetizza in sostanza un percorso politico mirato, che reca a monte strategie e patti egemonici.

Berlusconi e Lombardo

Il sistema, entrato a regime con il quarto governo Berlusconi, si è mostrato stabile. Negli anni d’oro di Salvatore Cuffaro, quando le politiche energetiche hanno preso a muovere con forza in direzione del Mediterraneo, input decisivi venivano dal gotha industriale, mediati dai poteri istituzionali e politici della capitale. E in sede regionale, lautamente ripagati in termini di influenza e agibilità, si operava di conseguenza, soprattutto attraverso un’agenzia che nel settore delle energie e dell’acqua ha fatto epoca: l’Arra di Felice Crosta. Gli esiti sono più o meno noti. Il gruppo Impregilo, già presente negli appalti delle grandi costruzioni in Sicilia in altre regioni del sud, con movenze che in diversi casi hanno animato le cronache, ha imposto la propria egida sul mega affare del ponte, con la società «Stretto di Messina». La torinese Acque Potabili Spa, la Galva di Ottavio Pisante e la Mediterranea Acque di Genova, in sintonia con la francese Veolia e la spagnola Aqualia, hanno assunto il controllo dell’acqua siciliana. Il gruppo Falck, leader dell’energia, e Wast Italia si sono aggiudicati il business dei termovalorizzatori mentre l’eolico e il fotovoltaico hanno attratto società come Enel, Eni, Edison ed Edipower. Non sono mancati altresì inserimenti opachi e sintomatici, come quello della Pianimpianti del calabrese Roberto Mercuri, che per l’allestimento degli inceneritori nelle località siciliane ha ottenuto dal gruppo Falck un subappalto per complessivi 500 milioni di euro.

Ricomponendo in un certo modo il rapporto fra le economie nazionali e le regioni del sud, con il sostegno all’iniziativa privata a largo raggio, Berlusconi ha avuto in realtà buon gioco, potendo trarre dalle situazioni che ne sono derivate guadagni politici non indifferenti, che probabilmente hanno pure inciso sulla vittoria del 2008. Forte del decisionismo di Tremonti, che ha ispirato alcune scelte di campo, egli ha incassato consensi da alcune parti del gotha industriale. Ha finito con il convincere altresì, seppure con delle riserve, i salotti finanziari più esigenti, già titubanti. Al pari degli altri business siciliani, l’operazione del ponte sullo stretto, che il governo, tramite il CIPE, ha già finanziato con un paio di miliardi di euro, può ben motivare, tanto in tempi difficili come quelli odierni, delle aspettative in Piazza Affari. Con l’elevarsi delle poste in gioco e con l’accendersi degli appetiti, lungo le linee degli appalti e dei subappalti, era tuttavia naturale che si aprissero tensioni. E questo sta avvenendo, in Sicilia, dove il dissidio fra interessi privati e bene pubblico emerge, oggi come ieri, in modo paradossale.

I rendiconti sono partiti quando, dopo mesi di indugi, Raffaele Lombardo, pur partecipe alla compagine di maggioranza a Roma, ha deciso di porre in discussione gli equilibri emersi dalla stagione di Cuffaro. A quale scopo? Aderendo alla richiesta della UE, la nuova giunta regionale ha deciso di archiviare la vicenda dei quattro termovalorizzatori, ma, cosa curiosa, il presidente in una lettera recente indirizzata a Berlusconi rivendica il diritto della Regione, cioè suo, di essere partecipe al tavolo che, nella capitale, dovrà tornare a deliberare in merito. Come stiano realmente le cose lo si scorge comunque sul terreno. Lo stesso governo Lombardo che ha detto no agli inceneritori Falck, perché inquinanti, ha detto sì, agli inizi del 2010, al rigassificatore di Porto Empedocle, che, non meno pericoloso per l’ambiente, verrà realizzato dal gruppo Enel. Ha garantito altresì il proprio assenso per il rigassificatore di Priolo, che, malgrado i danni ambientali che già gravano sull’area designata, dovrebbe essere realizzato dal gruppo Erg, dei Garrone, in joint venture con Shell, tramite la società Ionio Gas. Riguardo al nucleare appare infine sintomatico che solo dopo la rottura il sì possibilista degli inizi sia diventato un no perentorio. Si configura in sostanza uno scenario plurimo, di interessi concorrenti, che, oltre a spiegare l’autonomismo di Lombardo, chiarifica il senso del «partito del sud» che da Gianfranco Micciché e da altri esponenti del Pdl viene minacciato alla volta del premier, della Confindustria e del «leghista» Tremonti.

Il rapporto fra Berlusconi e la Sicilia è cambiato in realtà in corso d’opera. Quando si è aperta la transizione, nel 1994, la vicenda dell’isola, pur caotica, non è stata lasciata nelle mani di improvvisatori. Tanto Marcello Dell’Utri quanto Micciché, che hanno composto il telaio del partito, venivano da Fininvest. E il primo, a partire da Palermo, recava già una storia non indifferente. Scommettendo sul ruolo essenziale della regione nel ripristino degli equilibri, i referenti di Berlusconi si sono mossi altresì ai livelli strutturali, con l’obiettivo di rifondare il patto fra i poteri reali dei territori e Roma, con beneficio di tutte le parti. Sotto i governi di centro destra, la Sicilia è potuta risultare in effetti fra le regioni del sud più saldamente rappresentate nelle istituzioni centrali. E tale rimane ancora oggi, con Schifani alla seconda carica dello Stato, Alfano alla Giustizia, la Prestigiacomo all’Ambiente, e un discreto numero di viceministri, fra cui lo stesso Micciché, sottosegretario alla Presidenza con delega al CIPE. I conti tuttavia non tornano più, giacché il baricentro decisionale dei grandi affari è andato spostandosi, e si sta facendo il possibile perché venga riportato alle sedi originarie. Non è un caso che in questo momento il «tradizionalista» Dell’Utri, palermitano prima che berlusconiano, faccia intendere di sentirsi più prossimo ai rivoltosi Micciché e Lombardo che ai «lealisti» Schifani, D’Alì, Alfano e Prestigiacomo.

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