Legge Fini: i farisei delle droghe ritornano

A oltre dieci anni dalla Jervolino-Vassalli si ricomincia con il refrain punitivo. A dispetto delle evidenze scientifiche e dell’esperienza degli operatori. Il C.N.C.A. dice no alla proposta del governo.
27 febbraio 2004
Riccardo De Facci
Fonte: Cnca Newsletter, n.0. - 01 febbraio 2004

Una campagna stampa che farebbe invidia ad un nuovo prodotto da lanciare con enfasi e aspettative sul mercato, preceduta da periodici lanci giornalistici per mesi, quasi a creare un’aspettativa "d’acquisto", per una nuova legge sulla droga che più che una risposta a dei bisogni reali – come una legge dovrebbe essere – sembra creata per essere una legge manifesto (come quelle sull’immigrazione, sulla prostituzione, ecc.), ad alta enfasi ideologica e gestione quasi esclusivamente politica.

La nuova proposta di legge "Fini" appare da subito pervasa da un’ansia punitiva e di affermazione etica che non sembra assolutamente considerare i dati reali dei fenomeni di cui si dovrebbe occupare, la loro diffusione e l’evoluzione dei vari stili di consumo, abuso e dipendenza e, soprattutto, non si confronta con le criticità di un sistema di intervento che buona parte dell’Europa ci invidia, anche se attualmente in difficoltà (sia sert che enti ausiliari) a causa di risorse sempre più limitate e una riduzione progressiva degli operatori coinvolti.

Una proposta di legge datata, che ha scelto di non confrontarsi con le esperienze e le buone pratiche sviluppate e con gli enti e le organizzazioni che ormai da anni si occupano di tossicodipendenze.

Il C.N.C.A. e chiunque lavori nel campo delle dipendenze o è in contatto con il mondo giovanile – educatori, insegnanti, genitori – non può che riconoscere l'ampia diffusione avuta sui nostri territori, di stili di consumo e di vita in cui le sostanze psicoattive sono molto presenti (sia legali – come alcool e tabacco – sia illegali come cannabinoidi, eroina, cocaina ed altro).  Allora, quello che ci sembra mancare nel cogliere questi segnali è una capacità di vera responsabilità collettiva, adulta, che sappia leggere i significati sociali di tale diffusione nei processi di crescita, di possibile difficoltà di alcuni, del senso di certe trasgressioni, non certo la necessità di inasprire le pene definendo discutibili quantità rigide di sostanze (una tabella unica per tutte le droghe indipendentemente dalla loro pericolosità), oltre le quali lo spacciatore di eroina o altro è parificato al consumatore occasionale di cannabinoidi.

300mila ragazzi "normali"

Ecco allora come da questa preoccupazione è nato e si è sviluppato un enorme lavoro educativo di attenzione ai percorsi di crescita, di autotutela, di prevenzione a tutti i rischi legati a questi consumi.  Sono ormai moltissimi i servizi di ascolto, i lavori di strada con i gruppi giovanili, i progetti di prevenzione, oltre alle numerose esperienze comunitarie e non solo, di presa in carico e trattamento o di reinserimento socio lavorativo o le unità di strada, i drop in e le innumerevoli sperimentazioni di aggancio precoce e di riduzione dei rischi ai vari stili di abuso e consumo problematico. Ma di tutto ciò la proposta di legge sembra non tener conto e come primo approccio, ancor più duramente di dieci anni fa, propone la punizione dura e prioritariamente penale (da 6 fino a 10 anni di carcere) per qualsiasi tipo di consumo, possesso e cessione. Punire – per obbligare a curarsi ed entrare in comunità – tutti i tipi di consumo o di sostanza nella maniera più indifferenziata possibile.

Noi sappiamo che la realtà è un’altra: le quasi 300.000 segnalazioni alle prefetture per la legge 309 sulle dipendenze per possesso e consumo avvenute in questi anni non ci sembrano poche e ci parlano soprattutto di storie "normali" di ragazzi che studiano, lavorano, vivono percorsi "normali" come molti loro coetanei; gli spaventosi numeri delle carceri con un terzo di ospiti tossicodipendenti ed il 50% dei detenuti per reati previsti nella legge 309 del ’90 ci dicono che anche per chi fa fatica il punire solo non è un’alternativa reale.   

A fronte di questa chiara richiesta di ascolto, di vicinanza, di confronto e di responsabilità sociale nei confronti delle nuove generazioni, ora qualcuno ritorna a dirci – attraverso le "solite" campagne stampa ed una proposta di legge ad hoc – che "bisogna punire soprattutto i giovani consumatori" e non invece, come avremmo voluto:

  • inasprire la lotta al traffico, con i suoi enormi interessi in costante aumento;
  • sviluppare maggiormente le politiche giovanili e investire sui loro saperi; 
  • promuovere spazi di socializzazione per i giovani nelle nostre periferie;
  • riuscire ad  approvare la legge sui giovani ferma in parlamento da anni.

Il mondo giovanile ci chiede di ascoltare, di capire, di esserci come adulti competenti e di educare ad una diversa cura di sé, e noi rispondiamo punendo, rispolverando vecchie diatribe su droghe leggere e droghe pesanti, trasformando tabelle scientifiche di sostanze diverse per pericolosità e possibile gravità d’uso in categorie politiche e legali.

I nuovi farisei avanzano con l’illusione di tranquillizzare così i genitori impreparati, gli educatori e gli insegnanti che chiedono supporti  e progetti e pensano di risolvere punendo di più, oppure obbligando chiunque è rimasto coinvolto in problemi di droghe a entrare in una comunità terapeutica anche in maniera coatta.

Una legge ideologica

Noi operatori delle comunità e dei progetti del C.N.C.A., con le sue centinaia di strutture tra comunità residenziali e diurne e progetti territoriali, diciamo di no e chiediamo soprattutto intelligenza e rispetto per le storie delle persone, chiediamo che si smetta di usare il tema "droga" in modo ideologico e semplificante nell’arena politica e si sappia valorizzare di più l’esperienza di chi ci lavora, la scientificità di molti interventi attivati in questi anni per aiutare un sistema sociale e sanitario di intervento a educare la crescita e le scelte soprattutto delle nuove generazioni e il recupero delle persone in difficoltà.

Proviamo a leggere cosa stabilisce la proposta del governo:

  • la legge prevede l’unificazione delle diverse tabelle di tutte le sostanze stupefacenti illegali e – andando a ridefinire in maniera rigida la quantità per separare il consumo (per cui sono previste pesanti sanzioni legali e amministrative) dalla detenzione e lo spaccio (per cui la pena minima è di almeno sei anni) con un’assoluta illogicità rispetto alla pericolosità delle varie sostanze e discrepanze notevoli anche tra le diverse sostanze – mette a rischio proprio il giovane sperimentatore che acquista pochi grammi di hashish (oltre i 4/5 grammi è già spaccio) o il tossicodipendente gravemente compromesso (che venga trovato con più di 2 grammi, possibile dose di un giorno).
  • Viene cancellato, anche per il solo consumo, la semplice chiamata in Prefettura, a favore di un’immediata sanzione legale amministrativa e possibili aggravanti date dal consumo in più di tre persone e la possibile alternativa attraverso percorsi riabilitativi organizzati dal sert o dalle comunità terapeutiche (come per la patente a punti?). Si finge di voler aiutare, ma prioritariamente si punisce e non si aiuta a costruire vera alternativa di scelta e di percorso di crescita.

  • Per le sanzioni penali, che sono previste per qualsiasi tipo di sostanza oltre la quantità fissata in tabella, e per qualsiasi reato – sia per cessione, possesso, spaccio, acquisto collettivo da 6 anni in poi – è possibile l’inserimento in una comunità terapeutica quasi automatico nell’impianto legislativo. Parificare percorsi personali, trattamenti e sostanze diverse ci sembra una follia scientifica, pedagogica, penale e illogica alla luce delle innumerevoli esperienze realizzate in questi anni. Non è con obbligatorietà che si costruiscono percorsi di cambiamento reale.
  • Viene affidato agli enti ausiliari attivi attualmente e sanati quasi automaticamente per legge, la possibilità di certificazione dello stato di tossicodipendenza, auto-invio in una propria struttura, definizione del programma terapeutico, contrattazione con il magistrato se il tossicodipendente è in carcere, aprendo così una conflittualità immediata tra i diversi servizi – in assenza di nuove risorse e di luoghi previsti di co-progettazione del sistema dei servizi – con una competizione voluta tra enti del privato sociale e pubblico.
  • Si arriva addirittura a prevedere la gestione diretta di parti e settori delle carceri da parte del privato sociale autorizzato, con la proposta di un ruolo improprio del programma terapeutico e delle funzioni educative degli operatori sociali. Educatori o guardie carcerarie?
  • L’apertura di una competizione pura tra pubblico e privato rischia di svuotare, in una gara senza regia, il sistema di intervento ad alta integrazione (che molti in Europa ci invidiano) ed un aumento incontrollato della spesa. In questo senso riteniamo pericolosa la completa scomparsa nella proposta di legge di qualsiasi proposta organizzativa di tipo dipartimentale e di qualsiasi luogo di progettazione integrata in cui sviluppare una reale pari titolarità. Questi ultimi anni ci hanno restituito molte criticità, ma anche splendide esperienze di integrazione e di costruzione di percorsi condivisi sia nella gestione dei singoli casi che nei servizi misti. A chi giova tutto ciò se non a chi l’integrazione non l’ha mai voluta?

  • Un chiaro indirizzo repressivo soprattutto nei confronti dei consumatori mette a dura prova anche le forze dell’ordine che, nel sovraccarico di lavoro dovuto alla repressione del piccolo consumo, temiamo dovranno sacrificare azioni e impegni verso il grande traffico, il cui contrasto riteniamo invece debba rimanere una priorità nel campo delle droghe.
  • La legge prevede un profondo cambiamento del ruolo del privato sociale in maniera sostitutiva agli stessi servizi pubblici (in carcere, sui territori, con la magistratura, nelle scuole, nella gestione dei farmaci sostitutivi, nella programmazione degli interventi, ecc.) senza però richiedere al privato pari competenze, strumenti chiari di verifica e diffusione territoriale, con il rischio di un attacco profondo al sistema pubblico di intervento senza offrire al contempo nessuna reale alternativa di intervento.
  • Esistono poi ulteriori criticità nella proposta di legge sia nell’intervento nelle scuole come in essa delineato, che nel ruolo degli insegnanti, o nelle modalità sanzionatorie previste, come nell’uso punitivo dei lavori socialmente utili.

Crediamo che sia evidente la nostra distanza da questa proposta e quanto sia inconciliabile con la filosofia ispiratrice dei nostri interventi.

Rilanciamo "Educare non punire"

Sia come C.N.C.A. che come genitori, operatori, responsabili, educatori, insegnanti e semplici cittadini non possiamo che essere profondamente contrari sia alle proposte della legge sia all’impianto ideologico che l’ha ispirata. Una scelta di denuncia, la nostra, alla luce di una priorità che mette l’altro in quanto persona al centro delle nostre azioni e con il quale riteniamo necessario camminare insieme non per punire, ma per arrivare ad una vera scelta condivisa di cambiamento – se utile o necessario.

A noi l’impostazione del governo pare una "schizofrenia educativa". Il mondo adulto, che non riesce più a dare risposte di senso forti e credibili, si irrigidisce quando i giovani, in tutti i modi e con tutti gli strumenti che hanno a disposizione, continuano a porre domande sul senso del vivere.

E se l’unica risposta che ricevono è la richiesta di omologarsi al modello unico, non tutti si adeguano disciplinatamente: molti giovani non vogliono o non ce la fanno a tenere il passo di questa complessità competitiva e individualista. Alcuni, forse, proprio nel tentativo di tenere quel passo, sperimentano, si aiutano con qualche supporto chimico, inciampano e quasi mai trovano un adulto che li sappia accompagnare. 

Noi riteniamo che non ci sia bisogno di punire di più, ma di saper educare, ascoltare, accompagnare con una maggior responsabilità sociale, soprattutto nei confronti dei giovani che sono il nostro futuro e che nella ricerca di senso e prospettive ci interpellano e più di altri rischiano di fare i conti con questa ansia punitiva.

Per questo motivo come C.N.C.A. ha promosso il rilancio, a dieci anni da "Educare non punire", di un cartello di organizzazioni, enti, associazioni scientifiche, semplici operatori, cittadini, politici che, a partire da un livello nazionale, possa poi coinvolgere sui vari territori tutti i nostri gruppi e le organizzazioni disponibili per contrastare e denunciare una legge che non possiamo assolutamente condividere. Il primo passo è già stato fatto: il 4 febbraio, in una affollata conferenza stampa, abbiamo presentato il documento "Non incarcerate il nostro crescere". Altri appuntamenti sono già in cantiere. 

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