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La linea del sindaco: «Dobbiamo risolvere i problemi che ci attanagliano: lo faccio con chi è disponibile»

Taranto, la città smarrita

L'abbraccio tra Stefàno e Cito, il nuovo populismo, la politica da ritrovare Il leader di At6: «Siamo una cloaca, con Carrozzo parlai prima del voto»
9 dicembre 2007
Rosanna Lampugnani
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

Il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno Taranto era più grande e potente di oggi quando nel 281 a.C. Filonide detto Kotylé, basso e grasso come un'anfora a due manici osò orinare sulla tunica dell'ambasciatore di Roma Lucio Postumio. E fu guerra, con morti, feriti, sangue inutilmente versato.

Da allora si dice che sulla città dei due mari gravi la maledizione di Filonide: sciagure provocate da qualcuno che si arroga il diritto di sacrificare sull'altare dello sfregio e del gesto popolare, la politica e l'arte del buon governo. Davvero Taranto non può sottrarsi a questo destino? Gli accadimenti politici parrebbero confermare la maledizione: negli ultimi quindici anni, anche se nel nome del popolo elettore, si è preferito governare a colpi di teatro, più che amministrare.

L'unica positiva novità è stata la realizzazione del molo polisettoriale, poi si è visto di tutto: ronde di polizia privata per le città e finanza allegra, pletora di società per creare fittizi posti di lavoro e minacce, proposte di chiusura della più grossa industria meridionale (l'Ilva) e incubi di nuovi procedimenti giudiziari.

E' stata una storia di atti demagogici che, iniziata nel 93 con la sindacatura di Giancarlo Cito, si chiude oggi sotto gli occhi attoniti di una parte della città, con il simbolico abbraccio del sindaco Ippazio Stefàno con lo stesso Cito. Due populismi che si intrecciano e che si spalleggiano nel nome del fare: «Dobbiamo risolvere i problemi della città e lo faccio con chi è disponibile », afferma il sindaco di Rifondazione comunista; «la politica non esiste, la città è una cloaca a cielo aperto, occorrono persone di buona volontà», ribatte l'ex sindaco, condannato in base all'articolo 416bis, per concorso esterno ai reati di stampo mafioso. «E noi siamo confusi», reagisce Luigi Sportelli, presidente degli industriali tarantini, il quale continua: «Dove ci porta questa politica? Stefàno non può pensare che i sacrifici equivalgano a scelte demagogiche».

Già, in quale direzione è incamminata la splendida e negletta città? Intanto deve stringere la cinghia, perché le passate giunte di Rossana Di Bello (Fi) si sono concluse con il tintinnar di manette, un buco finanziario di 900 milioni, una miriade di casse integrazioni e l'impossibilità di fare investimenti per i prossimi cinque anni. Deve, quindi, sopravvivere. In ogni strada, su un portone sì e un portone no, c'è un cartello di "vendesi".

Davanti ai baretti dove pranzano impiegati e commesse c'è chi allestisce locandine per proporre "pasti del dissesto" a 10 euro. E i ragazzi viaggiano gratis sugli autobus teorizzando che «con il dissesto nessuno paga». E' il tana liberi tutti: si pensa solo a sé ed è in questo clima che Cito può confidare, gongolando, «mi hanno fatto santo», considerando un miracolo la riabilitazione politica per mano del sindaco di Rifondazione comunista, appoggiata dai segretari comunale e regionale di Rifondazione comunista, nel silenzio imbarazzato del governatore regionale di Rifondazione comunista e mentre a Roma la deputata di Rifondazione comunista rifiuta di sottoscrivere interrogazioni parlamentari per ottenere norme a vantaggio del porto, giusto per non aggiungere la propria firma A quella di colleghi di Fi e An. Cito senza timore può anche ammette che sì, «è circolata la notizia del voto di scambio, tocca alla magistratura accertare se è vero»; e anche che sì, «Gaetano Carrozzo (ex Ds, oggi Pd, che correva da vicesindaco con la lista Sinistra per Stefano) è venuto da me prima del ballottaggio e non si scandalizzò affatto a parlarmi».

Ma allora, cosa è diventata Taranto, che tanta ammirazione aveva suscitato in Dino Buzzati per essere uscita dall'isolamento della campagna ed essere diventata «uguale» alle città del nord? «E' diventata una città depressa per il dissesto finanziario, ma anche etico e sociale » è l'analisi del capogruppo Ds al Comune Dante Capriulo. «La svolta», quale era considerata la candidatura di Stefàno, che al ballottaggio ha ottenuto il 76% dei consensi, non c'è stata: «E' in sostanza una giunta di continuità assai deludente», ammette Michele Conte, presidente dell'autorità portuale. Del resto Emanuele Papalia, presidente della Camera di commercio, come oggi sostiene Stefàno, così ieri era schierato con Cito, Mimmo De Cosmo, Di Bello.

La città dei commerci non sceglie e neanche la gente, a cui pare piaccia la decisione del sindaco di inserire nel consiglio di amministrazione dell'Azienda per la nettezza urbana, Mimmo Ciraci, capogruppo di At6, il partito fondato da Cito, neo dottore in Scienze giuridiche, laurea breve ottenuta studiando nel periodo della detenzione. Piace l'accordo, ne è convinto Gianni Florido, presidente della Provincia che sfidò Stefano alla guida di una coalizione di sigle confluite nel Pd e dell'Idv. «La gente è contenta che qualcuno si occupi della pulizia delle strade. Ovvio, ma una cosa è il dialogo tra maggioranza e opposizione, altra cosa è governare insieme. Perché, a dispetto di ciò che dice il sindaco, un cda non svolge funzioni di controllo, delegate al collegio dei sindaci dove è rappresentata anche l'opposizione. Il cda decide, maneggia danaro».

E, dunque, ha forse ragione il deputato forzista Pietro Franzoso il quale, senza negare le «malversazioni » della passata giunta di centrodestra, oggi afferma: «Ciò che sta accadendo a Taranto è gravissimo ed è possibile perché è una giunta senza identità politica. Stefàno si presentò come uomo della società civile e imbarcò di tutto nella sua lista. Salvo entrare in Rc qualche giorno dopo il voto».

Taranto ne esce a pezzi da questo ritratto - cui non contribuisce l'Udeur del silente Massimo Ostillio, che pure è al governo. Ma anche se la giunta perde assessori, anche se c'è chi si salva cambiando casacca, anche se l'uscita dal tunnel del fallimento finanziario è lontana, c'è chi crede che la maledizione possa essere sconfitta. «Taranto può trasformare il dissesto in un'occasione»: ne è convinto il deputato Pd Ludovico Vico, che immagina tra 20 anni una città senza i fumi del-l'Ilva imbrigliati da più severe norme ambientali; con il mar Piccolo svuotato dell'arsenale, ricollocato nel porto grande; le aree militari trasformate in musei per esporre le vestigia messapiche, greche, romane; con il porto all'avanguardia nei traffici mondiali. Tocca ai tarantini trasformare il sogno in realtà, se decideranno che è tempo di tornare alla politica

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