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Intervista ad Alessandro Marescotti sulla questione Ambientale

Taranto: oltre il grigiore l’arcobaleno

I bambini che giocano nel rione Tamburi, a ridosso del Mostro, provano a scommettere di che colore sarà il cielo al loro risveglio il mattino seguente. Di rado è blu, a volte arancio o viola, spesso “rosso mattone”. Vi raccontiamo la situazione di Taranto.
8 gennaio 2008

© 2007 Italo Mairo (www.italomairo.com) Infranto il mito del “posto di lavoro sicuro”, le acciaierie di Taranto che impiegano oltre 13 mila operai a fronte di una popolazione di circa 210 mila abitanti, quattordicesima città italiana, sputano oltre il 10,2% del monossido di carbonio prodotto complessivamente in Europa.

La fabbrica dei veleni, secondo gli studi condotti dagli attivisti di Peacelink su dati INES (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) influisce per il 49% sul totale di mercurio disperso nell’atmosfera per la grande industria italiana (2821 Kg). Ma ancora più grave è l’aumento del mercurio che inquina l’acqua di Taranto.

L’Ilva detiene il primato anche nelle emissioni di diossina: su 800 grammi liberati in un anno nell’aria europea, circa il 15% provengono da Taranto. Ultima nella classifica del “Sole 24 Ore” quanto ad ambiente, Taranto coi suoi 1200 decessi all’anno per neoplasie si colloca decisamente al di sopra della media nazionale. “E’ come se ogni abitante- ha spiegato Alessandro Marescotti in un’intervista dell’aprile scorso sul settimanale l’Espresso – pur non essendo un tabagista, fumasse il corrispettivo di sette sigarette al giorno”. Peacelink, nata alla fine del ’91, coi suoi oltre 10mila utenti giornalieri, è un esempio straordinario di come “la rivoluzione nonviolenta, così difficile da fare nella società, si possa anticipare e sperimentare in rete nei suoi fondamenti etici”.

Ma questi “missionari tecnologici”, arruolati fin dall’inizio al fronte dell’informazione sul disarmo e della smilitarizzazione della Puglia “arco di guerra”, per renderla più simile, come invocava don Tonino Bello, ad un’ “arca di pace”, da qualche tempo sono alle prese con un’emergenza ambientale senza precedenti. E il cavalier Riva, patron dell’Ilva, non ha particolarmente gradito tutta questa improvvisa attenzione sulle emissioni nocive della sua mostruosa creatura, e ha risposto querelando per “procurato allarme” Alessandro Marescotti, il segretario cittadino della UIL e Giulio Farella, biologo che aveva realizzato un dossier sull’inquinamento dell’Ilva relativo alle emissioni di mercurio.

“Il mercurio è una sostanza molto pericolosa e, come risulta dagli stessi dati forniti dall’Ilva al Ministero dell’Ambiente, le emissioni a Taranto da parte dello stabilimento sarebbero stimate a oltre 2 tonnellate tra aria ed acqua” – ci conferma lo stesso Marescotti, che commenta: “Se si pensa che tra alcuni anni non ci sarà più traccia di mercurio nemmeno nei termometri venduti in farmacia perché verrà bandito dall’UE, ci accorgiamo di come da un lato l’UE si affretti all’eliminazione di questa sostanza, mentre a Taranto l’emissione di mercurio raggiunge livelli preoccupanti”.

Ma il ricorso alla querela da parte di Riva nei confronti degli attivisti di Peacelink, si configura come la tipica “arma di distrazione di massa” per distogliere i ricercatori dalle loro attività e tenerli impegnati in una estenuante battaglia legale.

“E’ singolare e inusuale quest’azione legale di Riva perché in genere in tribunale ci va per difendersi e non per attaccare. Ma noi abbiamo piena fiducia nell’opera della magistratura – sottolinea Marescotti.

Alessandro mi spiega che c’è una legge europea che consente a tutti i cittadini di poter conoscere i dati tecnici degli impianti, le loro emissioni e di proporre, con opportune osservazioni, i livelli di emissione più bassi e l’adozione di tecnologie migliori. Tra tutti i cittadini italiani, solo uno, un certo ingegnere del Nordest, ha sfruttato adeguatamente questa normativa europea.

Pochissime associazioni e praticamente la maggiore quantità di osservazioni sono giunte da Taranto mentre grandi associazioni come Legambiente e WWF hanno rilevato osservazioni su di un solo impianto. Quando invece sarebbero dovute pervenire piogge di interventi. “Si sperava che con la normativa in questione si potesse aprire un nuovo processo partecipativo.- osserva amareggiato Alessandro- Mentre la realtà è la non adesione a quei processi di legalità che permettono poi di intervenire concretamente”.

Com’è possibile che la legislazione italiana non disponga misure adeguate per frenare l’inquinamento e armonizzare il diritto interno al diritto europeo e a quello internazionale?

“Ci sono inquinamenti che avvengono a norma di legge. Ad esempio un camino è autorizzato anche se inquina tantissimo. Noi abbiamo a Taranto il camino E 312 dell’impianto di agglomerazione dell’Ilva da cui fuoriesce il 90% di tutta la diossina italiana stimata nell’inventario dell’INES. E quindi è chiaro che siamo di fronte a un dato che pur rientrando nella legalità, a causa di una legge troppo permissiva, consente di avere a Taranto valori in percentuale di diossina superiori di ben 1000 volte la media prevista dalla normativa europea. Se da quel camino fuoriuscissero anche 800 grammi di diossina che è la media annuale di emissioni in Europa, noi rimarremmo comunque nei limiti consentiti dalla legge. Questo è il tipico caso in cui la legge nazionale si discosta dalla normativa europea e quindi non può essere compiuta nei confronti dell’Ilva alcuna azione sanzionatoria”.

Rispetto al caso diossina registrato a Seveso, Taranto è un’altra storia. Qui sarebbe fuoriuscita circa il doppio della diossina di Seveso e nell’arco di 45 anni. E un inquinamento di diossina contratto per 45 anni consecutivi, ci assicura Marescotti, è peggio di un inquinamento acuto. Perché i processi di bioaccumulazione della diossina sono processi che avvengono per piccole dosi attraverso l’assunzione soprattutto di alimenti. Dunque un’esposizione prolungata è peggiore di una esposizione acuta.

Qual è il rapporto degli abitanti di Taranto con l’Ilva? Davvero lo considerano un male necessario? Ti sembra giusto porre una città davanti al dilemma di dover scegliere tra sicurezza e diritto alla salute da una parte, e occupazione garantita dalle acciaierie dall’altro?

“Per molto tempo non abbiamo avuto informazioni precise e quelle che emergono poco alla volta sono sempre più allarmanti. E quando si deve fare un confronto tra costi e benefici, si conoscono solo i secondi perché tutti vedono i benefici che un impianto siderurgico porta a 13 mila persone, però all’opposto si ignorano i costi. E’ difficile fare un bilancio. Noi cerchiamo di fare un’azione di coscientizzazione per valutare l’altro piatto della bilancia che per molto tempo non è stato soppesato. Quando si pubblicano i dati su mercurio, diossina, tumori, allora ci si rende conto degli enormi costi sociali, sanitari, ambientali e umani che tutto questo comporta. Credo che la cittadinanza stia prendendo coscienza con molta lentezza perché nel ceto politico c’è la tendenza a minimizzare. Ultimamente il dott. Patrizio Mazza, ematologo, che ha in cura decine di persone affette da cancro, ha sollevato un problema che ha enorme spessore morale: questo inquinamento comporta non solo un impatto sulla salute dei cittadini ma anche un impatto sulla mappatura genetica degli individui per cui esiste il rischio che venga trasmesso alle future generazioni un dna più debole tale da rendere i futuri bambini molto più indifesi e incapaci di riparare i danni inferti dall’inquinamento ambientale.

Il dott. Mazza osserva criticamente che possiamo decidere per le nostre vite ma non su quelle dei nostri figli e dei nostri nipoti.

Chi ci dà il diritto di decidere per loro? Non possiamo barattare il posto di lavoro degli adulti con un danno genotossico permanente per i bambini. E’ moralmente inammissibile. Per acquisire questa coscienza occorre molta informazione scientifica. Purtroppo né la scuola né l’intellighenzia scientifica locale stanno facendo un sufficiente lavoro di informazione.

Bisogna saper valutare le alternative a questo modello di sviluppo. Ma questo ragionamento non viene applicato perché la grande colpa della classe politica è quella di non saper progettare alternative”.

Quale atteggiamento hanno assunto la nuova Amministrazione comunale e la Regione rispetto alle problematiche ambientali della città?

“Con la nuova amministrazione ci stiamo confrontando, ma personalmente penso che rispetto a quello che ci aspettavamo ha fatto ben poco. Stessa cosa dicasi per la Giunta Vendola. Il sindaco Stefàno però ha l’attenuante di essere assediato da problemi drammatici.

Taranto infatti è divorata dal dissesto finanziario e la città dovrà ripianare per i prossimi decenni un debito ingente che penderà come un macigno sulle teste delle nuove generazioni. L’Amministrazione comunale è come un corpo che lotta per non annegare ed è costretta a confrontarsi con l’Ilva con grave inesperienza e scarse conoscenze tecniche. E si fa facilmente sviare su soluzioni che non sono le più idonee. Il processo di monitoraggio dovrebbe essere imposto attraverso la procedura AIA (autorizzazione integrata ambientale) che prevede la partecipazione dei cittadini e un grande potere del sindaco”.

E alla Giunta Vendola quali colpe imputate?

“Vendola ha fatto enormi errori e non ha tenuto conto della società civile. E questa è la nostra grande delusione.

La più grossa azione di controllo da parte dell’Ilva non l’hanno fatta i tecnici di Vendola ma l’abbiamo fatta noi.

Noi non conosciamo quali sono i tecnici e gli esperti di Vendola. La cosa più grave è che, se dei tecnici ci sono, dalle informazioni in nostro possesso, sono gli stessi della precedente giunta. Tutto questo quando Vendola si potrebbe dotare dei migliori esperti nazionali.

Noi potremmo stilare una task force che rigira le carte dell’Ilva dalla prima all’ultima. Ma Vendola dà incarico ai tecnici del centro-destra, persone su cui noi abbiamo le nostre riserve”.

Credi si debba parlare di un processo di de-industrializzazione a Taranto oppure di rimedi attuati con la politica di riduzione del danno?

“Io parlerei piuttosto di un processo di riconversione economico. Dal momento che l’area industriale è due-tre volte quella della città, questa può essere recuperata ad altri usi. Ma chi sostiene i costi della bonifica? Essa comporta tempi lunghissimi, è un processo complicato. A Taranto c’è un gruppo di cittadini che ha promosso un referendum consultivo per dire no all’Ilva in cui si chiede o di smantellare tutta l’Ilva o l’area a caldo. Invece io penso che la strategia debba essere diversa. Dal punto di vista operativo la strada che ritengo la più idonea è quella di utilizzare tutti gli strumenti legislativi per andare a monitorare e ridurre le emissioni. Quindi subordinare tutte le autorizzazioni a produrre a un abbattimento drastico delle emissioni. Portare a Taranto i livelli di emissioni inglesi, svedesi, del nord Europa.Tanto più che un impianto come quello di Taranto in Iran è stato costruito a 80 Km dalla città più vicina.

Mentre a Taranto è stato costruito a 80 metri dal quartiere Tamburi. L’Italsider fu costruita vicino alla zona abitata e per di più fu costruita al contrario: la parte più inquinante fu realizzata vicino al quartiere, mentre quella più pulita è vicina al mare.

In una situazione così particolare occorrerebbe vincolare le autorizzazioni ai livelli più bassi possibili in assoluto nel mondo. E’ stata una nascita anomala. O si riesce ad adottare le migliori tecnologie in assoluto per portare a Taranto la Svezia, oppure è una realtà destinata a non durare e ad avere un impatto assolutamente inaccettabile. Quindi la mia idea non è quella della riduzione del danno ma di porre dei limiti così rigorosi per cui la condotta a Taranto deve essere assolutamente eccellente dal punto di vista delle migliori tecnologie disponibili. Più che di riduzione del danno parlerei di una strategia scientifico-tecnico di altissimo livello che punti alle cosiddette BAT, (best availabel technologies). O si adottano le BAT o si continua ad aggravare un danno alla popolazione”.

E la base NATO, la minaccia permanente costituita dai sottomarini a propulsione nucleare che gravitano nel golfo di Taranto? I cittadini sono consapevoli di questo pericolo e quali sono le risposte del Governo alla città?

“Zero preoccupazione da parte del Governo, zero della giunta Vendola nonostante le ripetute sollecitazioni.

Da parte della popolazione la risposta c’è se si solleva il problema. Essa reagisce se viene universalmente accettato che esiste un passaggio della base di Taranto verso l’operatività Nato. Taranto è già base Nato ma la cosa più incredibile che persino alcuni deputati fino al 2002 lo hanno ignorato. Il problema è vedere quanto questo status di base Nato possa aprire un ulteriore spiraglio perché vi sia una presenza americana che attualmente non c’è ma che potrebbe essere favorita. Taranto è sempre disponibile. Il fatto che non ci siano militari americani è solo perché gli interessi americani in questo momento storico si riversano in altre regioni dello scacchiere.

E’ chiaro che la reazione della popolazione la riesci ad ottenere quando fai delle grosse mobilitazioni dato che questo cambiamento strategico della base non è percepito come un fatto oggettivo dalla classe politica e istituzionale. Noi non siamo più in grado di porre al centro dell’attenzione cittadina il problema della base perché siamo mobilitati per la questione inquinamento.

Persone come Ragusa che è stata sempre impegnata sul fronte della nonviolenza adesso è una delle principali promotrici della lotta contro le discariche nella provincia. Fa riflettere anche che uno come Zanotelli in Campania si stia occupando delle questioni ambientali.

Succede tutto questo perché le forze ambientaliste tradizionali, in testa Legambiente, non stanno facendo il loro dovere. Quando scopri che Legambiente è a favore di rigassificatori e inceneritori è chiaro che non puoi delegare a Legambiente la tutela del territorio, quando ci sono cittadini contrari a queste opere.

Purtroppo abbiamo gruppi di persone che formano la cittadinanza attiva che stanno svolgendo azioni di supplenza delle istituzioni da una parte e delle associazioni ambientaliste dall’altra”.

Quando si dice che talvolta certa società civile è più avanti della classe politica che ci governa! Peacelink ha rischiato in diverse occasioni di arrivare troppo presto al capolinea, magari per la malafede di certi agguerriti consulenti della Nato, ma ha sempre respinto con coraggio ogni assalto perchè rappresenta una realtà forte,così radicata nel tessuto sociale che la solidarietà collettiva l’ha sempre sostenuta e stimolata. Speriamo per sempre.

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