L'ira degli operai dell'Ilva: indifesi dentro e fuori la fabbrica
TARANTO — «Faremo il massimo per la produzione e per utilizzare le migliori tecnologie in difesa dell'ambiente. Nel sud abbiamo investito, abbiamo assunto 13 mila persone in tre anni, una cosa impossibile al nord», afferma Fabio Riva. «La crisi, tanto più al sud, la si deve affrontare puntando sull'innovazione, che significa lavoro, difesa del sistema produttivo e interventi in difesa della salute e della sicurezza», spiega Pierluigi Bersani.
Il vicepresidente del gruppo e il ministro ombra del Pd parlano la stessa lingua in un pomeriggio all'ombra dell'acciaieria di Taranto: lavoro, economia, welfare i temi discussi, ognuno per la propria parte, ma con un obiettivo condiviso, la difesa del sistema Italia che, come quelli di Giappone e Germania, ha nel dna del proprio Pil l'industria.
Bersani si divide tra un gruppo di agguerriti operai, incontrati in una saletta dell'Ilva e i dirigenti dell'azienda, raccolti nella sala convegni inaugurata per l'occasione. Quindi tocca ai giornalisti intervistare il deputato accompagnato dai dirigenti locali del partito e dal collega Ludovico Vico.
«Doveva venire prima, prima che sindacati e azienda si mettessero d'accordo sulla cassa integrazione senza nemmeno ascoltarci». Con questo spirito nient'affatto conciliante inizia la visita di Bersani, a colloquio con le tute grigie in uso all'Ilva - nient'affatto disposte a fare sconti a chicchessia. Non a Riva, che «alle soglie dell'integrativo ci ha fatto il bel regalo della casa integrazione » - come dice appaluditissimo Ciccio Galli; e nemmeno al Pd, accusato di non stare più dalla parte degli operai e a cui si chiede, con sgomento per l'enormità della domanda: «Bersani, tu che riesci a importi anche a Veltroni, dicci: ci restituite o no il piacere di essere uomini di sinistra?».
La crisi morde la vita dei 13 mila dipendenti dell'acciaieria e di chi indirettamente vive di Ilva. Un piccolo benzinaio sulla strada che collega Taranto agli impianti sabato diceva: «Ditelo a Riva, qui prima avevo file di macchine in attesa, ora sono solo due o tre. E chi vuole che Ilva chiuda deve tacere».
La crisi morde, ma tengono banco le polemiche sulle emissioni di diossina, riproponendo la dicotomia che è parte di ogni riflessione in terra jonica: lavoro-salute. Per chi è dipendente dell'acciaieria è «inaccettabile» che si definisca Taranto città dei morti viventi perché -spiegano gli operai e anche i dirigenti come l'ingegnere Colucci «in questa acciaieria è possibile il lavoro a misura d'uomo, gli interventi per ammodernare le strutture si stanno facendo», mentre l'impianto ad urea, da tutti invocato perché dimezza le emissioni di diossina, è ancora inscatolato in un angolo dell'acciaieria, in attesa che Arpa Puglia dia il via libera. «I giornali ci bombardano, nelle scuole insegnano ai bambini che qui lavorano gli uomini cattivi, non possiamo accettarlo», dicono a Bersani.
Riva risponde per primo: «Siamo determinati ad arrivare ai migliori risultati, ma non smantelleremo gli impianti per sostituirli con altri che non sono ancora affidabili. Speriamo che l'Italia che decide ci lasci arrivare al massimo traguardo senza romperci l'osso del collo». Poi tocca a Bersani, stretto tra il «buon senso e la lunga esperienza » emiliana e l'alleanza con Nichi Vendola e Michele Losappio che hanno voluto la legge contro le emissioni. «La siderurgia ci segnala per prima la crisi e anche la ripresa, senza siderurgia questo Paese non mangia. La legge regionale è una sfida giusta che va realizzata, ma passo dopo passo, in modo condiviso, confrontandosi con un'azienda assolutamente disposta ad investire. Poi, naturalmente, ognuno è libro di decidere: se utilizzare le migliori tecnologie al mondo o se mettersi fuori dal mercato industriale », aggiunge il deputato pd, riferendosi a chi invoca il referendum per spegnere Ilva.
Poi aggiunge: «Alzare gli standard sociali e ambientali è l'elemento di innovazione su cui puntare. Ma bisogna farlo rimanendo nella realtà, senza fantasticare». E a Tremonti, che ha parlato del sud in deficit sociale e culturale e senza banca, replica: «Vorrà dire che il ministro da domani smetterà di picconare il sud, dopo averne rapinato le risorse. Se si arriva a utilizzare il Fas per le spese ordinarie che siano almeno per il dragaggio del porto di Taranto».
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