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Le dinamiche italiane

Africa marginale

In percentuale, gli africani soggiornanti sono in calo. Si demonizza la sponda sud del Mediterraneo e la si militarizza, quando la pressione legata alla mobilità umana non è ancora così forte. Le strumentalizzazioni politiche e mediatiche alimentano la sindrome dell'assedio. Ma a morire in mare sono i disperati.
Gianni Ballarini
Fonte: Nigrizia - dicembre 2007

L’Italia promessa. E poi non mantenuta. Soprattutto per gli africani. Anche il recente Dossier Caritas 2007 sull’immigrazione fotografa una situazione ormai chiara da anni: la «marginalizzazione dell’Africa sulla scena migratoria italiana». Espressione rubata a Ferruccio Pastore, vicepresidente del Centro Studi di politica internazionale (CeSpi), che sintetizza così il suo pensiero: «L’Europa occidentale, e l’Italia in special modo, si sono aperte di più ai movimenti di popolazione proveniente da est, chiudendosi, nel contempo, a quelli in arrivo da sud». Un dato: la percentuale di africani sull’ammontare complessivo di soggiornanti stranieri in Italia è passato dal 30,5% del 1990 al 22,3% di oggi (il totale dei soggiornanti è di 3 milioni 690mila, il 6,2% della popolazione italiana).

E se il mercato sembra preferire migranti provenienti da altri continenti, la politica si carica sulle spalle il compito di rendere possibile tale scelta. Come? Con una risposta prevalentemente repressiva. Figlia di un’ossessione securitaria. Non è un caso che gli sforzi più massicci di controllo dell’Europa si concentrano lungo le frontiere marittime meridionali. Fra l’altro, in modo sproporzionato rispetto all’entità reale, piuttosto limitata, dei flussi clandestini provenienti dalle coste africane (l’immigrazione irregolare via mare rappresenta dall’8 al 13% dell’immigrazione clandestina complessiva in Italia). È come se l’Africa fosse diventata il principale terreno di applicazione del modello di controllo migratorio, con il Mediterraneo trasformato in uno degli spazi marittimi più pattugliati al mondo. Il bilancio dell’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne (Frontex) è stato raddoppiato per il 2008 (70 milioni di euro, dopo i 34 del 2007). Obiettivo dell’Agenzia, proprio a partire dall’anno prossimo, è di spostare i pattugliamenti aeronavali, sotto la sua egida, nelle acque della Libia. Paese che l’Ue sollecita affinché indossi le vesti del guardiano dei suoi confini. Franco Frattini, vicepresidente della Commissione europea, non ha dubbi al riguardo: «Serve chiudere la falla in Libia per bloccare il 90% dei clandestini» (Avvenire, 10 ottobre 2007).

Il ragionamento è elementare: bloccare le barche dei migranti in acque libiche, ricondurli nei porti di partenza, e aiutare Gheddafi a rimpatriarli. Peccato che Frattini scordi alcune questioni imbarazzanti di stretta attualità. Ad esempio, le condizioni di detenzione in Libia, le deportazioni nel deserto e i rimpatri dei rifugiati. Fortress Europe, una rassegna stampa che dal 1988 a oggi fa memoria delle vittime della frontiera, ha pubblicato a fine ottobre un duro rapporto su Tripoli. Testimonianze dirette di torture, stupri e omicidi commessi dalla polizia libica negli almeno 20 centri di detenzione per migranti (3 dei quali finanziati dall’Italia), dove 60mila persone sono detenute ogni anno. Uomini, donne e bambini. Rifugiati e migranti economici. I testimoni raccontano di arresti arbitrari, detenzioni senza processo in condizioni disumane e degradanti, deportazioni di massa nel deserto del Sahara, respingimenti collettivi in mare e rimpatri di rifugiati. Anche Laura Boldrini, portavoce italiana dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, ha lanciato, in maggio, l’allarme: «Alcune aree del Mediterraneo stanno diventando un vero e proprio Far West, in cui la vita umana non ha alcun valore». Eppure, su tutto ciò cala il silenzio. Il ministro degli esteri italiano, Massimo D’Alema, è ormai diventato un habitué della tenda gheddafiana. Con l’amico Muammar parla di autostrade risarcitorie, di petrolio e di Eni. Ma quando si tratta di diritti, un colpo di tosse... e via. Frattini, sempre su Avvenire, ha proposto di dare 500 dollari ai clandestini, oggi in Libia, che decidono di tornare volontariamente nella propria terra: «Lì, con quella somma, si vive a lungo».

E chi riesce a partire dai porti libici verso l’“eldorado” europeo spesso non ha miglior fortuna. Il mesto resoconto di Fortress Europe parla di 2.432 vittime, dal 1988 a oggi, nel solo Canale di Sicilia. Il Mediterraneo, da elemento fondamentale per gli scambi, si è trasformato in una sconfinata fossa comune. Nessuno è in grado di dire con esattezza quante vite ingoi ogni anno. E l’ulteriore rafforzamento dei controlli migratori, generando distorsioni sui flussi, contribuisce a spostare le rotte (vedi i nuovi sbarchi in Sardegna e Calabria), rendendole più lunghe e pericolose.

Chi arriva, infine, è bersaglio facile degli imprenditori politici dell’odio razziale. Perché la politica migratoria ha subito in Italia un processo inarrestabile di politicizzazione e mediatizzazione. Ormai soffriamo tutti della sindrome dell’assedio. Secondo un sondaggio, pubblicato sulla Repubblica del 6 novembre dal politologo Ilvo Diamanti, il 47% degli italiani considera gli immigrati un pericolo per l’ordine pubblico e per la sicurezza personale. Il dato più alto dal 1999 a oggi.

Ma l’aspetto bizzarro delle fobie italiane lo scopriamo leggendo i risultati di una ricerca della Makno & Consulting, commissionata dal ministero dell’Interno: l’85% degli intervistati si fa un’idea degli immigrati sulla base dei tg. E i più ritengono che gli irregolari superino i regolari del 50% (dovrebbero essere, secondo le loro stime, oltre 4 milioni e mezzo). Una rappresentazione iperbolica dell’immigrazione, dipinta come l’elemento scatenante l’insicurezza, la violenza, la criminalità.

Pochi scrivono, invece, che l’immigrazione, anche quella clandestina, è stata la strategia implicita con cui l’Italia ha finora messo una pezza alla perdita di competitività e alla carenza di innovazione del suo sistema produttivo. Il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, tra quei pochi, ha scritto sulla Repubblica del 13 novembre: «Siamo in presenza di una grande ipocrisia». Se non esistesse lo straniero irregolare, «non ci sarebbe il racket sulla vita che alimenta gli interessi criminali; non ci sarebbe un mercato nero del lavoro né lo sfruttamento, talora al limite della schiavitù, di lavoratori irregolari che non possono far valere i loro diritti…». Lo straniero, soprattutto irregolare, serve.

Serve, molto più banalmente, perché, in assenza di migrazioni, si prevede che la popolazione attiva europea tra i 20 e i 65 anni diminuirà, nel 2050, dagli attuali 447 milioni a 316 milioni, con un calo di circa 3 milioni di potenziali lavoratori ogni anno. Mentre in Africa la fascia di età compresa tra i 20 e i 40 anni aumenterà, da qui al 2040, fino a quasi 400 milioni di persone.

Non solo, quindi, il sentimento di esclusione dalla fortezza europea potrebbe crescere esponenzialmente in Africa (con le tensioni e gli squilibri che ne deriveranno), ma lo stesso mercato del lavoro europeo, ora chiuso a riccio verso sud, dovrà fare i conti con la propria sostenibilità economica nel lungo periodo, se non aprirà qualche porta mediterranea. Confidando che, nel frattempo, sia del tutto tramontata l’illusione razzista che è possibile accogliere braccia senza persone annesse.

Note: ITALIA. Paesi africani con almeno mille soggiornanti *

PAESI TOTALE % % DONNE

Marocco 387.031 10,5 35,3

Tunisia 94.861 2,6 27,6

Egitto 73.747 2,0 19,5

Senegal 65.136 1,8 12,8

Ghana 39.962 1,1 40,6

Nigeria 39.586 1,1 59,2

Algeria 22.029 0,6 20,7

Costa d'Avorio 15.226 0,4 44,0

Eritrea 10.291 0,3 56,5

Etiopia 7.897 0,2 64,5

Maurizio 7.646 0,2 55,2

Camerun 6.488 0,2 44,2

Somalia 5.150 0,1 57,2

Capo Verde 4.888 0,1 76,9

Congo 4.713 0,1 48,8

Togo 2.554 0,1 34,3

Liberia 2.291 0,1 10,9

Kenya 2.266 0,1 59,1

Guinea 1.981 0,1 35,9

Sudan 1.960 0,1 10,6

Benin 1.913 0,1 33,9

Rep. Dem. del Congo 1.795 0,0 44,6

Angola 1.446 0,0 42,7

Madagascar 1.265 0,0 73,5

Libia 1,217 0,0 27,2

Tanzania 1,192 0,0 52,8

Sudafrica 1,101 0,0 59,2

Sierra Leone 1,054 0,0 36,8

Africa Settentrionale 580.845 15,7 31,4

Africa Occidentale 185.916 5,0 35,0

Africa Orientale 39.382 1,1 58,5

Africa Centro-meridionale 16.048 0,4 46,6

Africa 822.191 22,3 33,8

* Stima del Dossier Caritas/Migrantes (31-12-2006)






ITALIA. Soggiornanti stranieri per continente di provenienza (1970-2006) *

Anno Europa % Africa % Asia % America % Oceania % Apol./Altri % TOTALE

1970 61,3 3,3 7,8 25,7 1,9 0,0 143.838

1980 53,2 10,0 14,0 21,0 1,4 0,4 298.749

1990 33,5 30,5 18,7 16,4 0,8 0,1 781.138

2000 40,7 28,0 19,2 11,8 0,2 0,0 1.379.749

2006 49,6 22,3 18,0 9,7 0,1 0,3 3.690.052

2006 - v.a. 1.829.982 822.191 662.748 356.144 4.023 14.964 3.690.052

* Stima del Dossier Caritas/Migrantes (31-12-2006)





Origine dei flussi migratori irregolari via mare verso l’Italia (nazionalità dichiarata)



2001 2002 2003 2004** 2005 2006

Nord Africa 2.398 4.017 1.676 / 15.961 15.526

dal Marocco 1.199 dal Marocco 1.856 dal Marocco 812 dall’Egitto 10.288 dal Marocco 8.146

dalla Tunisia 607 dalla Tunisia 1.183 dalla Tunisia 577 dal Marocco 3.624 dall’Egitto 4.200

dall’Algeria 500 dall’Algeria 716 dall’Algeria 185

dall’Egitto 92 dall’Egitto 262 dall’Egitto 102

Africa 769 5.833 5.927 / 5.644 5.454 subsahariana dall’Eritrea 322 dalla Liberia 2.129 dalla Somalia 1.963 dall’Eritrea 1.974 dall’Eritrea 2.959

dal Sudan 1.351 dall’Eritrea 1.195 dal Sudan 732 dal Ghana 530

dall’Eritrea 1.071 dalla Liberia 1.159 dall’Etiopia 718 dalla Nigeria 491

dalla Costa d’Avorio 511 dall’Etiopia 479

* Elaborazione CeSpi su dati del ministero dell’Interno. ** Dati completi non disponibili.

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