Conflitti

«La sovranità di Beirut uscirà rafforzata da questa crisi»

Intervista all'esperto di politica interna libanese Karam Karam
30 luglio 2006
Tiziana Barrucci
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Un Libano che uscirà dall’attuale crisi rafforzato di fronte a un partito di Dio che invece si trova in uno dei momenti di maggiore fragilità mai vissuti. E’ fuori dal coro degli analisti arabi Karam Karam, politologo al Lebanese Center for Policy Studies di Beirut. Karam Karam si occupa da molto tempo di democratizzazione e mobilitazione politica nel suo paese ed è attualmente direttore di un progetto di ricerca sui partiti politici dell’area. Quella che espone è decisamente una visione ottimista degli eventi delle ultime settimane.

Come può parlare di rafforzamento dell’apparato politico libanese dopo una crisi di questa portata?

Se si guarda alla storia del Libano degli ultimi quindici anni, la mia analisi forse si può comprendere in maniera più diretta. Il Libano non è mai stato un paese sovrano. Per molto tempo in tanti hanno anche dubitato che fosse perfino uno stato, definendolo solo un complicato marasma di etnie e religioni diverse da cui nulla mai sarebbe potuto venir fuori. Nella realtà però dal 1990 fino ad oggi una serie di tappe fondamentali alla definizione di uno stato sovrano si sono susseguite. Dall’accordo con gli Stati uniti nel 1996 al ritiro, per nulla scontato, di Israele dai nostri territori nel 2000. Se militarmente la situazione si calmerà, ed è ragionevole pensarlo, credo che Beirut abbia finalmente l’opportunità di segnare una delle ultime tappe verso una costituzione stabile.

Come potrebbe uscire rafforzata da una guerra?

Ovviamente il discorso è complesso. Economicamente sarà un disastro, sono note le difficoltà in cui il paese versava prima degli attacchi, disoccupazione e debito pubblico erano all’ordine del giorno in un programma che avrebbe dovuto rilanciare l’economia. Ma politicamente la guerra ha messo il Libano di fronte a una scelta definitiva: bisogna risolvere, una volta e per sempre, la questione Hezbollah e il governo deve trovare una vera unità.

Le pare che la questione Hezbollah sia sulla via di una soluzione?

L’accordo siglato dal governo all’unanimità giovedì notte dimostra che qualcosa si sta muovendo all’interno dell’esecutivo libanese.

Parla del cosiddetto piano del premier Siniora presentato al summit di Roma?

Esattamente. Tutti i ministri lo hanno sottoscritto. I punti decisi sono importanti. Il piano prevede l'instaurazione di un immediato cessate il fuoco sostenuto da una serie di impegni. Primo, lo scambio dei prigionieri passando per il Comitato internazionale della Croce Rossa e il ritorno nelle proprie case delle persone sfollate. A seguire, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si impegnerebbe a porre sotto la sua giurisdizione il territorio delle fattorie di Sheba che Beirut ritiene libanese e quindi occupato dagli israeliani. Israele si impegnerebbe a dare al Libano le mappe dei campi minati del sud del Paese abbandonati dopo il ritiro dell'esercito nel 2000. Ancora, lo stato libanese si impegnerebbe a estendere la sua autorità su tutto il territorio e a dispiegare le proprie forze armate. La missione Onu in Libano sarebbe rafforzata e aumentato il suo perimetro di attività così da contribuire alle operazioni umanitarie e di soccorso. L'Onu si impegnerebbe a far applicare l'accordo di armistizio concluso tra Israele e il Libano nel 1949, la comunità internazionale si impegnerebbe ad aiutare la ricostruzione del Libano. infine, dovrebbe essere applicato l’accordo di Ta’if del 1990 che, parlando di disarmamento di tutte le milizie, parla indirettamente anche del disarmamento di Hezbollah.

Perché pensa che Hezbollah accetti una proposta del genere?

Perché non può fare altrimenti. Hezbollah sa benissimo che la sua forza, oggi, è legata al fatto che si è autocollocato quale paladino di rivendicazioni nazionali. Ma nel caso quelle rivendicazioni perdessero di senso, anche il partito di Dio perderebbe di forza. Il settanta per cento della popolazione libanese oggi sostiene Hezbollah perché Hezbollah vuole la fine delle ostilità, l’acquisizione dei territori e il rilascio dei prigionieri che da anni sono nelle carceri di Tel Aviv. Una volta che queste richieste verranno soddisfatte, non so quanta gente in Libano appoggerebbe ancora Hezbollah sulla questione palestinese, sul sostegno all’Iran o alla Siria. La retorica panaraba è retorica, appunto, e Hezbollah deve trovare una sua ricollocazione politica.

Con questo accordo Hezbollah accetterebbe di porre sotto giurisdizione Onu le fattorie di Sheba? Finora uno degli obiettivi dichiarati della lotta armata del movimento è stata proprio la liberazione di questo territorio di 45 chilometri quadrati situato al confine tra Siria, Libano e Israele...

Sì. Questa mossa rappresenta senza dubbio un elemento di novità importante. D’altronde Israele ha accettato l’invio di forze internazionali per poter creare una zona tampone che senza dubbio le gioverebbe militarmente. Quindi Hezbollah deve rispondere, e politicamente non può che accettare il compromesso con il governo libanese. Che prevede pure il disarmo. Teniamo presente che Hezbollah non si trovava in una posizione forte prima dell’inizio di questa crisi, aveva organizzato manifestazioni contro la politica governativa per poter dimostrare di contare ancora. Evidentemente sperava di trarre vantaggi dall’escalation di violenza, ma ha fatto male i conti. Il partito di Dio non si aspettava una reazione israeliana così dura.

Lei dice che Hezbollah è in uno dei suoi periodi più difficili. Anche dal punto di vista militare?

Bisogna fare dei distinguo. Hezbollah è in difficoltà politicamente, ma sul campo Israele deve capire che non può distruggerlo. Solo oggi (ieri, ndr) cinquanta missili di nuova fabbricazione sono stati lanciati sul territorio israeliano, non mi pare che questo dimostri una debolezza militare. E al di là delle dichiarazioni ufficiali credo che anche Tel Aviv lo sappia. Penso si renda conto che per emarginare il movimento la strada è un’altra. E passa per una ridefinizione dello stato libanese: quindi una vittoria della ragione di stato. So che posso sembrare troppo ottimista, ma ne sono convinto: solo un Libano forte può risolvere una questione che sta così tanto a cuore alla comunità internazionale quale il disarmo di Hezbollah e magari il suo assorbimento all’interno di un esercito nazionale. E questo significa che il variegato e spezzettato mondo politico di Beirut deve trovare una sua compattezza, in modo da porre fine alla vecchia situazione in cui il governo era ostaggio di tutti, poiché su qualsiasi decisione si poteva sempre aspettare il veto della fazione opposta.

Qual è la sua previsione in termini temporali?

Io ritengo che in una settimana avremo tutti la situazione molto più chiara. Se sul campo la soluzione militare israeliana non mostrerà di avere avuto la meglio, cosa che io credo, allora la soluzione del piano Sioniora potrebbe essere vista come una possibilità realistica. Senza dubbio l’idea di una forza Onu che prende in carica la zona delle fattorie di Sheba sarebbe un’eventualità accettata largamente. Se invece io mi sbagliassi e Israele avesse la meglio, allora del Libano, di Hezbollah e degli equilibri interni forse non interesserebbe più nulla a nessuno. A quel punto sarebbe il vero caos: spero solo che gli Stati uniti in una situazione del genere non commettano troppi errori.

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