Conflitti

La riduzione al silenzio di Anna Politkovskaya

30 ottobre 2006
Mahir Ali
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: Znet www.zmag.org - 12 ottobre 2006

Quando Anna Politkovskaya e’ morta, c’e’ stato una specie di silenzio persino tra i suoi nemici – che di certo non mancavano. Il Presidente ceceno pro-russo, Alu Alkhanov, si e’ dichiarato scioccato, affermando: “ Avevamo punti di vista totalmente diversi sugli sviluppi in Cecenia, ma alla Politkovskaya stava a cuore il popolo ceceno.” Ramzan Kadyrov, il Primo Ministro fantoccio del piccolo stato - il quale era considerato dalla giornalista un criminale patrocinato dallo stato – ha descritto il suo assassinio come “un impedimento alla liberta’ di parola”, aggiungendo che, nonostante i suoi “scritti sulla Cecenia, a volte, non fossero obiettivi”, era dispiaciuto per lei come persona.

Per quanto insincere possano essere queste condoglianze, sono state comunque limitatamente piu’ raffinate della reazione del Cremlino. La Politkovskaya non era molto nota soltanto in patria, ma vantava anche un profilo internazionale piu’ alto di qualsiasi altro giornalista russo contemporaneo. Sabato pomeriggio, e’ stata uccisa a colpi di pistola, apparentemente da un killer sicario, nell’ascensore del condominio di Mosca dove lei abitava. Non sarebbe stato irragionevole aspettarsi almeno un riscontro pro forma della tragedia da parte dell’uomo che presiede fieramente sulla sorte della Russia. Questo non e’ arrivato fino a lunedi’ e in occasione, per giunta, di una conversazione telefonica con George W. Bush. Il silenzio iniziale di Vladimir Putin e’ stato eloquente.

E’ molto probabile che questo non avrebbe sorpreso, tanto meno preoccupato, la Politkovskaya, che non faceva certo segreto del disprezzo che nutriva nei confronti del presidente russo, da lei definito come “un prodotto del piu’ oscuro servizio di intelligence del paese”, che “non era riuscito a superare le sue origini e a smettere di comportarsi come un tenente colonnello del KGB”. La citazione viene dal suo libro, pubblicato nel 2004, La Russia di Putin: Vita in una Democrazia Imperfetta, una minuziosa demolizione della fase attuale di sviluppo della Russia (o, come lei stessa sostiene, una regressione verso alcuni degli aspetti peggiori del regime sovietico), che e’effettivamente iniziata nel 1999 con il lancio della seconda guerra cecena.

La Politkovskaya venne inizialmente mandata a fare un servizio sul conflitto ceceno dal punto di vista dei profughi, che questo aveva prodotto. Ben presto, pero’, e’ diventata un’appassionata cronista della brutalita’ generale della guerra , criticando in modo implacabile ed ardente, non solo i suoi effetti sulla gente comune cecena, ma anche cio’ che stava facendo alla Russia. Quattro anni fa scrisse sulla Novaya Gazeta “Pensate ancora di dover appoggiare questa guerra per un qualche scopo da perseguire e che, in questo modo, le cose non vadano peggio? Le cose non possono peggiorare. Abbiamo perso tutto il senso della moralita’ e della moderazione che avevamo appreso in tempi meno turbolenti, e qualcosa di piu’ignobile e disgustoso, di quanto potremo mai immaginare, e’ esploso dalle profondita’ piu’ oscure delle nostre anime.”

La Politkovskaya ha fatto del documentare tutto cio’ di cui era testimone una sua missione personale e si e’ distinta in questo perche’, di fatto, era l’unica giornalista russa disposta a farlo. Il conflitto ceceno del 1993-96 fini’, in parte perche’ la pressione dei media spinse Boris Yeltsin verso un accordo di pace. Nella scia della glasnost, la Russia appena non-sovietizzata vantava un’eterogenea cacofonia di voci tanto sulla stampa, quanto sui media telematici e molti di questi condannavano la nascita di un nuovo Afghanistan.

Con la svolta del secolo, Putin ha fatto in modo di non dover affrontare lo stesso inconveniente. La pressione diretta era soltanto un aspetto della strategia. Una serie di esplosioni di ordigni in palazzi a Mosca e altrove, di cui venivano incolpati i separatisti ceceni, hanno aiutato a cambiare lo stato d’animo generale. Anche se non e’ mai stato definitivamente provato, persistono dei sospetti (rafforzati da prove indiziarie) che le esplosioni, che hanno ucciso centinaia di persone, siano state architettate dal FSB (Servizio Federale di Sicurezza), successore post-sovietico del KGB. Putin era a capo del FSB prima che Yetsin lo scegliesse come primo ministro. In seguito, l’atmosfera post 11 settembre consenti’ a Putin di pretendere che anche la Russia fosse partecipe, in quanto ferita direttamente, alla “lotta contro il terrorismo”. Di fatto, la voce di tutti i media – con l’eccezione, pero’ della Novaya Gazeta e della sua giornalista piu’ famosa - venne cooptata in sostegno di quelle che Mosca definiva essere operazioni “anti-terroristiche” e di “pulizia”.

La Politkovskaya non aveva certo alcuna simpatia per estremisti islamici del genere di Shamil Basayev, ma poteva anche vedere chiaramente le conseguenze della punizione colletiva e di altre forme di terrore di stato, perpetrate dall’esercito russo e dai mandatari di Putin a Grozny. Due anni fa, disse ad un intervistatore inglese: “la verita’ e’ che i metodi utilizzati nell’operazione anti-terroristica di Putin stanno generando un’ondata di terrorismo, di cui non abbiamo mai sperimentato nulla di simile in precedenza.”

Gli articoli della Politkovskaya sulla Novaya Gazeta erano pieni di resoconti su torture, stupri ed uccisioni extragiudiziali, raccolti dalle vittime e dai loro parenti. Anche se il suo interesse primario era l’indicibile sofferenza inflitta ai civili innocenti, con addirittura villaggi saccheggiati ripetutamente soltanto perche’ l’esercito non aveva una migliore strategia antisommossa, trattava ampiamente anche gli effetti disumanizzanti del conflitto sui giovani soldati russi.. Le descrizioni della Politkovskaya rievocano spesso un microcosmo dell’Iraq.

Lei e’ stata anche testimone delle lotte interne all’esercito russo, specialmente quando un elicottero, che trasportava un giovane generale mandato da Mosca a fare indagini sugli abusi militari, venne abbattuto su Grozny nel settembre 2001. L’esercito diede la colpa di questo atto ai separatisti. La Politkovskaya, che si trovava per caso a Grozny ed aveva parlato al generale poco tempo prima che venisse eliminato, sapeva che era impossibile. Lei accuso’, invece, gli irriducibili ufficiali dell’esercito, che avevano molto da nascondere. Nell’arco di pochi giorni, le minacce di morte divennero cosi’ gravi che, i colleghi, preoccupati per la sua incolumita’, la convinsero ad andare all’estero.

Un paio di mesi piu’ tardi, racconto’ ad un giornalista che la intervistava a Vienna: “I miei figli mi hanno chiamata e mi hanno detto che una donna e’ stata assassinata nell’entrata del suo palazzo: qualcuno come me – della stessa eta’ e altezza, con i capelli grigi. Gli ho detto: Queste sono cose che capitano nella nostra citta’ ”. Ma loro mi hanno risposto: “No, dovevi essere tu”. E avevano ragione.

In Cecenia, la Politkovskaya aveva anche affrontato un’esecuzione simulata e minacce di stupro, per mano del FSB. E mentre era in viaggio per andare a fare un servizio sul famigerato assedio alla scuola di Beslan nel 2004, le venne servita una tazza di te’ avvelenato, che per poco non l’uccise. All’epoca era impegnata nel tentativo di convincere il leader dei separatisti ceceni non-Islamita, Aslan Maskhadov, a negoziare con i guerriglieri che avevano preso gli ostaggi. Un tentativo, il suo, che fini’ nel nulla a causa del tentato omicidio nei suoi confronti. Piu’ di trecento persone persero la vita nella maldestra operazione di “liberazione” che segui’, piu’ della meta’ di loro erano bambini.

In qualche modo, questa fu un’agghiacciante replica dell’incidente al teatro di Mosca avvenuto due anni prima, quando le autorita’ usarono gas tossico contro i ceceni che avevano preso gli ostaggi, uccidendo cosi’ diverse decine di ostaggi nell’operazione. In quell caso, i terroristi avevano richiesto specificatamente di parlare con la Politkovskaya e, contro il parere della sua famiglia e degli amici, lei era tornata dall’esilio per questo scopo. Non aveva assolutamente esperienze di situazioni simili, ma riusci’ ugualmente a convincere i militanti a permetterle di portare acqua e succhi di frutta per i circa 800 ostaggi. Non riusci’ quasi mai a superare il tormento del rimorso per non essere stata in grado di fare di piu’.

Sarebbe sbagliato descrivere la Politkovskaya impavida: il suo coraggio straordinario – certi dicono irrazionale – risiede nel non permettere alla paura di sopraffare il suo senso del dovere come giornalista. Si sentiva obbligata a riportare tutto cio’ che vedeva, sentiva e pensava: per i posteri, ma anche come eventuale incitamento a raggiungere una soluzione pacifica. Il fatto che fosse una lotta cosi’ solitaria, non influisce su un’Intellighenzia ammaliata da un capitalismo di favoritismi ed intimidita dall’autoritarismo strisciante di Putin. Mikhail Gorbachev ha descritto, in modo appropriato, il suo omicidio come “un grave crimine contro il paese, contro tutti noi”. Gorbachev e’ abbastanza saggio da sapere che la spietata riduzione al silenzio della Politkovskaya getta scredito su tutti i russi – di cui, soltanto, poche centinaia lunedi’ sono scesi in strada a Mosca per renderle omaggio e per esprimere la loro protesta, in vista del funerale di ieri.

Alcuni tra di loro si stavano probabilmente chiedendo se, il fatto che l’irriducibile battagliera quarantottenne sia stata uccisa in occasione del 54esimo compleanno di Putin, fosse semplicemente una coincidenza. Non e’per nulla inconcepibile che un penoso cortigiano da quattro soldi abbia programmato l’eliminazione di un’irascibile spina nel fianco, come dono per il presidente. O per Ramzan Kadyrov, che aveva compiuto 30 anni due giorni prima, acquisendo i requisiti per la presidenza della Cecenia, a cui aspira ardentemente – una carica ricoperta, non molto tempo fa, da suo padre, Ahmad Kadyrov, che, secondo i suoi colleghi, una volta parlo’ della Politkovskaya come di “una donna condannata”. Il suo [della Politkovskaya – n.d.t.] incontro con la morte arrivo’ proprio quando stava lavorando sull’ennesima denuncia che attesta il coinvolgimento di Kadyrov junior in casi di tortura.

Putin ha promesso a Bush un’indagine approfondita e proprio il Procuratore Capo della Russia in persona sta conducendo l’investigazione sull’omicidio della giornalista dissidente. Questo fatto, di certo, non rappresenta una garanzia di risultato e la Novaya Gazeta – che ha dedicato l’edizione di lunedi’ totalmente ad un elogio della Politkovskaya – ha annunciato di voler fare un’indagine per proprio conto. La domanda “Chi ha ucciso Anna Politkovskaya?” potrebbe rieccheggiare ancora per decenni. Ma, allo stesso modo, risuonerebbero anche le sue parole, le sue devastanti accuse di crimini contro l’umanita’ perpetrati in nome di tutto il popolo Russo. Il fatto che nessuno dei suoi libri – La Russia di Putin, Una sporca Guerra e un Piccolo Angolo d’Inferno – sia stato pubblicato in patria, serve soltanto ad avvalorare il suo giudizio che “La Russia continua ad essere infettata dallo Stalinismo”.

In un omaggio, nel fine settimana, Oleg Panfilov, Direttore del Centro di Giornalismo in Condizioni Estreme di Mosca, faceva notare che “Quando insorgeva la domanda se in Russia c’era un giornalismo onesto, quasi ogni volta il primo nome che veniva in mente era quello della Politkovskaya”. Questo potrebbe servire da epitaffio appropriato, se non fosse per la stessa Politkovskaya, che, alquanto prematuramente, cinque anni fa durante il suo esilio a Vienna, se ne salto’ fuori con uno migliore: “Ho lavorato veramente sodo per far luce sui fatti in questa guerra, ed ora mi hanno fermata”.

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mahirali1@gmail.com

Traduzione di Antonella Serio per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile, per fini non commerciali, citando la fonte, l'autore e il traduttore.

Il link al testo originale in inglese:
http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=31&ItemID=11173

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