Conflitti

Guerra in Ucraina: tra alternative illusorie e bisogno di complessità

Tertium non datur?

Dice Edgar Morin: «Attenzione all’isteria legata alla guerra, che ci fa vedere solo un lato della realtà, spesso più complessa. Dobbiamo fare una diagnosi corretta dell’uomo nel mondo, e nella storia attuale. Prima dell’impegno, prima dell’indignazione, dobbiamo capire».
8 marzo 2022

Tutti sappiamo che, in un incubo, nulla può liberare il sognatore dal suo sogno: non lo libera il fuggire, non lo libera il difendersi, non lo libera il nascondersi. Nulla lo libera, se non il risveglio. Ma il risveglio è qualcosa che non appartiene al sogno, è qualcosa di diverso (Watzlawick, 1986) [1]. E’ una strada non prevista all’interno della logica del sogno, una strada che rimane invisibile se si resta all’interno di tale logica. E’ altro rispetto al sogno, è “esterno” ad esso. In questa altra via è la soluzione.

Milton Erickson [2] (Erickson, Rossi, 1975) [3] racconta che, quando da piccolo viveva nella fattoria di famiglia, nella quale era suo compito aiutare nel lavoro, il padre gli chiedeva di scegliere liberamente a quali animali – maiali o polli – preferisse dar da mangiare prima. Il padre non gli domandava se desiderasse o meno lavorare, ma quale lavoro volesse svolgere prima dell’altro. La possibilità “non lavorare” non era contemplata dalla domanda, anche se il modo in cui essa era posta dava l’illusione di poter effettuare una scelta tra due differenti alternative. «Erickson si ricorda anche che poi, a scuola, cominciò a sua volta ad applicare questo metodo con successo, lasciando ai suoi compagni la scelta fra due possibilità delle quali, se presentate loro da sole, avrebbero immediatamente rifiutato sia l’una che l’altra» (Watzlawick, 1977, p. 109 tr. it.) [4].

Questo aneddoto è stato riportato, in un suo libro molto noto (1977), da Paul Watzlawick, filosofo, sociologo, psicologo austriaco e uno dei massimi studiosi di comunicazione. Quello che troviamo in esso è una sorta di gioco di prestigio, nel quale il modo in cui la comunicazione è posta disegna una realtà illusoria in cui sembrano esistere solo due alternative: è il tertium non datur (“una terza possibilità non è data, non è ammessa”) della logica aristotelica. Ma questo tertium, questa altra possibilità, non è che non esista in assoluto: esso semplicemente non è previsto nell’ambito concettuale delineato nel “trucco” di cui stiamo parlando. Ci troviamo davanti a quella che è stata definita [5] illusione di alternative, che si ha quando «[...] vi sono apparentemente due possibilità di scelta, che però non sono alternative reali ma, malgrado la loro apparente antiteticità, rappresentano entrambe solo un polo di una coppia di opposti più generale» (ivi, p. 106). In pratica, ci si ritrova in un contesto logico-concettuale ristretto alle uniche due alternative proposte le quali, però, sono due pseudo-alternative, perché antitetiche solo apparentemente. Infatti, esse rappresentano, in realtà, solo due diverse possibilità facenti entrambe parte dello stesso polo di una coppia (o, più precisamente, di una metacoppia) di contrari. Sembrano concetti astrusi, ma basta tornare al racconto di Erickson per chiarirli con un semplice schema (Figura 1 - Immagine tratta da Watzlawick, 1977, p. 109 tr. it.):

Figura 1 - Immagine tratta da Watzlawick, 1977, p. 109 tr. it.

Salta immediatamente all’occhio il fatto che le “vere” alternative, cioè i due poli opposti, sono date dal “Lavorare” e dal “Non lavorare”, mentre “Dar da mangiare ai polli” e “Dar da mangiare ai maiali” sono possibilità entrambe racchiuse nella stessa polarità (“Lavorare”).

Il racconto di Erickson ci dice anche un’altra cosa interessante, quando nota che i compagni di scuola, con i quali, da bambino, si era messo ad applicare lo stesso modello comunicativo usato da suo padre con lui, avrebbero rifiutato entrambe le pseudo-alternative proposte loro, se gliele avesse presentate da sole. Infatti, le proposte non erano desiderabili per i compagni; lo erano, invece, per Erickson il quale, mediante questo “trucco”, poneva un certo ambito che escludeva ciò che era per lui indesiderato. Allo stesso modo, suo padre, quando gli chiedeva se desiderasse dare da mangiare prima ai polli o ai maiali, lo metteva nella condizione di accettare una di queste due (pseudo)alternative, escludendo dal campo la possibilità (per se stesso indesiderabile) che il figlio non lo aiutasse nel lavoro.

Sostiene Watzlawick, quando spiega che nessuno è “immune” dall’illusione di alternative: «non è la diminuita capacità di intendere e di volere che rende possibile un’illusione di alternative, ma è l’illusione che blocca la funzione critico-analitica dell’emisfero [cerebrale, NdA] sinistro» (ivi, p. 110).

 

Illusione di alternative e attualità

Lo stesso modello di comunicazione può ritrovarsi ovunque: non solo, dunque, tra i buffi ricordi di un ragazzino. Se questo è vero, il tenerlo a mente può offrirci una chiave di lettura utile anche per leggere la tragica attualità: quella della situazione russo-ucraina rispetto a cui, sin dal primo istante, si è sviluppata (ed è ormai consolidata) una narrazione che dipinge – io credo – una realtà pericolosamente semplificata e polarizzata, nella quale è scoraggiato ogni tentativo di una visione complessa e in cui sono poste come possibili, come “reali”, come immaginabili, solo due alternative, che vanno a finire più o meno ai seguenti termini: sostenere la guerra scatenata da Putin o sostenere la “guerra” contro Putin, che sia la guerra reale combattuta in Ucraina o che sia quella che si odora nel nostro invio di armi e nelle dichiarazioni muscolari dei nostri politici o che sia quella che si può fiutare nella retorica della guerra giusta in cui si mette il male tutto da una parte (beninteso, che Putin sia il cattivo credo non lo metta in discussione alcuno) e sono sin da subito pronte santificazioni ed “eroicizzazioni” dall’altra.

E’ chiaro che la realtà impone la necessità etico-morale di “schierarsi dalla parte giusta”, ma il punto è quale sia l’ambito concettuale, disposto dalla narrazione delle cose, entro il quale lo schieramento può avvenire. Il punto è quali siano le alternative tra le quali possiamo operare la scelta. Se si guarda bene alle possibilità sopra menzionate (si badi bene: mi riferisco alle possibilità sopra menzionate, non all’essere, banalizzando qui per brevità, pro o contro le azioni di Putin), esse possono essere utilmente viste – credo – come un’illusione di alternative: appartengono entrambe allo stesso polo di opposti (guerra). Nell’ambito concettuale in cui muoversi è assente la loro reale alternativa, che è la non-guerra, la pace.

Sembra che non sia possibile né pensabile condannare le azioni putiniane (che si commentano da sole e vanno ovviamente condannate) in modi altri, vedendo cioè scenari diversi rispetto al mettersi l’elmetto (o, meglio, farlo mettere agli altri), al sostenere la necessità della corsa al riarmo, all’interventismo sbrigativo e all’accettazione della logica della guerra. Siamo già in un dominio linguistico (inteso nel senso di “àmbito”, di insieme delle risorse linguistiche disponibili) bellico che delimita le possibilità di pensiero. Sembra impossibile accompagnare l’indignazione con una lettura delle cose che vada un millimetro più in là rispetto ai fatti (terribili, senza ombra di dubbio) che accadono proprio ora e che vengono rincorsi dai media istante per istante, spesso con toni emotivamente densi e con un’eccitazione tensiva che rischiano di aumentare semplificazione della realtà e polarizzazione del pensiero sulla realtà.

 

E allora, che fare?

Come afferma Watzlawick, «quando ci si trova di fronte a questa situazione [di illusione di alternative, NdA] la soluzione del problema […] consiste nell’arrivare a cogliere un’alternativa sopraordinata e questo si ottiene sempre superando le pseudoalternative considerate esclusive fino a quel momento [...]» (1977, p. 112 tr. it.). «L’illusione di alternative va [...] in frantumi nel momento in cui ci si rende conto dell’esistenza dell’antitesi più generale in cui esse sono sussunte» (ivi, p. 107).

E’ tra le due polarità sovraordinate che dobbiamo scegliere con quale schierarci, è rispetto a queste che dobbiamo posizionarci.

Concludo con alcune riflessioni di Edgar Morin [6], uno tra i maggiori pensatori della nostra epoca, tratte da un’intervista riportata quasi integralmente in italiano su repubblica.it Parma il 4 marzo [7] [8] (nel blog di Sergio Manghi “Il terzo incluso. Esercizi di resistenza al peggio”). Dice Morin: «[...] L’Ucraina può essere difesa senza essere ciechi. Attenzione all’isteria legata alla guerra, che ci fa vedere solo un lato della realtà, spesso più complessa». E, ancora, rispondendo a una domanda circa il dover essere indignati o piuttosto il doverci impegnare, afferma: «direi che dovremmo anche pensare. Non basta essere indignati o impegnati. Dobbiamo sapere in che tipo di mondo siamo. Questo è ciò che tutti i grandi pensatori [...] hanno voluto fare. Dobbiamo fare una diagnosi corretta dell’uomo nel mondo, e nella storia attuale. Prima dell’impegno, prima dell’indignazione, dobbiamo capire. […]»

Ecco: dobbiamo pensare. Indignarci, impegnarci, ma prima (e sempre) pensare e capire.

Note:

  1. Watzlawick P., Vom schlechten des gutten oder hekates lösungen, R. Piper GmbH & Co. KG, München, 1986 [tr. it. Di bene in peggio. Istruzioni per un successo catastrofico, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1987].

 

  1. Milton H. Erickson (1901 - 1980) si è laureato in medicina e psicologia all’Università del Wisconsin e ha insegnato psichiatria alla Wayne State University. E’ considerato il maggior ipnotista ed esperto di ipnosi dei nostri tempi.

 

  1. Erickson M. H., Rossi E. L., Varieties of Double Bind, in “American Journal of Clinical Hypnosis”, 17, 1975, pp. 143-57.

 

  1. Watzlawick P., Die moglichkeit des andersseins. zur technik der therapeutischen kommunikation, Verlag Hans Huber, Bern, 1977 [tr. it. Il linguaggio del cambiamento. Elementi di comunicazione terapeutica, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1980].

 

  1. Come ricorda lo stesso Watzlawick (1977), la locuzione illusione di alternative è stata usata per la prima volta da J. H. Weakland e Don D. Jackson (1958) per nominare un modello di comunicazione da loro individuato.

 

  1. Edgar Morin è nato a Parigi nel 1921. E’ filosofo e sociologo; è considerato tra i più prestigiosi pensatori della nostra epoca e l’iniziatore della Complessità, di cui è il più autorevole teorico. Mi sembra pertinente ricordare qui che fu partigiano durante la Resistenza (“Morin” non è il suo cognome originario, ma il suo nome di battaglia, poi ufficializzato e con il quale oggi tutti lo conoscono).

 

  1. https://terzo-incluso-parma.blogautore.repubblica.it/2022/03/04/pensare-prima-di-indignarsi-unintervista-di-edgar-morin-sulla-tragedia-ucraina/

 

  1. L’intervista originale è comparsa lo scorso 2 marzo sul quotidiano francese France-Ouest, condotta da Frédérique Jourdaa e Patrice Moyon.

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