Conflitti

I favorevoli all'invio armi non considerano i rischi di escalation, anche atomica

Chi fornisce armi partecipa al conflitto e non può più essere considerato neutrale

Il teologo e filosofo Vito Mancuso ha scritto su La Stampa: “Sono contrario alla guerra ma favorevole all'invio delle armi”. Ma il giurista Domenico Gallo scrive: "Con l’invio di armamenti l’Italia abbandona la neutralità e diviene un paese belligerante".
9 marzo 2022
Gianni Penazzi (Gruppo Obiettori Fiscali alle Spese Militari)

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Ci sono domande alle quali non si vorrebbe rispondere perché si conosce la complessità della situazione, non riducibile a un sì o a un no. Eppure a volte rispondere è necessario, assumendosi i rischi della coscienza morale in azione. Mi chiedono: "Sei a favore dell'invio di armi inUcraina?". Rispondo: "Sì, sono a favore". Credo occorra ascoltare il loro appello e non lasciarli soli, condivido la posizione dell'Ue e del governo. Ribattono: "Ma allora tu sei a favore della guerra! Appoggiando l’invio di armi, dici sì alla guerra, versi benzina sul fuoco, alimenti la carneficina!". L'obiezione proviene soprattutto da chi dichiara di volere la pace più di ogni altra cosa e può avere una duplice argomentazione: o di tipo ideologico in quanto sempre e comunque contrari all'uso delle anni, o di tipo pragmatico in quanto consapevoli che contro la Russia non ci può essere Ucraina che tenga, e che anzi, ansandola di più, se ne incrementa la strage. Anch'io però amo la pace, ho speso buona parte della vita a servirla e fondarla eticamente, e non per questo le mie conduzioni sono di lasciare inascoltato l'appello degli ucraini e di non aiutarli militarmente nella loro difesa dall'aggressione russa. Ma ho appena scritto aggressione gassa" e mi si stringe il cuore: è dai tempi del liceo che la mia anima si nutre di Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Pasternak; alla memoria di Vasilij Grossman, ebreo nato in Ucraina e di lingua madre rissa, ho dedicato un libro. Quando ho incontrato il pensiero teologico nesso con Solovëv, Florenskij, Sergej Bulgakov, Berdjaev, i grandi pensatori della sofiologia, è stata per me una folgorazione. E poi, come dimenticare i venti milioni di morti dell'Armata Rossa grazie a cui il nazifascismo è stato sconfitto? Mi ritrovo quindi colmo di perplessità e per sciogliere il nodo cela) di esercitare l'intelligenza spronandola al suo principale lavoro da cui tutto il resto dipende: capire. Ma cosa c'è da capire? Guerra e pace: ecco cosa c'è da capire. Prendo spunto dal titolo del capolavoro di Tolstoj (che peraltro nella seconda metà della vita fu un pacifista radicale con posizioni politiche prossime all'anarchia) per sostenere che la Storia a volte non consente di optare per la guerra o la pace, come o mi vuole chi, dichiarandosi a favore della pace, è contro l'invio di armi agli ucraini. Talora non si dà guerra "o"pace, bensì guerra "e" pace, con la congiunzione "e"a connettere intimamente i due fenomeni. Come tradurne in latino il titolo di Tolstoj? Me lo chiedo perché il latino ha una capacità molto più ampia dell'italiano di esprimere la congiunzione "e", che può essere resa con "et", "ac", "atque" e con il "que" aggiunto alla fine del secondo termine, per esempio "senatus populusque", a indicare che i due termini sono così uniti da essere quasi una cosa sola: due atomi che formano una molecola. Quale congiunzione avrebbero scelto Cicerone, Seneca o Tacito per unire oggi “bellum” e "pax"? La pace non è mera assenza di guerra, è piuttosto un atteggiamento interiore, io penso sia una diversa volontà di potenza e la definisco "coraggio" nel senso etimologico di "azione del cuore". Ma l'insegnamento pressoché unanime delle tradizioni spirituali e filosofiche è che la pace, non solo non è mera assenza di guerra, ma, per essere veramente servizio della vita e non imposizione (come la `pax romana") o ideologia mascherata (come rodio antioccidentale di alcuni), può essere anche presenza di guerra. In che senso? Nel senso che deve contenere in sé anche la possibilità della guerra come legittima difesa. In questo caso si ha la guerra "giusta", contemplata unanimemente dalle maggiori tradizioni filosofiche e spirituali.
Sintetizzando sapienza greca e dottrina cristiana, Tommaso d’Aquino si chiedeva se è sempre un peccato fare la guerra (ut nun bellare semper sit peccatum, cfr. Summa theologiae, II-II, q. 40) e rispondeva di no a tre condizioni: legittimità dell'autorità che la conduce, giusta causa, giusta finalità. La guerra di Putin non è giusta perché: 1) l'autorità che la conduce è democraticamente illegittima in quanto regime liberticida che negala libertà, censura l’informazione, incarcera gli oppositori (Navalny),talora li uccide (Politkovskaja, Nemcov, Litvinenko); non è insomma una democrazia ma una "democratura", come l'ha definita Massimo Giannini; 2) la sua causa è palesemente l'attacco, non la difesa, come afferma una dichiarazione sottoscritta da migliaia di scienziati russi e presentata su questo giornale da ElenaCattaneo; 3) ha come finalità il controllo di un Paese sovrano per ridurlo a proprio vassallo. Al contrario, la guerra condotta dall'Ucraina è giusta perché: 1) viene condotta da un governo eletto democraticamente; 2) è motivata dalla naturale volontà di difendere il proprio Paese e la vita dei cittadini; 3) ha come fine la libertà. Ne viene che questa guerra è ingiusta e giusta al contempo, a seconda della posizione, e non è del tutto vero quanto pensava Gino Strada secondo cui "la guerra giusta non c'è: nove vittime su dieci sono civili": è vero per la guerra di Putin, è vero per la guerra degli Usa che intendevano esportare la democrazia costruendo menzogne, è vero per ogni altra guerra di aggressione. Non è vero però per la guerra degli ucraini e per ogni altra guerra di difesa. Il fenomeno Storia è complesso, richiede un'intelligenza delicata e priva di certezze a priori: si pensi alla Seconda guerra mondiale che fu al contempo aggressione nazifascista e lotta contro il nazifascismo e resistenza, e prima ancora si pensi a tutte le guerre di indipendenza che hanno consentito ai popoli oppressi di raggiungere la libertà. Il che attesta che a volte nella Storia non si dà la possibilità di scegliere o guerra o pace, ma lesi deve tenere insieme entrambe: e guerra e pace. Volere la pace significa: a) preparare in tutti i modi la pace; b) essere altresì pronto a una guerra di difesa dall'ingiusto aggressore. La pace e la guerra sono quindi sullo stesso piano? No, la pace è infinitamente superiore, ma proprio per questo essa contiene la possibilità (estrema ma reale) della guerra. Essa non è il contrario della guerra, ne è il superamento, "Authebung" avrebbe detto Hegel indicando il processo che sa custodire anche le ragioni dell'antitesi. L'insegnamento da trarre è che le opzioni di guerra non devono essere escluse a priori e che talora purtroppo è necessario ricorrervi. Ha scritto al riguardo Gandhi, il più celebre padre della non-violenza: “Supponiamo che un uomo venga preso da una follia omicida e cominci a girare con una spada in mano uccidendo chiunque gli sipari dinanzi, e che nessuno abbia il coraggio di catturarlo vivo. Chiunque uccida il pazzo otterrà la gratitudine della comunità e sarà considerato un uomo caritatevole" (Teoria e pratica della non-violenza, p. 69).
Questa è la risposta all'obiezione di chi è sempre e comunque contrario alla guerra e all'uso delle armi, rimane la seconda di tipo pragmatico secondo cui l'invio di armi agli ucraini contro i russi non serve a nulla a causa della sproporzione delle forze. Si tratta però di un argomento che suppone competenze militari non in mio possesso, io mi posso limitare a dire che se un bambino viene malmenato da un energumeno impazzito non è che io non intervengo perché se no costui si arrabbia ancora di più. Dobbiamo costruire la pace. È un dovere politico e morale. Forse, a partire dal 24 febbraio, questa è diventata la missione della nostra vita. Al riguardo c'è un livello militare: gli ucraini combattono per la loro libertà e occorre aiutarli militarmente. C'è un livello umanitario: gli ucraini hanno bisogno di assistenza e occorre inviare loro cibo, vestiario, medicine, e accogliere amorevolmente tutti coloro che si mettono in salvo. C'è un livello diplomatico e occorre perseguire e incoraggiare tutte le trattative. Occorre inoltre tenere presente che la guerra riguarderà sempre più anche il popolo russo, consegnato dal suo dittatore a un nero futuro: se si vuole la pace, anche i russi sono da aiutare ascoltando le loro ragioni, onorando la loro maestosa cultura, non emarginandoli come reietti. Soprattutto dovremmo sorvegliare attentamente la nostra coscienza per far sì che non vi entri il veleno dell'odio, neppure di fronte alle immagini più strazianti della guerra iniquamente condotta da Putin. I russi infatti, per quanto ora costretti a obbedirgli, non sono Putin, così come i tedeschi non erano riducibili a Hitler, gli italiani a Mussolini, i serbi a Milosevic, l’umanità Caino. Nella Amsterdam occupata dai nazisti, una giovane donna ebrea, Etty Hillesum, poi uccisa ad Auschwitz, scrisse in una lettera datata dicembre 1942: “So che chi odia ha fondati motivi per farlo. Ma perché dovremmo sempre scegliere la strada più corta e a buon mercato? Ho potuto toccare con mano come ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo rende ancora più inospitale".
Vito Mancuso - La Stampa 6/3/2022
E' del 6 marzo un interessante articolo del teologo e filosofo Vito Mancuso su La Stampa: “Sono contrario alla guerra ma favorevole all'invio delle armi”. Il prof Mancuso è indubbiamente un profondo e autorevole studioso. Tuttavia mi è dispiaciuto osservare la mancanza di riferimento alla moderna letteratura nonviolenta per la mediazione/risoluzione dei conflitti. Non un cenno agli infiniti studi e pratiche svolti dai molti testimoni e uomini di pensiero come Johan Galtung, Theodor Ebert, Gene Sharp, Tolstoj, Jean Goss, Hildegard Goss, Jean Marie Muller, fino ai nostri compianti Lanza del Vasto, Danilo Dolci, Davide Melodia, Nanni Salio, Carlo Carretto (breve trattato sulla nonviolenza "l'utopia che ha il potere di salvarti"), agli amici Matteo Soccio,  Francuccio Gesualdi, Padre Alex Zanotelli, Giuliano Pontara (studioso di Gandhi). Un cittadino ucraino tenta di fermare un carro armato con il suo corpo Mi pare che Mancuso non abbia neanche sfiorato l'enorme lavoro di ciascuno di questi (sic!) soffermandosi piuttosto sul vecchio schema greco-romano: la teorizzazione di un diritto bellico, già greca, come pure greca è la sua infrazione, Polibio e Diodoro, ad esempio.

Personalmente dai tempi di Testimonianze con Padre Balducci ho rafforzato l'idea del "se vuoi la pace prepara la pace". Ai nominativi che ho elencato aggiungerei anche il caro Alex Langer per i suoi tentativi in ex-Jugoslavia; il caro Alberto L'Abate per la strategia dei governi paralleli in Kosovo.   

Del prof Mancuso contesto la comunicazione della sua scelta favorevole all'invio armi senza aprire alcuna considerazione sui rischi di escalation verso soluzioni ultimative atomiche. Peraltro l'Ucraina fino a poco tempo fa era la terza potenza nucleare.

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E' di oggi un lungo articolo su Analisi Difesa che spiega come e perché Polonia, Stati Uniti e Nato si siano avvitati in un loop senza uscita. La domanda è: chi invia i jet militari all'Ucraina? 

Gli Usa non ritengono attuabile l’offerta della Polonia di consegnare alle forze statunitensi in Europa i suoi caccia Mig-29 per poi trasferirli successivamente all’Aeronautica Ucraina. Lo ha annunciato il portavoce del Pentagono John Kirby riferendo che la prospettiva di aerei da combattimento che decollino da una base statunitense in Germania (Ramstein) “per volare nello spazio aereo conteso tra Russia e Ucraina solleva serie preoccupazioni per l’intera Nato".

Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, aveva precisato ieri sera in una conferenza stampa a Oslo che “la Polonia non è una parte di questa guerra e la Nato non è una parte di questa guerra. Di conseguenza, qualsiasi decisione di consegnare armi offensive deve essere presa dalla Nato nel suo insieme, all’unanimità. Noi siamo pronti a dare tutta la nostra flotta di jet da combattimento alla base Nato di Ramstein, ma non siamo pronti a fare nulla da soli”.

Il resto è su https://lists.peacelink.it/disarmo/2022/03/msg00014.html

Queste informazioni - che estraiamo da Analisi Difesa - demoliscono ogni astratto discorso filosofico sulla guerra giusta e sulla fornitura di armi; armare la resistenza del popolo ucraino significa scatenare un conflitto mondiale. Fare un raffronto con la guerra partigiana (intervenuta a conflitto mondiale già in atto) non ha pertanto alcun senso. E' del tutto chiaro il passaggio da un conflitto locale a un conflitto mondiale è folle da auspicare e non a caso la Nato stessa la ritiene una scelta "non sostenibile". Infatti la scelta che si prospetterebbe è fra questa situazione di guerra circoscritta e una situazione bellica ancora peggiore, con l'allargamento del conflitto fino al confronto nucleare. Non essendo sensato l'invio effettivo di armi (che al momento nessuno sta consegnando per il rischio di conflitto mondiale) allo scopo di riequilibrare il confronto militare per l'inevitabile l'allargamento del conflitto, ciò che rimarrebbe sul campo (l'Ucraina in condizioni di inferiorità militare) ha una possibile soluzione che risparmia vite umane: il negoziato basato sul compromesso. Ognuno dei contendenti, sotto la pressione della pressione internazionale, deve rinunciare a qualcosa senza rinuciare all'irrinunciabile: la libertà (Kiev) e la sicurezza (Mosca).

In questo momento si assiste a filosofi e politici che discettano di armi da consegnare ai più deboli e di militari che scuotono il capo e che frenano coloro che hanno votato un invio senza chiarire chi porterà quelle armi che oggi nessuno nella Nato vuole consegnare.

Alessandro Marescotti

Mi ha sempre colpito un pensiero di Piero Calamandrei: "La Resistenza fu un misterioso e miracoloso moto di popolo contro la tirannia del nazifascismo". Farei notare a coloro che citano i nostri partigiani come beneficiari di armamenti da parte americana, che tali invio d’armi avvenne alla fine della seconda guerra mondiale.

Sul tema della legittima difesa mi sento più in sintonia con quella parte della nostra Resistenza che non utilizzò mai il moschetto. Anche se, come ultima ratio, ricorrerei alla legittima difesa nel caso di estrema e conclamata grave ingiustizia in atto: "tra la codardia e il coraggio sceglierò l'ultima". Questo il pensiero di Gandhi che anche giustificava il tirannicidio, come giustamente riferisce il prof. Mancuso.

Mi è di aiuto la considerazione giuridica del magistrato Domenico Gallo: “"Quello che non è stato spiegato al Parlamento e all’opinione pubblica è che la legge italiana sulla neutralità (R.D. 1938 n. 1415, All. B, art. 8) vieta di fornire armi ai paesi in guerra. La ragione è semplice: chi fornisce armi a un paese in guerra partecipa al conflitto e quindi non può essere più considerato neutrale. Con l’invio di uno stock imprecisato e secretato di armamenti e di mezzi bellici, l’Italia abbandona la neutralità e diviene un paese belligerante, sia pure per interposta persona". 

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