Amnesty: «Il governo italiano sapeva»
Se non è una «smoking gun», la prova che il governo Berlusconi fosse a conoscenza delle torture in Iraq, poco ci manca. Parla il presidente di Amnesty Italia Marco Bertotto, che ha spedito ieri una lettera al presidente del consiglio Berlusconi e ai ministri della difesa e degli esteri, Martino e Frattini. Amnesty International denunciò i casi di tortura commessi da Usa e Gran Bretagna alla fine di giugno 2003. «Quanto affermato dal governo italiano in tutti questi giorni - dice Bertotto - sul fatto che non sapesse nulla delle torture in Iraq è falso. Come si vede dall'interrogazione del 3 luglio 2003, la Farnesina approfondì le denunce fatte da Amnesty, anzi, il sottosegretario Boniver disse che l'Autorità provvisoria di occupazione era disponibile `a migliorare rapidamente le condizioni detentive' a Baghdad e nel resto del paese».
Cosa chiedete in questa lettera?
Vogliamo che le forze armate italiane non consegnino più le persone da loro arrestate alle forze della coalizione che gestiscono gli interrogatori e i centri di detenzione. Se così non avvenisse l'Italia commetterebbe una grave violazione del diritto internazionale e dei diritti umani. Vogliamo impedire che quanto abbiamo denunciato da mesi accada anche ad altre persone. Le immagini di queste settimane hanno reso evidfente a tutti il quadro reale della guerra in Iraq.
A cosa si riferisce quando parla di violazioni al diritto internazionale?
Continuare a consegnare i detenuti in queste condizioni implica una violazione degli obblighi internazionli e umanitari assunti dall'Italia. Da un lato c'è la Convenzione europea sui diritti umani, che è in vigore in un territorio formalmente amministrato dalle autorità italiane come quello di Nassiriya. La Convenzione impedisce il trasferimento di persone in luoghi dove esiste un «rischio elevato» di subire torture. Dal punto di vista umanitario inoltre esistono la terza e la quarta Convenzione di Ginevra, che regolano il trattamento dei prigionieri di guerra e dei prigionieri civili: possono essere trasferiti a un'altra potenza solo nel caso in cui la potenza detentrice si sia accertata che la prima voglia e possa rispettare queste Convenzioni. Nel caso in cui non le applichi, la potenza che ha proceduto al trasferimento deve prendere misure efficaci o chiedere che le persone le siano restituite. Più chiaro di così...
Che reazione vi aspettate dal governo italiano?
Accogliamo con favore le parole di condanna e l'impegno ad accertare le responsabilità individuali. Vogliamo però che il governo assuma iniziative concrete. Nel nostro paese abbiamo già sentito troppa retorica sull'argomento tortura.
Nel processo sui fatti di Bolzaneto la procura ha richiamato l'articolo 3 della Convenzione europea, che vieta «la tortura e i trattamenti inumani e degradanti». Un segnale che fa sentire la mancanza di un reato specifico...
Il richiamo a norme internazionali è teoricamente sempre possibile ma nei fatti si è rivelato di difficile gestione. E' anche per questo che sosteniamo l'introduzione del reato di tortura nel nostro codice.
E' tragico che proprio pochi giorni dopo che la camera ha affossato la legge contro la tortura, questa pratica sia diventata il centro di una crisi internazionale come non si vedeva dai tempi del Vietnam...
Quando Amnesty denunciava il ricorso sistematico alla tortura in 70 paesi del mondo e la sua pratica in 150 stati sembrava una cosa lontana, che riguardava solo le dittature. E' ormai chiaro a tutti che la bomba ci è scoppiata tra le mani: anche i paesi occidentali ricorrono alla tortura. Oggi più di ieri il parlamento deve stabilire solennemente che l'Italia non tollera la tortura e la sanziona come uno specifico reato penale. Invito quindi il parlamento a cogliere questo momento, in cui il mondo assiste sconcertato al ripetersi di fatti gravissimi, per dare un segnale chiaro contro la tortura ovunque essa avvenga. L'auspicio è che la camera sappia dimenticare le ore buie dell'ultima discussione in aula per ripartire dal testo originario. Sarebbe un segno tangibile della capacità delle forze politiche di non nascondersi di fronte alle proprie responsabilità.
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