"La Ferocia" di Nicola Lagioia: un bestiario verosimile del 21° secolo
N.- Nel 1989, dopo la caduta del Muro di Berlino, dicevano che sarebbe cominciata l’ “Era dell’acquario”, un’era di prosperità e di pace. Nel 1991 però lo spettro della guerra è ripiombato sull’Europa e ci siamo trovati con la guerra in Jugoslavia. Quella del XXI secolo è una “Ferocia Legale” perché l’allargamento della forbice tra i ricchi e i poveri dimostra che le previsioni erano sbagliate, qualcosa è andato per il verso sbagliato. Il clima si è incarognito. La Ferocia, di cui parlo nel libro, è un ritorno allo stato di natura, è la “Legge della Giungla” che ci ripiomba addosso. Pensiamo sempre che sia la fine, ma poi ci ripiomba addosso. Ho giocato con il nome stesso dei Salvemini, che storicamente è associato a Gaetano Salvemini un pilastro della tradizione democratica ed etica italiana. Io ho utilizzato lo stesso cognome per una famiglia di farabutti. I Salvemini sono dei “Cozzali arricchiti” e il capofamiglia, Vittorio, è perseguitato dalla paura della miseria, quindi accumula il più possibile. Sono talmente voraci che non si rendono conto che se la comunità di un territorio ti ha arricchito devi anche pensare a ridistribuire la ricchezza accumulata sullo stesso territorio.
T. - Emerge prepotentemente il rapporto, quasi ossessivo, che i due fratelli, Clara e Michele, vivono. In un certo momento della vita i due fratelli si riconoscono. Allo stesso modo il lettore si riconosce all’interno della società corrotta nella quale si muovono i personaggi. Michele e Clara sono le pecore nere, gli insani, gli errori di sistema, le anomalie.
N.- È impossibile, in Italia, parlare delle vita pubblica senza parlare di famiglia perché abbiamo

T.- Visti anche gli ultimi scandali che hanno portato all’attenzione della cronaca gli appalti delle Grandi Opere, l’Italia, almeno sotto il punto di vista della corruzione è unita. Più che di una “Questione meridionale” possiamo parlare di una questione di dignità? La consapevolezza che a pagare sono solo gli sprovveduti o coloro che non possono permettersi gli avvocati migliori ha creato un callo e per questo motivo la comunità ha innalzato il proprio grado di sopportazione e così facendo ha abbassato la propria dignità? Un esempio perfetto è la descrizione di Taranto presente all’interno del libro. Perché non ci sentiamo più così tanto offesi dai poteri forti che barattano, in tutta Italia, la nostra terra e la nostra salute per guadagni sempre più grandi?
N.- Il problema di noi Italiani è che crediamo che gli italiani sono sempre gli altri. Penso che è cambiato il nostro rapporto con la colpa, il rapporto che abbiamo con gli errori che commettiamo. Mentre i cattivi di Balzac erano cattivi coscienti di essere cattivi e potrebbero pentirsi o non pentirsi, oggi si vuole uscire puliti anche ai propri stessi occhi. Qui ritorniamo al concetto di famiglia. Siamo il Paese che vive la famiglia come un clan, ma che, allo stesso tempo percepisce tutto quello che c’è fuori dalla porta di casa come terreno di conquista. Ne è l’esempio l’incendio del Petruzzelli, per ricostruirlo ci sono voluti 10 anni perché la società civile non percepiva quel teatro come un valore e come un bisogno per la città. Se questi bisogni non sono espressi dalla società, dagli abitanti di un luogo, anche la politica non li considera prioritari.
T.- Francesco Rosi, all’interno de “Le mani sulla città scrisse «I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce» è senza dubbio una frase che potrebbe chiudere anche “ La ferocia”. Grazie mille per la disponibilità, Nicola.
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