I punti di cultura

9 giugno 2005
Claudio Prado

il kit multimediale viene reso disponibile in tutti i punti di cultura. Ecco mette in pratica tutte le teorie di cui si discute a livello mondiale per quanto riguarda questo tema. Sono dei veri e propri laboratori il cui obiettivo è dare avvio a dei processi per cui diamo l’opportunità a delle persone che non hanno mai modo di vedere nemmeno questi aggeggi digitali, di poterli utilizzare. Il concetto è quello di utilizzare la banda larga associata ad internet con l’obiettivo di creare un processo interattivo con altri strumenti. Quindi creare un processo di interscambio anche non solo attraverso il testo ma anche attraverso immagini, suoni, audiovisivo e di progetti software. Questo perché riteniamo che affinché vi sia l’inclusione digitale non si può considerare solo il computer, ma lo sfruttamento di tutte le opportunità date dal digitale. Stiamo inviando questi strumenti in luoghi dove le persone non hanno mai visto prima d’ora la tecnologia. I due ostacoli fondamentali che affrontiamo quando inviamo questi kit strumenti nelle comunità sono da un lato il timore che siano troppo costosi. Quindi che le persone siano escluse a causa dei costi. Dall’altra il timore che siano troppo difficili da usare, quindi le persone temono di non essere mai in grado di usare queste tecnologie. Ora, queste sono della barriere che sono apparentemente ben stabilite. Le persone pensano che essere non saranno mai in grado di superare questo divario. Tuttavia la nostra esperienza ci mostra qualcosa di diverso e ve ne darò un esempio. Parte del nostro programma consiste nel riciclaggio del hardware. Quindi noi arriviamo in queste comunità e ominciamo a smontare i computer e rimontarli. A questo punto i bambini si interessano molto al processo. Vedono che è una cosa molto semplice e cominciano quindi a fare delle domande. Nel momento in cui fanno delle domande, comincia il loro processo di inclusione. Ora non vorrei che questo concetto di riciclaggio venisse inteso come un dare ai poveri computer vecchi. Vorrei evitare del tutto questo concetto. Quello che noi facciamo, al contrario, è trasformare quello che chiamiamo i “rifiuti digitali”, che non viene più utilizzato, in strumenti ad alta tecnologia. Quindi prendiamo questi computer, i bambini li smontano, poi sono essi stessi che li assemblano creando anche i collegamenti avanzati come il wi-fi che li metterà in collegamento con le proprie case. Quindi questi bambini diventano loro stessi gli autori, molto orgogliosi di averlo fatto, di questi strumenti digitali veramente ad alta tecnologia. Questo li mette in relazione anche alla comunità rendendo orgogliosi anche le comunità di quanto stanno facendo. Ovviamente questo da anche una bella iniezione di autostima ai ragazzi di queste comunità. Quando parlo di autonomia intendo che noi non lavoriamo con le aziende. Le aziende sono escluse. Siamo noi stessi che colleghiamo le conoscenze che permettono a questi ragazzi di creare la tecnologia. Allo steso tempo, all’interno del programma, c’è un progetto che permette ai ragazzi di creare delle piattaforme comuni. Anche qui sono gli stessi individui indipendenti ed autonomi che creano le piattaforme e che quindi si mettono in relazione con gli altri centri divulgano quello che conoscono a tutte le altre aree. Entro il 2006 abbiamo intenzione di creare mille punti di cultura. La cosa interessante i punti di cultura saranno siti in zone a basso reddito con una situazione di indici sociali a rischio come in aree dove sono residenti le classi medie e nelle università. Questo perché pensiamo che il programma possa fungere da ponte. Vorremmo che il processo sia a palla di neve, cominciando con un fiocco per poi espandersi in altri migliaia di posti. Quante persone può raggiungere? Il punto di cultura può essere localizzato in una tribù di indios che sono cento persone, ma in una favelas ne raggiungerà molte di più. Ma la cosa più importante è che essi a turno potranno mettersi in collegamento con molti altri. Non lo abbiamo pensato come ad un processo matematico, riguarda la cultura e le relazioni. Attraverso questo processo crediamo di poter creare dei laboratori che daranno le conoscenze necessarie per creare tecnologia e questo permetterà proprio a queste comunità di fare quel balzo dal diciannovesimo secolo al ventunesimo secolo evitando i “bushismi” del ventesimo secolo. Da Dicembre stiamo discutendo col sen. Cortiana per cercare di capire come l’Italia può partecipare al nostro progetto. Stiamo raggiungendo una conclusione grazie alle università che sono interessante e a quanto pare verranno da noi per studiare e osservare il fenomeno direttamente. Inoltre stiamo preparando insieme alla Fondazione Pistoletto e altre organizzazioni, una manifestazione in occasione del WSIS di Novembre sulla cultura libera. Noi speriamo che in quella occasione ci sia modo di dibattere anche per altre opportunità in questo campo soprattutto con la Fondazione Pistoletto stiamo contemplando la distribuzione dei multimedia kit nel mediterrano cercando di creare questa piattaforma comune in cui possano confluire le culture del mediterraneo. Noi ci metteremo la nostra esperienza e ovviamente un programma sviluppato come free software.

Per quanto riguarda le flat stiamo cercando di coinvolgere sempre di più le agenzie federali e quindi il governo. Abbiamo cercato anche di aumentare la consapevolezza anche a livello di congresso ma lì le cose sono più difficili anche perché ci siamo trovati di fronte al paradosso per il quale le persone che dovrebbero essere più consapevoli non lo sono. E invece quelle che dovrebbero essere poco consapevoli invece lo sono. La cosa più importante è che si sta costituendo un gruppo all’interno del congresso che sta cercando di cominciare una lotta per la libertà in internet, ma tuttavia la cosa più importante è che abbiamo cominciato dal nostro ministero ma il congresso è una cosa più complicata.

Note: Intervento tenuto a Venezia il 9 giugno 2005. Trascrizione adattata

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