Contro i brevetti software, appello al PSE
Dal 15 al 18 Settembre è stata annunciata a Bologna una assemblea dei deputati del Partito Socialista Europeo che avrà all'ordine del giorno temi attinenti lo stato dell'Unione. Tra i tanti argomenti che verosimilmente verranno trattati, ce n'è uno di stretta attualità che rischia di passare assolutamente in sordina, ma che rappresenta a suo modo una metafora esemplare delle difficoltà che in questo momento sta accusando l'Europa politica. Il prossimo 22 Settembre il parlamento europeo dovrà pronunciarsi su una direttiva che permetterà la brevettabilità dei programmi per calcolatori elettronici (software) anche nel nostro continente. L'attuale legislazione, risalente al 1973, impedisce di brevettare il software ma, col passare del tempo e sotto la pressione di interessi economici sempre più forti, allo stato attuale si possono contare più di 30.000 brevetti riconducibili a codice informatico. La direttiva in votazione andrebbe sostanzialmente a legalizzare la situazione attuale, liberalizzandola come già succede negli USA. Contro una simile eventualità un ampio fronte di soggetti molto diversi, dalle piccole e medie imprese europee alle associazioni di promozione del software libero e dei diritti civili, ha già fatto sentire la propria voce a fine agosto (http://swpat.ffii.org). Le obiezioni sono politiche ed economiche. Non si può pensare di proteggere un prodotto come il software, che per sua natura è una forma di conoscenza astratta molto più vicina ai teoremi matematici e alla ricerca scientifica, con lo stesso dispositivo legislativo usato per prodotti industriali come motori, frullatori, cancelli, ecc. Oltretutto il software è già tutelato dal copyright. In più, se questa proposta dovesse passare, molte imprese europee dovrebbero sostenere costi legali altissimi non solo per depositare i brevetti, ma per verificare anche che ogni riga di codice prodotta non infranga altri, senza contare il carico di lavoro supplementare per l'European Patent Office. Tutto questo andrebbe sicuramente a vantaggio delle grosse multinazionali del software, soprattutto statunitensi, che possono pagarsi gli uffici legali, e i cui accordi bilaterali di reciproco sfruttamento dei brevetti permette di dividersi il mercato escludendo tutti i soggetti minori. Eppure molte soluzioni brillanti ed efficienti vengono oggi da un tessuto di piccole imprese e programmatori indipendenti che hanno permesso la rivoluzione digitale e le aspettative migliori di progresso. In questa maniera l'istituto del brevetto nato per incoraggiare l'innovazione, otterebbero l'effetto contrario come è già successo negli USA dove, esteso da venti anni sul software, ha prodotto rallentamenti e monopoli spostando gli investimenti da ricerca e sviluppo alle costose cause legali che alimentano una ricca casistica (http://www.softwarelibero.it). Soprattutto, come ha ricordato il prof. Meo, presidente della commissione che ha stilato l'indagine conoscitiva sul software libero nella pubblica amministazione per il ministro Stanca, ospite della Festa dell'Unità, l'effetto più immediato sarebbe bloccare la produzione di software libero nel momento in cui si sta affermando come una soluzione valida e sicura tanto per il mercato casalingo quanto per la pubblica amministrazione (come ha riconosciuto anche la regione Emilia-Romagna a giugno). Una scelta non solo antieconomica, quindi, ma che lede anche diritti sociali ed un principio di pluralismo.
La relatrice di questa legge è Arlene McCarthy, laburista inglese che in questo tempo ha molto lavorato per ottenere il sostegno di tutto il PSE. Fino ad ora si è erroneamente confinato questo dibattito nei recinti istituzionali per "addetti ai lavori", eppure le ricadute sociali sono evidenti quanto forti e plurali sono state le voci che chiedono oggi una forte presa di posizione contraria. In prospettiva non c'è solo questo voto, ma la volontà di costruire davvero una Europa diversa, dove l'accesso e la condivisione dei saperi diventi un diritto per realizzare la partecipazione e l'inclusione sociale auspicate a Lisbona nel 2000 col documento "eEurope - Una società dell'informazione per tutti", e che sappia giocare un ruolo attivo nel riequilibrio tra Nord e Sud del mondo, oggi che il fattore conoscenza è diventato strategico per uno sviluppo sostenibile di tutto il pianeta mentre a Cancùn si rischia di ribadire l'unica strada neoliberista che vede il sapere come bene di mercato.
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