«Blogga» anche la ditta

Parlare ai dipendenti, parlare ai clienti: i teorici dei diari online mettono in dubbio la validità delle relazioni pubbliche. Scrivono, dialogano, ricevono commenti. Ma anche rispostacce
22 giugno 2006
Raffaele Mastrolonardo
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

C'è chi lo usa per licenziare e chi per giurare eterno amore alla moto bicilindrica. Qualunque sia il messaggio, il filo conduttore è il connubio blog e azienda. Un binomio con cui gli esponenti più dinamici dell'universo corporatecercano di adattarsi alle trasformazioni della comunicazione virtuale grazie allo strumento più intimo offerto dal bouquet dei nuovi media, il diario online. Dopo tutto, oggi come nel primo '900 - in quell'alba dell'industria delle relazioni pubbliche descritta magistralmente da Roland Marchand - le grandi società sono alla continua ricerca di un'anima e l'immediatezza offerta dai blog sembra lo strumento più adatto per trovarne una. E' così che Federico Minoli, amministratore delegato di Ducati si scopre blogger assiduo, entusiasta di dialogare in modo informale con la comunità dei ducatisti. Tanto che il suo Desmoblog diventa il luogo per smentire quello che gli appassionati della «Ferrari a due ruote» considerano un tradimento: il passaggio al motore a quattro cilindri.
Dall'altra parte dell'Atlantico, Jonathan Schwartz, boss di Sun Microsystems, annuncia sul suo diario virtuale il prossimo licenziamento di 5 mila dipendenti e le strategie di rilancio dell'azienda. Il tutto a commenti aperti. Riceve, in cambio, applausi, contestazioni puntuali e inviti ad andarsene lui, a casa. Il rischio delle critiche, dopo tutto, vale la candela: «gli utenti non sono più disposti a tollerare società che tengono i segreti», spiega Simon Phipps, intervenuto la scorsa settimana con altri rappresentanti di aziende-blogger ad un workshopsul tema organizzato a Roma. Non a caso la società americana ha messo a disposizione dei suoi dipendenti una piattaforma di blogging che conta oggi 3 mila diari online. Come a dire: meglio essere trasparenti e rischiare l'incidente di percorso che essere sicuri di fallire in un mondo pieno di interlocutori non più disposti a essere passivi fruitori di messaggi poco credibili.
E così mentre i consulenti si affannano a spiegare che bisogna calibrare il messaggio all'interno di un piano di comunicazione ben strutturato, tra le aziende pioniere sembra prevalere un approccio più soft. «Noi - racconta Stefano Hesse, capo della comunicazione di Google Italia, prima filiale europea del motore di ricerca ad aprire un suo diario virtuale - abbiamo un principio: se una cosa è figa, la facciamo. Questo vale anche per il blog». Se poi l'impatto dello strumento non può essere valutato in modo preciso, pazienza. Tanto i costi dell'infrastruttura sono minimi e quel che conta «è dare identità al marchio italiano oppure suscitare interesse e coinvolgimento tra le persone che lavorano a Google». Un atteggiamento rilassato che trova eco anche in una cultura aziendale agli antipodi rispetto all'informalità californiana, in quella Samsung dove il principio gerarchico domina in tutta la sua rigidità. «Le società di consulenza arrivano, studiano e dopo sei mesi ti dicono cosa devi fare. Noi preferiamo partire e poi vedere. Sarà la sopravvivenza del blog a dirci se funziona», spiega Andrea Andreutti, responsabile della comunicazione web di Samsung Italia.
Anche questo è blogging dopo tutto: il bisogno di esprimersi viene spesso prima del calcolo. Inevitabile, date le premesse, che il diario online finisca per scontrarsi con tradizioni aziendali consolidate. Accade così che comunicatori vecchio stampo vedano nel corporate bloguna minaccia per sé e per l'identità stessa della professione. A giudicare dai proclami degli alfieri della nuova comunicazione forse non hanno torto. «Dal blog aziendale mi attendo sul medio periodo una riorganizzazione del marketing tradizionale», spiega Andreutti di Samsung. La resa dei conti tra il presente e il passato è cominciata «I nostri blog - proclama Simon Phipps - danno più valore a Sun che tutto il dipartimento relazioni pubbliche messo insieme. Basti pensare che, contatti alla mano, raggiungono circa 100 mila persone al giorno, le Pr tradizionali al massimo 10».
Vecchio contro nuovo all'ombra del blog, insomma. Uno scontro che non si esaurisce all'interno dei muri aziendali. Anzi, a sentire Phipps ne riflette uno più grande che segnerà il capitalismo dei prossimi anni: quello tra imprese aperte e chiuse in un mercato dove Internet e le nuove tecnologie hanno conferito agli individui un potere di fare rete che minaccia business consolidati e richiede alle imprese mutamenti radicali. «I milioni di blog che insidiano il monopolio dei media tradizionali e il fenomeno open sourceche erode i profitti del software proprietario sono due facce di uno stesso fenomeno che dà potere agli individui mettendoli in connessione. Il futuro - conclude Phipps - sarà di quelle aziende che sapranno aprirsi alle nuove reti informali e sfruttarne tutto il potenziale». La battaglia è appena cominciata. I blog aziendali ce la stanno già raccontando.

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