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Gli esperti rispondono: «La soluzione è nel cambio dell’alimentazione»

Latte e Pcb: i produttori vogliono capire il perchè

Allevatori a confronto con Zooprofilattico e Centro miglioramento latte per aver chiarimenti circa la gestione dell’eventuale positività. Una volta eliminati dalla dieta degli animali i foraggi locali, subito i valori sono tornati nella norma, la responsabilità è dei terreni.
11 gennaio 2008
Fonte: Brescia Oggi

- Diossina, Pcb, latte. Che fare? Come comportarsi nel caso dalle analisi emergano delle contaminazioni? Se lo sono chiesto le organizzazioni agricole bresciane Coldiretti, Unione Agricoltori e Cia, che ieri si sono incontrate nella sede dell’Upa con i responsabili dell’Istituto Zooprofilattico e del Centro Miglioramento latte.

Una riunione che ha visto il mondo agricolo bresciano unito a dimostrazione della necessità di fare in particolare chiarezza sul latte recentemente distrutto perché con valori di diossina superiori al livello di guardia stabiliti recentemente dall’Unione Europea. La situazione, dopo i recenti casi, preoccupa fortemente tutte le aziende agricole bresciane seppure non coinvolte direttamente nel problema. Il clima di incertezza su cosa fare e cosa eventualmente dovrà essere fatto per restare nei limiti imposti dall’Unione Europea era palpabile tra gli oltre cinquanta allevatori presenti per avere indicazioni operative tecniche.

A tali preoccupazioni hanno cercato di dare risposta Cesare Bonacina dell’Istituto Zooprofilattico e Francesco Mainetti del Centro miglioramento latte che hanno indicato «nel cambio della razione alimentare delle vacche in lattazione la strada al momento percorribile per abbattere i valori di diossina eventualmente rilevati nel latte». Parrebbe, infatti, che l’elemento critico rilevato nelle aziende attualmente bloccate sia il fieno raccolto in alcuni terreni del comprensorio cittadino. Da qui la preoccupazione degli allevatori dell’hinterland che producono migliaia di quintali di latte circa le misure da adottare in caso di malaugurata positività. Forse è un eccesso di preoccupazione, ma con senso di responsabilità le imprese agricole della fascia periferica bresciana hanno risposto numerose alla chiamata delle loro organizzazioni agricole. Tanto più che l’Istituto Zooprofilattico ha già costituito un laboratorio per velocizzare le analisi e intervenire celermente laddove eventualmente necessario.

Dall’incontro di ieri con i tecnici dei due importanti istituti, è emerso chiaramente che le aziende produttrici di latte sono le vittime di un inquinamento generato da fonti non ancora individuate. Infatti, è stato spiegato che il latte è l’elemento «ultimo e più evidente dell’inquinamento del terreno». Tanto che Franco Bettoni, Ettore Prandini e Aldo Cipriano, presidenti di Unione Agricoltori, Coldiretti e Cia, hanno sottolineato «la necessità di chiarire una volta per tutte e ufficialmente le fonti dell’inquinamento del terreno, sapere in tempi certi che cosa si intende fare per contrastare la situazione ed essere informati sulle risorse economiche disponibili per farlo».

Gli allevamenti - hanno sostenuto in un comunicato stampa congiunto - sono in questo caso «le sentinelle rispetto ai consumatori e la salute dell’ambiente in cui viviamo, in un territorio che paga anni di gestione indiscriminata del territorio bresciano. Visto che la contaminazione del latte non è provocata dall’agricoltura - hanno sostenuto Bettoni, Prandini e Cipriano - ma da altre fonti inquinanti, le istituzioni devono accertare quali sono. Ed è gravissimo che qualcuno ha "nel cassetto" da anni analisi che comprovavano un inquinamento che noi non abbiamo provocato, ma che subiamo pesantemente, con conseguenze economiche gravissime per le nostre imprese. I cittadini e il mondo agricolo esigono non promesse di impegno politico, ma risposte concrete che ancora mancano».

Il latte che viene distrutto peraltro è un onere aggiuntivo a carico degli allevatori che non hanno entrate. Tanto che, raccontava uno dei pochi allevatori coinvolti direttamente nella vicenda, «sono due settimane che aspetto i risultati ufficiali delle analisi sul mio latte che oggi viene distrutto nonostante in autocontrollo sia tornato nella norma e abbia modificato la razione alimentare. Nessuno mi ha detto ancora da dove ha origine l’inquinamento». Cia, Coldiretti e Unione chiederanno quindi a Comune, Provincia e Regione un tavolo Istituzionale «che lavori con determinazione alla soluzione di questa emergenza».

Una volta eliminati dalla dieta degli animali i foraggi locali, subito i valori sono tornati nella norma

E’ in continua evoluzione la vicenda del latte al pcb scoperto dai laboratori della Centrale del Latte di Brescia in cinque allevamenti dell’hinterland. Ieri i valori di inquinanti riscontrati nel latte prodotto in due aziende agricole di San Zeno (gestite dalle famiglie Civettini e Zubani) bloccate il 2 gennaio, sono tornati sotto i limiti di legge (6 picogrammi per grammo di grasso).
E’ BASTATO cambiare il mangime, togliendo dalla dieta animale i foraggi coltivati sul posto e i valori sono tornati nella norma. Stessa cosa era già successa due settimane fa con l’azienda agricola Ancelotti di via Flero, in città. Questa l’ennesima controprova che sono proprio i terreni agricoli dell’hinterland inquinati. E infatti sono 17 le stalle dell’hinterland il cui latte presenta valori di pcb e diossine superiori alla soglia di cautela indicata dalla Ue (2 picogrammi).

Upa, Coldiretti e Cia vanno all’attacco chiedendo «a Comune, Provincia e Regione azioni di sostegno per le aziende agricole» rilanciano l’urgenza di un tavolo istituzionale permanente per la soluzione dell’emergenza e si dicono pronteanche «ad azioni legali». Chiedono «certezze sulla sicurezza del latte e garanzie per le imprese agricole che non possono essere le uniche a pagare il conto di una situazione generata da fonti da definire».
Insomma, le tre organizzazioni agricole (riunitesi ieri insieme agli allevatori dell’hinterland e ai vertici dell’Istituto Zooprofilattico e del Centro Miglioramento Latte) non sembrano intenzionate a smobilitare gli allevamenti zootecnici dall’hinterland. Dopo l’incontro in Comune con il sindaco Paolo Corsini e l’assessore Ettore Brunelli (all’indomani del “caso” sollevato per la prima volta da Bresciaoggi il 16 dicembre) le associazioni avevano replicato duramente alla proposta di Brunelli di chiudere gli allevamenti e riconvertire i terreni per la produzione di biomasse (dietro adeguati finanziamenti istituzionali). Adesso i presidenti Franco Bettoni (Upa), Ettore Prandini (Coldiretti) e Aldo Cipriano (Cia) rincarano la dose: «Dobbiamo chiarire le fonti dell’inquinamento, sapere in tempi certi che cosa si intende fare e con quali risorse. Gli allevamenti sono le sentinelle della salute. La contaminazione del latte non è provocata dall’agricoltura ma da altre fonti inquinanti che le istituzioni devono accertare. È gravissimo che qualcuno abbia nel cassetto da anni analisi che comprovavano un inquinamento che noi non abbiamo provocato».

LE ASSOCIAZIONI agricole si riferiscono a quanto dichiarato dal’assessore Brunelli: le analisi sui terreni di tutto l’hinterland (da Torbole Casaglia a San Zeno) commissionate dal Comune all’Asl nel 1994, 1996 e 1997 dimostrarono l’elevata presenza di diossine e pcb (in media tra i 25 e i 30 microgrammi/chilo di terra). Il problema è che solo da aprile 2007 la Ue ha imposto analisi per rintracciare diossine e pcb nel latte. Esami che la Centrale del Latte ha effettuato con scrupolosa efficacia. Lo stesso presidente Franco Dusina afferma che la Centrale da questa vicenda ne è uscita rafforzata: “Il fatturato di dicembre ha fatto registrare un +7,5%, segno della fiducia dei consumatori. Non essendo una azienda privata e non seguendo solamente le logiche del profitto mettiamo la sicurezza del consumatore dinnanzi a tutto».

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