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L'impatto sui bambini

Modello Gand a Taranto? Gli indiani di Arcelor Mittal inquinano anche in Belgio

Oltre il 60% di PM emesso nell’area di Gand è originato dall’acciaieria di Arcelor Mittal
15 febbraio 2017
Stefano Valentino
Fonte: Repubblica.it

L'acciaieria di Gand di Arcelor Mittal

Gli alunni del liceo KA Atheneum, nel villaggio belga di Zelzate, non hanno la possibilità di imparare molto sui cambiamenti climatici. "Non siamo interessati a parlare di questo argomento", afferma Anja Van Parys, Direttrice della scuola, esprimendo il suo "no comment" alla nostra richiesta di intervista.

Quei ragazzi sarebbero sorpresi, però, di sapere che la loro salute dipende dal modo in cui i legislatori e le industrie intendono contrastare il riscaldamento globale. Se fossero così insolenti da salire sui tetti del cortile della scuola, potrebbero osservare il riscaldamento globale in atto in tempo reale, a pochi chilometri di distanza, lungo le banchine in riva al canale dove i comignoli delle fabbriche sputano anidride carbonica (CO2).

Infatti, Zelzate è uno dei villaggi all’interno del porto industriale di Gand che ospita il secondo più grande impianto di acciaio in Europa, di proprietà di ArcelorMittal, leader mondiale nel settore siderurgico. Quest'enorme fabbrica, che impiega circa 4.000 abitanti dei dintorni, è il “campione” fiammingo nella produzione di CO2, nonché di polveri sottili, o particolato (PM), responsabili dei problemi di salute tra i più giovani.

Nel 2011 un'indagine congiunta condotta da ricercatori fiamminghi ha dimostrato che le concentrazioni di PM provenienti da diverse fonti (industria, trasporti, agricoltura, famiglie, ecc) contribuiscono alle morti premature di bambini nati in “zone calde”, dove l’inquinamento supera i limiti di allerta imposti dell'Ue, come appunto nel porto di Gand.

Secondo i dati del governo, oltre il 60% di PM emesso nell’area di Gand è originato dall’acciaeiria di Arcelor Mittal . Questa totalizza il 10-14% delle concentrazioni di PM a Zelzate e nei villaggi limitrofi, superando tutte le altre fonti locali. Si noti, tuttavia, che circa il 75% delle polveri totali nella zona industriale di Gand ha origine all'estero, dal momento che le Fiandre si trovano “schiacciate” tra le principali regioni industriali europee.

Cercare di capire il motivo per cui l'aria che respiriamo è piena di particelle nocive legate alla non efficace regolamentazione del clima può suonare come un “puzzle” noioso per gli adolescenti locali e le loro famiglie. Tuttavia, il l loro interesse può essere stuzzicato dall’incredibile storia che stiamo per raccontare.

Tutto ha avuto inizio in una terra remota e esotica, 10,000 km a est di Zelzate, più precisamente nella Repubblica Popolare Cinese. Nel 2005, a metà strada tra Pechino e Shanghai, la fabbrica statale di refrigeranti Shandong Dongyue ha avuto la stessa astuta idea di altri impianti chimici cinesi: Ossia "falsificare" i volumi di gas a effetto serra emessi nell'atmosfera per approfittarsi del meccanismo internazionale di scambio delle emissioni e trarne lauti profitti.

Nell'ambito del Meccanismo di Sviluppo Sostenibile nelle Nazioni Unite, istituito dal Protocollo di Kyoto, i progetti climatici nei paesi in via di sviluppo che eliminano CO2 o altri gas a effetto serra, sono premiati con attestati chiamati crediti di CO2. Ogni certificato equivale a una tonnellata di CO2 rimossa dall'atmosfera. I proprietari dei progetti sono liberi di vendere tali certificati, o crediti, in tutto il mondo.

Il progetto lanciato dalla Shandong Dongyue mira a distruggere l'HFC-23, un gas serra derivante dalla produzione di refrigeranti, che genera un effetto di riscaldamento globale mille volte peggiore di quello provocato dalla CO2. E qui arriva il colpo di scena divertente: L'azienda ha intenzionalmente prodotto quantità eccessive di refrigeranti per incrementare i volumi di HFC-23 catturati e "gonfiare" il numero di crediti da rivendicare in base al meccanismo di Kyoto. In questo modo, si è assicurata e ha venduto all'estero milioni di crediti "artificiali" poiché non corrispondenti a nessuna reale riduzione dei gas a effetto serra.

Alcune delle maggiori industrie inquinanti europee hanno finito per diventare i principali acquirenti di tali crediti sospetti, dato che li potevano utilizzare per compensare le proprie emissioni e rispettare i tetti fissati dall'Ue. Questa si è decisa, alla fine, a vietare l'uso dei crediti HFC-23 a partire dal 1 maggio 2013. Ma ormai il danno era stato fatto. I certificati falsificati già rappresentano oltre il 50% dei crediti totali scambiati nel Sistema Europeo di Emission Trading (ETS). Gli intermediari commerciali dei crediti CO2 non avevano altra scelta che svendere in maniera massiccia i certificati fuorilegge prima che si trasformassero in “spazzatura”, spingendo i prezzi di tutti i crediti a un minimo record.

A ridurre ulteriormente il "prezzo della co2" ha inoltre contribuito l'eccessiva allocazione dei permessi di emissione rispetto alle emissioni effettive delle imprese, nettamente diminuite a seguito della crisi finanziaria e al rallentamento della produzione. Infatti, la normativa ETS autorizza i governi nazionali a distribuire permessi tra le società, al fine di alleviare il loro onere di riduzione della CO2.

Dal momento che le aziende sono autorizzate a sostituire parzialmente i permessi nazionali con i crediti internazionali, meno costosi dei permessi, le grandi industrie inquinanti hanno giocato una partita intelligente: Hanno continuato ad acquistare crediti ultra-economici per risparmiare i permessi in eccesso (anch’essi deprezzati per l’effetto domino dei mercati), da poter utilizzare per compensare le loro future emissioni. In questo modo, saranno in grado di rispettare i loro obblighi a un minor costo, senza dover investire in tecnologie innovative per ridurre sostanzialmente le proprie emissioni.

Essendo l'industria siderurgica uno dei più grandi emettitori di CO2 (e PM) in Europa, non è una sorpresa che Arcelor Mittal, a livello di gruppo transfrontaliero, rappresenti il più grande acquirente di crediti, secondo le statistiche fornite da Sandbag, un'Ong con sede a Londra che monitora l'integrità dell’ETS.

Bene. Tuttavia, gli alunni del KA Atenheum potrebbero ancora chiedersi perché questo strano “commercio di aria fritta" dovrebbe preoccupare la loro tranquilla vita a Zelzate. Quindi, torniamo alla truffa cinese sul clima.

Durante il loro viaggio dall'Asia all'Europa, grandi volumi di discutibili crediti venduti da Shandong Dongyue sono finiti nel portafoglio di alcune industrie che operano nelle Fiandre, tra cui Electrabel e AlcoBiofuel a Gand. Lo stabilimento di Arcelor Mittal ha portato a casa il malloppo più grosso: Quasi 4,1 milioni di crediti HFC-23 fino al 2012, sulla base dei calcoli fatti da Sandbag. Circa la metà di questi crediti è servita a sostituire i permessi venduti dalla società per finanziare gli investimenti in efficienza energetica. Tuttavia, la maggior parte dei crediti si è sommata alla generosa quota di permessi assegnati dal governo fiammingo tra il 2008 e il 2012. Questo ha garantito ad Arcelor Mittal un eccesso di 26 milioni di permessi al di sopra dei suoi 20 milioni di tonnellate di emissioni effettive, come documentato dai dati Ue.

Ora, la domanda è: Perché Arcelor Mittal dovrebbe pagare una fortuna per riconvertire il suo inquinante impianto locale alimentato a carbone in un impianto più pulito, quando può benissimo compensare le proprie emissioni utilizzando permessi in eccesso o acquistando un maggior numero di permessi e crediti, disponibili rispettivamente per meno di 3 (3,3 dollari) e 1 euro (1,2 dollari) per tonnellata?

"Finora, abbiamo investito oltre 200 milioni di euro (224 milioni di dollari) nei sistemi di controllo dell'inquinamento aereo", afferma Ronald Mortier, Direttore del Dipartimento Tutela ambientale di Arcelor Mittal a Gand, "Le nostre emissioni di CO2 sono diminuite del 20% dal 2002 e le nostre fuoriuscite di polvere dell’80% a partire dal 1990, ma al momento non esistono alternative al carbone per la produzione di acciaio grezzo".

A dire il vero, esistono promettenti alternative. Ma i produttori di acciaio non hanno alcuna convenienza economica ad adottarli. Dal 2004 il gruppo ArcelorMittal ha portato avanti l'ambizioso progetto di ricerca Ultra-Low Carbon dioxide(CO2) Steelmaking (ULCOS), di un costo pari a 600 milioni di euro (670 milioni di dollari), sostenuto da un consorzio di grandi produttori di acciaio europei e co-finanziato dall'Ue.

La quota maggiore del bilancio ULCOS ha sostenuto il potenziamento delle attuali tecnologie basate sul carbone. Tuttavia, una parte del denaro è stata spesa per sviluppare nuove tecnologie che permetterebbero di sostituire il carbone con carburanti che emettono meno CO2, come il gas e l'energia elettrica.

"Queste tecnologie consentirebbero di ridurre non solo le emissioni di gas effetto serra, ma anche quelle di PM fino l’80%", spiega Jean-Pierre Birat, ex manager e responsabile del progetto ULCOS presso Arcelor Mittal Group, e attualmente Segretario Generale della Piattaforma tecnologica europea dell'acciaio (Eurostep), un’organizzazione con sede a Bruxelles che promuove l'innovazione nel settore siderurgico, "Abbiamo raggiunto buoni risultati nella fase di test in laboratorio e, con ulteriori investimenti, tali tecnologie potrebbero raggiungere la fase di produzione in 10 anni Tuttavia, i produttori di acciaio li adotteranno soltanto quando il prezzo della CO2 nel lungo periodo sarà sufficientemente elevato da rendere la produzione basata su gas ed energia elettrics più economica di quella che si basa sull’utilizzo di carbone".

Le opinioni di Birat sono condivise da funzionari dell'Ue: "Prezzi della CO2 più elevati condurrebbero a tecnologie che permettono a livelli piu alti di riduzione delle emissioni inquinanti di diventare economicamente più vitali", commenta Joe Hennon, portavoce responsabile dell’ambiente presso la Commissione europea. "Ridurre la quantità di combustibile fossile bruciato è il modo più efficace di affrontare sia emissioni di CO2 e di PM, anche se i settori industriali coperti dal sistema ETS sono responsabili di una percentuale relativamente bassa di PM nell’Ue, rispetto ad altre fonti, per lo più apparecchi domestici e trasporto ", dichiara John Van Aardenne, esperto di politiche climatiche e di inquinamento atmosferico presso l'Agenzia europea per l'ambiente, che ha pubblicato un rapporto allarmante: Tra il 2009 e il 2011, fino a 96% degli abitanti delle città europee sono stati esposti a concentrazioni di PM al di sopra dei criteri stabiliti dall'Organizzazione Mondiale sulla Sanità, ossia le soglie oltre le quali scatta il rischio di malattie cardiovascolari.

Gli analisti di mercato prevedono un aumento dei prezzi della dovuto alla ripresa post-crisi della produzione industriale che farà aumentare le emissioni di CO2 e, conseguentemente, la domanda di permessi. Un aumento del prezzo deriverà inoltre dagli obblighi più severi di riduzione della CO2 derivanti dalla riforma ETS, recentemente approvata dal Parlamento europeo. In un simile scenario, i produttori di acciaio che utilizzano il carbone dovranno quindi sostenere costi di produzione più elevati, a meno che non pianifichino investimenti a lungo termine per passare a tecnologie più pulite.

La situazione potrebbe quindi migliorare nel futuro. "Nel frattempo, l'ETS è in balia dell’incertezza politica", commenta Richard Chatterton, analista del mercato della CO2 presso Bloomberg New Energy Finance di Londra. Attraverso Eurofer, la potente lobby di produttori di acciaio con sede a Bruxelles, Arcelor Mittal ha infatti cercato di contrastare le riforme Ue per invertire la tendenza al ribasso del prezzo della CO2, tra cui il ritiro dei permessi in eccesso e la limitazione dell’utilizzo dei crediti.

"Da qui al 2020 ci aspettiamo una carenza di permessi del 20% rispetto al periodo precedente, per effetto delle nuove procedure di allocazione Ue entrate in vigore nel 2013", dice Wim Van Gerven, CEO presso Arcelor Mittal Gand, "Perciò se i prezzi dovessero aumentare troppo, diciamo 30 euro (33 dollari) a tonnellata, potremo dover chiudere i battenti o spostarci in luoghi, come la Cina, dove i nostri concorrenti internazionali non devono sobbarcarsi tali oneri. L'innovazione sarebbe ragionevole solo se l’ETS fosse adotatto in tutto il mondo, in modo che tutti debbano sottostare alle stesse regole ".

Fino al giorno in cui questo perfetto "mondo della CO2" auspicato dai produttori di acciaio europei non diventerà realtà e Arcelor Mittal non si impegnerà ad andare avanti con il progetto ULCOS, si spera che gli alunni di Zelzate cresceranno in un ambiente sano, nonostante l'esposizione quotidiana a metalli pesanti e al carbonio elementare.

"Il carbonio elementare è verosimilmente una delle sostanze più pericolose per la salute umana, anche se rappresenta la frazione più piccola nella composizione chimica di PM", spiega Edward Roekens, capo divisione presso l'Agenzia fiamminga per l'ambiente , "l'80% di carbonio elementare presente a Zelzate proviene da fonti locali, tra cui il traffico e gli altiforni di Arcelor Mittal in cui il carbone viene bruciato per fondere il minerale di ferro e trasformarlo in acciaio ". Tuttavia, la maggior parte del PM di Arcelor Mittal proviene dal trasporto e dal trattamento delle materie prime durante le varie fasi di produzione, come indicato da diversi studi.

"Il PM influisce sullo sviluppo fisico dei giovani", diceVera Nelen, direttrice dell’Istituto di Igiene Provinciale Fiammingo, partner di ricerca del progetto di bio-monitoraggio coordinato dall''Istituto Fiammingo per la Ricerca Tecnologica, all'interno di un consorzio che include le Università di Gand, Anversa, Hasselt, Lovanio e Bruxelles, "Quest’iniziativa contribuirà a mappare l'esposizione alle sostanze inquinanti e i suoi effetti sugli adolescenti che vivono nel porto di Gand".

A partire dal 2013 la squadra di Nelen ha raccolto interviste, campioni organici ed esami medici di studenti delle scuole superiori, di età compresa tra 14-15 anni, inclusi quelli del KA Atheneum di Zelzate. Attraverso la combinazione di diversi criteri, sarà finalmente possibile determinare il reale impatto sulla salute delle attività industriali locali. I risultati sono cominciati a emergere dalla fine del 2014.

Entro il 2016, il governo fiammingo rivedrà la licenza ambientale di Arcelor Mittal, come annunciato nel piano anti-inquinamento approvato nel 2005. "Arcelor Mittal dovrà ridurre le proprie emissioni di PM ai livelli raggiungibili attraverso l'utilizzo delle migliori tecniche disponibili, previste dall’elenco Ue per il settore siderurgico", fferma Joke Schauvliege, ministro fiammingo dell'ambiente.

Tuttavia, le autorità di regolamentazione Ue, su suggerimento dell’industria, hanno deciso che solo le tecnologie di larga diffusione, come quelle applicabili negli impianti a carbone, devono essere considerate "migliori tecniche disponibili" da un punto di vista economico.

E che ne è del punto di vista ambientale e sanitario? La migliore risposta a questa domanda giunge da Kevin Reygaerts, portavoce dell’associazione dei residenti di Sint-Kruis Winkel, il villaggio più vicino allo stabilimento di Arcelor Mittal: "Quando abbiamo discusso il problema del PM con Arcelor Mittal, la direzione aziendale ha ammesso che non farà più di quanto richiesto dalla normativa vincolante. E, naturalmente, le autorità pubbliche non faranno troppe pressioni sullo stabilimento, in quanto esso svolge un ruolo strategico per l'economia locale".

Se l'Ue dovesse fallire nel rafforzare l’ETS con normative più severe, costringendo le industrie all'innovazione per ridurre il consumo di combustibili fossili sporchi, ArcelorMittal potrà continuare a fricorrere al carbone per molti anni a venire, contribuendo così a peggiorare non solo il cambiamento climatico, ma anche le condizione di salute intorno al porto di Gand.

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