Sette associazioni hanno impugnato l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) dell'ex ILVA
Le sette associazioni
- “Medici per l’Ambiente ISDE Italia”
- “Genitori Tarantini”
- “Giustizia per Taranto”
- “PeaceLink”
- “Ambiente e Salute per Taranto”
- “Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti”
- “Lavoratori Metalmeccanici Organizzati”
hanno impugnato, davanti al Tribunale Amministrativo Regionale di Lecce, l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per la prosecuzione dell’attività siderurgica a combustione fossile ex Ilva di Taranto, contestandone sia la legittimità sia la sua adeguatezza al contesto, come noto qualificato dall’ONU «zona di sacrificio» e «peso sulla coscienza collettiva dell’umanità», a causa proprio delle attività di combustione fossile presenti sul suo territorio.
Il ricorso si basa sulla constatazione che quella impugnata è la prima AIA di un’industria italiana fossile, adottata dopo che, in Europa, è stata riconosciuta ufficialmente la situazione di emergenza climatica e ambientale, dichiarata espressamente anche dalla Regione Puglia sin dal 2019.
Queste dichiarazioni di emergenza climatica e ambientale hanno fatto maturare una serie di novità, specificamente riferite ai tempi e modi di decarbonizzazione e dunque di abbandono della combustione fossile, al fine di rispettare sia i cicli naturali di funzionamento dell’integrità ambientale sia la tutela intergenerazionale della salute, da quei cicli dipendente.
Inoltre, di queste novità hanno preso atto, negli ultimi due anni, importanti decisioni di Tribunali e Corti internazionali, sovranazionali europee, e italiane, a partire, in particolare, dalla Corte Europea dei Diritti Umani, la quale ha individuato, anche per l’Italia, i requisiti necessari da possedere, da parte dello Stato, prima di adottare singole misure concrete in tema di mantenimento della produzione a combustione fossile o di decarbonizzazione rispetto agli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi del 2015 e per la tutela effettiva, intertemporale e intergenerazionale, dei diritti umani.
L’Italia è totalmente sprovvista di questi criteri necessari. Per tale motivo, il nuovo scenario è stato volutamente ignorato dal Governo, pur di legittimare la prosecuzione della produzione di acciaio a ciclo integrale a carbone, addirittura per dodici anni, e pur di favorire l’installazione siderurgica, nella speranza – rivelatasi poi vana col fallimento del bando di cessione – di renderla appetibile sul mercato.
Dunque l’AIA è illegittima e inadeguata, perché il Codice dell’Ambiente impone – al contrario di quanto fatto dal Governo - di tener conto dei nuovi scenari, così come lo richiede pure il diritto dell’Unione europea, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia del giugno 2024, riferita proprio all’installazione di Taranto.
Nel dettaglio, l’AIA è stata impugnata con riferimento ai seguenti sei profili di illegittimità:
- il mancato rispetto dei requisiti necessari all’esercizio del potere di decisione sulla decarbonizzazione, stabilito dalla Corte Europea dei Diritti Umani;
- l’erronea rappresentazione dei fatti dell’emergenza climatica e ambientale (dichiarata anche in Puglia sin dal 2019), per di più in assenza dell’analisi dei rischi e benefici a base del principio di prevenzione su tale emergenza;
- la totale violazione dei contenuti vincolanti, indicati dalla Corte di Giustizia UE proprio per l’Ilva di Taranto;
- l’elusione delle c.d. BAT ovvero delle migliori tecniche disponibili di tutela ambientale e della salute;
- la mancata partecipazione effettiva del pubblico tarantino alle decisioni del Governo, in violazione del diritto europeo e della Convenzione di Aarhus, che invece quella partecipazione impone;
- la conseguente violazione del Codice dell’Ambiente.
Inoltre, per la prima volta, è stata eccepita anche la questione di legittimità costituzionale dei c.d. “decreti salva Ilva”, in ragione della riforma del 2022, che ha introdotto l’obbligo di tutela dell’ambiente e della salute in prospettiva intergenerazionale. Di conseguenza, il Tribunale Amministrativo si dovrà esprimere sia sulla illegittimità dell’AIA sia sulla incostituzionalità dei “salva Ilva”. Questo significa che della vicenda si potrà occupare anche la Corte costituzionale italiana. In ogni caso, ove i Giudici italiani dovessero negare la tutela ai tarantini, il ricorso è stato impostato per arrivare direttamente pure di fronte alla Corte Europea dei Diritti Umani, dove l’Italia è stata già condannata per ben sei volte nella sua colpevole inerzia su Taranto, con l’esplicita richiesta, questa volta, di una messa in mora definitiva del Governo sul risanamento di Taranto (con la c.d. “sentenza pilota”).
Il ricorso è stato elaborato dagli Avvocati Ascanio Amenduni, Michele Macrì e Maurizio Rizzo Striano, affiancati dal Prof. Michele Carducci dell’Università del Salento, nella sua qualità di docente di Diritto climatico comparato.
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