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Intervista sulla solidarietà al tempo della pandemia

Chiara Castellani: "Pensare al proprio prossimo"

"O si entra in questa dimensione di voler pensare agli altri e ciascuno di noi entra in questa prospettiva anche di globalizzazione della solidarietà con gli altri, o non riusciremo a salvarci tutti assieme, in questo dovremmo imparare anche dall’Africa".
Laura Tussi22 settembre 2020

Intervista a Chiara Castellani a cura di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, in collaborazione con Emanuele Cusimano e Paolo Moro

 

 

Il mondo si scopre improvvisamente colpito da un virus che sta letteralmente cambiando il modo di vivere e di concepire la vita della stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta.

Quali pratiche occorre attivare per risolvere a livello planetario e locale emergenze che sempre più coinvolgono l’intera umanità?

 

In pratica sintetizzerei in una sola parola: pensare al proprio prossimo. Perché se le mascherine, come le abbiamo qui in Congo, che sono mascherine esclusivamente chirurgiche, ma confezionate con stoffe che proteggono gli altri ma non te dagli altri, o si entra in questa dimensione di voler pensare agli altri e ciascuno di noi entra in questa prospettiva anche di globalizzazione della solidarietà con gli altri, o non riusciremo a salvarci tutti assieme, in questo dovremmo imparare anche dall’Africa.

Perché nei mesi in cui la pandemia era particolarmente cruenta, ho ricevuto tantissimi, non solo messaggi, ma espressione di tutti i tipi di solidarietà con il Paese, con l’Italia di viva solidarietà con la mia famiglia. La gente mi mandava, pur essendo povera, quei centesimi che mi servivano per poter chiamare l’Italia. Mi dicevano “ti ho mandato un credito per poter chiamare la tua famiglia”. In Congo si è percepita questa solidarietà globale, invece altrove proprio non riesci a percepirla. Qui in Europa sento che questa solidarietà globale, questo volere essere solidali con i morti del Brasile, con i morti dell’India non è così forte come invece l’ho sentita da parte dei miei fratelli congolesi. O si rientra in questa dimensione di solidarietà globale, o non sapremo approfittare di questa che in fondo è una sfida di salute universale e solidarietà globale. Questo dovrebbe insegnarci sostanzialmente una cosa: o ci si salva tutti o non si salva nessuno. Se invece si utilizza la pandemia, come purtroppo vedo, in certi politici qui in Italia e a livello mondiale, per voler dire il “virus cinese” e voler per forza cercare dei colpevoli e dei corresponsabili, dei capri espiatori, se si vuole per forza trovare i colpevoli di questa pandemia, invece di capire quello che è veramente importante, ossia è la solidarietà globale e mondiale e universale, avremo in fondo perso una grandissima occasione per ristabilire un mondo fondato sulla pace e sulla solidarietà e sulla nonviolenza e si sarà ulteriormente accentuata la bellicosità dei nostri governanti. 

 

Come l’umanità deve attivarsi per invertire questa rotta e per ricominciare a costruire una socialità, una convivenza e modelli di solidarietà vicini alle esigenze e necessità di una Madre Terra sempre più in difficoltà?

 

Proprio comprendendo che probabilmente, tra l’altro, la radice di quella epidemia sussiste: è la violenza che abbiamo perpetrato alla nostra Madre Terra. Questi cambiamenti climatici e ambientali hanno fatto in modo che dei virus animali, e non soltanto il covid, ma anche l’Ebola, dei virus che prima erano prettamente del mondo animale, stanno in questo momento contaminando l’uomo. Forse perché si è violato quell’equilibrio uomo e ambiente, che finché rispettavamo la natura, rispettavamo il microclima, non si era alterato.

Stiamo alterando l’equilibrio mondiale. Questo prospetta già adesso, con questa pandemia, una dimensione apocalittica che possiamo invertire soltanto cercando di stabilire nuovi modelli di sviluppo che evitano il surriscaldamento ambientale e climatico e che evitano lo sfruttamento non controllato della natura, del territorio e della Madre Terra.

 

Le spese militari nel mondo aumentano e i servizi sanitari vengono drasticamente ridotti. E ne risentono anche i settori della formazione e della cultura in genere.

Come attivarsi per un’inversione di questa tendenza?

 

Sarebbe sufficiente la volontà politica, ma anche proprio una inversione radicale di rotta. Se avessimo imparato dal covid a praticare una solidarietà globale e mondiale e universale, saremmo più tentati a cambiare rotta di fronte a un virus che ci sta colpendo tutti e in modo indistinto e indiscriminato, ma di cui le vittime sono soprattutto i più poveri e i più deboli: e adesso con l’esempio del Brasile e del Sudafrica e anche dei paesi poveri e già bistrattati da altre epidemie come la malaria, come l’AIDS.

Se entrassimo invece nell’ottica di non voler cercare i colpevoli e i capri espiatori, se usciamo dalla mentalità del “virus cinese”, e capiamo che i cinesi sono stati vittime, le prime vittime come lo siamo stati Tutti noi in questa solidarietà fra gli oppressi, si può invertire questa catastrofe mondiale e si può anche evitare di incidere ulteriormente sulla corsa agli armamenti. Stiamo purtroppo perdendo un’occasione planetaria, per cercare di dirigere l’umanità verso la Pace.

E stiamo invece cercando di costruire sempre nuove guerre, nuovi conflitti e nuove conflittualità che non possono portare ad altro che alla corsa agli armamenti.

 

Come possiamo da questa tragica esperienza trarre nuova energia per affrontare le grandi sfide del Terzo Millennio?

 

Proprio cercando di cogliere questa sfida per la solidarietà globale. Questa sfida e questo insegnamento molto grande dell’epidemia che parla chiaro: o ci si salva tutti o ci ammazziamo tutti. E se invece di saper rispondere a questo appello della solidarietà globale a cui ci chiama la pandemia, noi rispondiamo con conflittualità e con la ricerca di colpevoli e con la ricerca di nuovi conflitti, non solo avremmo perso una grande occasione per la pace nel pianeta, ma avremo ulteriormente aizzato guerre fredde che prima o poi diventeranno calde e se diventano calde diventano nucleari.

 

La cronaca giornaliera ci dà delle indicazioni di giovani soprattutto che sono refrattari all’uso della mascherina e alle regole e non riescono a capire che dobbiamo cambiare modello di vita perché questa pandemia ci condizionerà per molto tempo, se non adottiamo le dovute pratiche preventive. Come possiamo convincere queste persone a seguire le regole?

 

Purtroppo il negazionismo non esiste soltanto per il covid. In Congo sono stata testimone del negazionismo nei confronti dell’AIDS.

Una sindrome inventata.

Quando senti che il rischio di contagio e il rischio di infezione limita la nostra libertà, si può soprattutto avere questo rischio tra i giovani che vorrebbero avere la loro libertà sul piano sessuale, nel caso dell’AIDS, sul piano anche sociale, dove viene imposta la cosiddetta distanza sociale che poi comunque è comprensibile con delle relazioni umane.

Però appunto questa limitazione è sentita come una trappola come addirittura un bavaglio. Ossia “se ci mettono la mascherina è come una museruola”. No, la mascherina non è una museruola. Dobbiamo ritornare al punto di partenza in questa mentalità che la mascherina serve per proteggere l’altro. Devo mettere la mascherina per proteggere gli altri. E se voi ragionate alla stessa maniera, non ci sarà più diffusione del virus. E riusciamo a controbilanciare. Ma se voi dite che la mascherina non serve a niente perché non protegge allora significa che si agisce per egoismo. Un conto è il desiderio di libertà dei giovani, un conto è l’egoismo che si può solo condannare. 

Per altruismo dobbiamo indossare la mascherina. Perché dobbiamo avere preoccupazione degli altri e soprattutto i giovani devono avere la preoccupazione per gli anziani, per i loro nonni, per i loro genitori e per tutte le persone che li hanno preceduti nella costruzione di questa società di cui facciamo parte e che è giusto proteggere proprio perché i nostri anziani ci hanno lasciato in fondo questa Madre Terra in eredità. Laura Tussi con Chiara Castellani (a destra)

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