Latina

Honduras: "Non potranno mai fermare la nostra lotta"

Intervista a Juan Ramón Chinchilla, dirigente contadino del MUCA e della Resistenza, poche ore dopo essere sfuggito ai suoi rapitori
13 gennaio 2011
Giorgio Trucchi

Juan Ramón Chinchilla (Foto G. Trucchi-Rel-UITA)

Dopo essere riuscito a sfuggire ai suoi sequestratori e ancora molto provato fisicamente e psicologicamente per le torture e per l'esperienza vissuta durante le ultime 48 ore, il dirigente del Movimento unificato contadino dell'Aguán, Muca e del  Fronte nazionale di resistenza popolare, Fnrp, Juan Ramón Chinchilla, ha accettato di parlare con la Lista Informativa "Nicaragua y más" e con Sirel da un posto non precisato dell'Honduras.
  
- Puoi raccontare come è avvenuto il sequestro? 
- Nel pomeriggio di sabato 8 gennaio mi sono riunito con alcuni amici in un centro commerciale. Quando sono uscito mi sono diretto in moto verso la comunità La Concepción, ma ho subito notato che mi stavano seguendo. Ero quasi arrivato alla comunità quando ho trovato una macchina messa di traverso in mezzo alla strada. In quel momento mi sono accorto che in mezzo alle piantagioni di palma africana c'era molta gente che mi stava puntando con le armi. 
 
- Che cosa è successo dopo? 
- Mi sono fermato e ho lasciato cadere la moto a terra. Vari uomini incappucciati mi hanno preso, hanno sparato alla moto e mi hanno messo in un'auto, coprendomi il viso affinché non vedessi verso dove ci stavamo dirigendo. Erano molte persone, quasi tutte vestivano uniformi militari, della Polizia e delle guardie private di Miguel Facussé. Siamo partiti e abbiamo viaggiato per circa 40 minuti in direzione di Trujillo. Siamo arrivati in un posto che sembrava isolato, mi hanno messo in un locale  e hanno iniziato a farmi domande. 
 
- Che cosa volevano sapere? 
- Se avevamo armi, da dove uscivano le informazioni che apparivano in internet e quanti fossero i contadini organizzati. Avevano molte foto mie e anche di altre persone. Si vedeva che erano ben organizzati e che l'operativo era stato preparato in modo minuzioso. 
 
- Quando hanno cominciato a colpirti? 
- È stato durante il pomeriggio di domenica 9. Mi hanno fatto alzare e mi hanno fatto vedere un tavolo su cui c'erano vari strumenti di tortura. Hanno iniziato a parlare tra di loro. Dicevano: che cosa facciamo per primo? Gli strappiamo un'unghia o lo bruciamo? Poi hanno iniziato a colpirmi sulla faccia, mi hanno bruciato i capelli, mi dicevano che mi avrebbero cosparso la testa di benzina e mi avrebbero dato fuoco. Mi hanno colpito alla schiena con un manganello. C'erano vari stranieri. Alcuni parlavano in inglese, mentre altri parlavano una lingua che non sono riuscito a capire. 
 
- Come hai fatto a scappare? 
- Durante la notte tra domenica e lunedì mi hanno fatto uscire e abbiamo iniziato a camminare nel buio. Sono riuscito a sentire una conversazione nella quale dicevano che per il momento non avevano l'ordine di uccidermi. Mi sono fatto coraggio e approfittando del fatto che mi avevano slegato e che era molto buio, ho iniziato a correre in mezzo a un bosco vicino.Gli uomini mi hanno inseguito e hanno iniziato a sparare, ma sono riuscito a nascondermi. Ho corso e poi camminato per molto tempo. Alla fine ho trovato delle persone che mi hanno aiutato e ho potuto mettermi in contatto con i compagni. 
 
- Quale credi sia stato l'obiettivo di questo sequestro? 
- Stiamo lottando contro i latifondisti e sappiamo che i nostri nemici sono Miguel Facussé, René Morales e Reinaldo Canales. Il governo sta dalla loro parte e non da quella del popolo. Il dipartimento di Colón è stato militarizzato due volte e sappiamo che userebbero qualsiasi strumento pur di stroncare la nostra lotta. Avevano foto e molte informazioni sulle organizzazioni contadine e popolari e sui loro membri. Vogliono intimorirci. 
 
- Il tuo sequestro ha generato una forte corrente di solidarietà e di denuncia a livello nazionale e internazionale. Credi che in qualche modo abbia contribuito a frenare la mano omicida dei tuoi sequestratori? 
- Erano preoccupati per la pressione che si stava creando a livello nazionale e internazionale. Controllavano ciò che veniva pubblicato in internet e seguivano le notizie alla radio. È per questo che domenica hanno deciso di spostarmi in un altro rifugio fuori dal dipartimento. Credo che tutta questa pressione sia servita a evitarmi il peggio. 
 
Ringrazio infinitamente tutte le persone e le organizzazioni nazionali e internazionali che si sono mobilitate, così come i mezzi d'informazione che hanno denunciato il mio sequestro. La lotta non finisce qui. Dobbiamo andare avanti con maggiore forza. Dobbiamo mantenerci uniti, perché solo in questo modo possiamo tirare fuori il paese da questa situazione. Possono ucciderci, ma non accetteremo mai il colpo di Stato. Non abbandonerò mai la lotta. Piuttosto morto che traditore.
 

Note: © (Testo Giorgio Trucchi - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua - www.itanica.org )

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