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Frontex sospende i pattugliamenti nel canale di Sicilia

Frontex: storia di una repressione fallita

13 agosto 2007
Fulvio Vassallo Paleologo (Università di Palermo - Associazione studi giuridici sull’immigrazione)

La notizia della sospensione delle operazioni Nautilus nel canale di Sicilia non sorprende. Il fallimento della missione, fortemente voluta dal commissario europeo Frattini, ed approvata dal ministro Amato, era testimoniato dalla ripresa degli sbarchi, a fine giugno, proprio subito dopo l’avvio delle attività di Frontex tra la Libia, Malta e la Sicilia. Il periodo di operatività della missione europea è stato segnato da numerose stragi di migranti, mai così frequenti come nel periodo nel quale è stato effettuato il pattugliamento congiunto di unità spagnole, maltesi, italiane e di altre nazioni,ai limiti delle acque libiche. Il dispiegamento delle unità di Nautilus aveva solo prodotto una deviazione ed un allungamento delle rotte mentre i migranti venivano costretti a salire su imbarcazioni sempre più piccole per sfuggire ai controlli più intensi al limite delle acque internazionali.
Non si hanno ancora dati sui risultati di Nautilus, e forse qualcuno prova vergogna ad ammettere che l'Unione Europea ha effettuato respingimenti collettivi di imbarcazioni cariche di “clandestini” verso la Libia, paese che non riconosce il diritto di asilo e la Convenzione di Ginevra, e nel quale sono documentate le violenze quotidiane commesse sui minori e sulle donne.
La diminuizione degli sbarchi in Sicilia, di cui parla il nuovo capo della polizia Manganelli, non dipende dalla efficacia dei mezzi di contrasto a mare, mezzi che hanno prodotto morte e disperazione, malgrado l'impegno di salvataggio della nostra Marina, ma è conseguenza dagli accordi segreti stipulati con la Libia a partire dal 2004. accordi rinnovati anche dal governo Prodi, con le missioni di D'Alema a Tripoli nel corso di questo anno.
Il quotidiano Le Monde svela adesso che il prezzo per il riscatto delle infermiere bulgare e del medico palestinese, sequestrati dalla giustizia libica ed a lungo torturati al fine di estorcere le confessioni, è consistito anche in una cospicua fornitura di armi al colonnello Gheddafi, anche questo, naturalmente, per “aiutare” i bambini vittima dell'AIDS in Libia. La Francia sta diventando adesso il paese di riferimento nei rapporti tra l’Europa ed i paesi di transito. In questo modo il protagonismo di Sarkozy ha battuto l'asse Frattini- Amato, che per mesi avevano coltivato i rapporti con la Libia tentando di ottenere un maggiore impegno nell'arresto e nel respingimento di migranti. Ma, si sa, le armi sono argomenti assai convincenti.
Da anni l'Italia paga un prezzo assai alto economicamente e politicamente per assicurarsi
l'impegno della Libia nel blocco dei migranti e dei richiedenti asilo che attraverso quel paese cercano di arrivare in Europa. I vertici di Rabat e di Tripoli nel 2006 hanno segnato una tappa vergognosa della rincorsa del governo italiano nel tentativo di accreditare la Libia come un paese affidabile con il quale collaborare in campo politico ed economico, a partire dal gas e dal petrolio, sulla pelle dei migranti incarcerati ed abusati in tutti i modi in quel paese.
Riteniamo semplicemente indecente che il governo italiano continui ad utilizzare come alleato nella "lotta all'immigrazione clandestina" uno stato come la Libia che non nasconde le sue mire egemoniche ed i suoi buoni rapporti con i governi che in Africa si stanno macchiando di crimini orrendi, come il governo sudanese e quello eritreo. La Libia collabora con il governo sudanese complice delle stragi in Darfur e ha già annunciato di volere espellere in Eritrea oltre quattrocento migarnti , attualmente detenuti a Misurata, che rischiano carcere e torture inaudite. Nel silenzio più assoluto della comunità internazionale.
Il fallimento di Nautilus e di Frontex nel Mediterraneo mette in luce il ruolo ambiguo di Malta e richiama all'attenzione dell'opinione pubblica la necessità di una svolta delle politiche nel mediterraneo e dei rapporti con i paesi rivieraschi in materia di immigrazione ed asilo. Tra la Libia e la Sicilia si è giocata una partita a scaricabarile, nella quale i mezzi mercantili non sono intervenuti tempestivamente, e gli stati interessati, Malta soprattutto, hanno cercato fino all’ultimo di eludere le proprie responsabilità derivanti dalle convenzioni internazionali che impongono la salvaguardia della vita umana a mare ed il diritto all’accesso alla procedura di asilo. Si è giunti persino a negare l’evidenza, quando il governo maltese si è dichiarato all’oscuro della presenza dei 37 naufraghi aggrappati da tre giorni alle gabbie per la pesca dei tonni trainate da un rimorchiatore maltese. Decine di migranti sono rimasti per giorni su sottili passerelle di legno, a rimorchio del Budafel, una imbarcazione maltese che si è rifiutata di farli salire a bordo.
Le missioni FRONTEX e, più in generale, gli interventi dell’Unione Europea in materia di immigrazione devono essere rimodulati nella prospettiva della salvaguardia assoluta della vita umana e del pieno riconoscimento del diritto di asilo e di protezione umanitaria, consentendo canali di ingresso legale, riconoscimenti individuali ed accesso alle procedure. Va quindi modificata la disciplina nazionale delle espulsioni e dei respingimenti, considerandola strumento eccezionale e non metodo ordinario di gestione dell’immigrazione.

Vanno interrotti immediatamente i finanziamenti concessi dai governi europei ai paesi di transito per mantenere “centri di raccolta” dei migranti irregolari, che assumono spesso, come rilevato in Libia da Human Rights Watch e da una delegazione del Parlamento europeo, il carattere di veri e propri lager. Come vanno interrotti i finanziamenti europei dei voli con i quali gli stati di transito, come la Libia, restituiscono molti potenziali richiedenti asilo alla polizia dei paesi, come l’Eritrea, dai quali questi sono fuggiti.
Piuttosto che finanziare campi di detenzione amministrativa nei paesi di transito, strutture che diventano luoghi di abusi e di traffici di ogni tipo, occorre istituire, negli stessi paesi di transito, veri e propri centri di accoglienza per i richiedenti asilo. Bisogna estendere l’istituto dell’asilo extraterritoriale, dare quindi la effettiva possibilità di presentare una richiesta di asilo anche in quei paesi , in modo da garantire rigoroso rispetto del principio di non refoulement previsto dalla Convenzione di Ginevra e del divieto di trattamenti inumani o degradanti, previsto dalla Convenzione dell’ONU contro la tortura e dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

Di fronte alla composizione mista dei flussi migratori occorre un regolamento europeo che superi la Convenzione di Dublino e garantisca la salvaguardia della vita umana a mare e la protezione dei soggetti più vulnerabili come i richiedenti asilo, le donne ed i minori. In particolare si devono depenalizzare al più presto gli interventi di salvataggio a mare da parte delle imbarcazioni non militari, in modo da rendere più tempestive le azioni di salvataggio.
Deve essere riconsiderata dai Parlamenti nazionali la materia degli accordi di riammissione, sia perché in contrasto con le normative internazionali ed interne in materia di protezione dei diritti fondamentali della persona migrante, sia perché le azioni di polizia attuate sulla base di tali accordi sono sottratte ad ogni effettivo controllo giurisdizionale.

Le democrazie europee non possono continuare a delegare il lavoro “sporco” contro i migranti agli stati di polizia del Nord-africa. La “esternalizzazione” dei controlli di frontiera voluta e finanziata da Bruxelles ha prodotto morte, abusi ai danni dei soggetti più vulnerabili come donne e bambini, ed ha arricchito le organizzazioni criminali che gestiscono nei paesi di transito il traffico dei migranti, spesso con la complicità delle forze di polizia.

Qualunque possibilità di ripresa economica e sociale dei paesi di transito, che non si risolva nell’ulteriore arricchimento delle oligarchie al potere, passa attraverso il ripristino delle garanzie dei diritti fondamentali delle persone, dei migranti e degli stessi abitanti di quei paesi, costretti a subire regimi dittatoriali supportati dalle intese politiche e di polizia degli stati europei. Altrimenti, gli interessi economici prevalenti in un mondo sempre più globalizzato, e la lotta al terrorismo islamico utilizzata al fine di precludere qualunque possibilità di sviluppo della democrazia, in Turchia come in Egitto,in Libia, come in Tunisia, in Algeria come in Marocco, produrranno nel tempo gli stessi effetti devastanti già verificati in Irak ed in Afghanistan, dove si è tentato di battere il terrorismo con la guerra, con il risultato di rinforzare proprio le organizzazioni terroristiche e le catene criminali che le supportano.

Coloro che oggi ingannano l’opinione pubblica proponendosi come i difensori della identità europea e della sicurezza, e nel frattempo utilizzano gli stati di transito come gendarmi nella “guerra” all’immigrazione clandestina, stanno innescando una vera e propria “bomba a tempo” ai confini della “fortezza Europa”.

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