Ong e Afghanistan, le occasioni perdute
Il parere di una parte minoritaria del mondo delle Ong italiane a favore della presenza dei militari italiani sotto il cappello Isaf in Afghanistan, con la motivazione che questo aiuta l'intervento umanitario sul campo, è una posizione sbagliata e contraddittoria, e anche un po' inaspettata.
Sbagliata perché in Afghanistan c'è stata una guerra, fatta o appoggiata da quei paesi che hanno truppe sul campo in due missioni (Enduring Freedom e Isaf) che si sovrappongono e che si intrecciano nella catena di comando: le organizzazioni umanitarie -pena la perdita della loro credibilità- non devono mai invocare l'aiuto di truppe militari di guerra e di parte a sostegno della loro azione. E' un principio che altre Ong non meno importanti (da Un Ponte per... a Ics, da Emergency a Msf, dal Cric a Terre des Hommes, ecc.) hanno invece rivendicato nei mesi scorsi in un documento unitario, dal titolo «umanitario non militare». In questo senso la posizione assunta da una parte delle Ong è, purtroppo, in evidente controtendenza con il ripensamento (auto)critico presente in larga parte del mondo umanitario internazionale che, dal Kosovo in poi, ha ben imparato dai rischi di strumentalizzazione militare.
Contraddittoria perché mentre si appoggia la presenza delle truppe militari in Afghanistan, si plaude al ritiro dei soldati dall'Iraq: due comportamenti diversi per situazioni assai simili. D'altronde già nel 1999, una parte di quelle stesse Ong appoggiò la Missione Arcobaleno, cioè una missione di aiuti strettamente intrecciata con la «guerra umanitaria» della Nato, cui partecipò il governo italiano. Da allora in una parte del mondo delle Ong, si sono alternate posizioni contrarie alla collaborazione con i militari (in guerra) ad altre più possibiliste, fino a chi ha teorizzato la necessità di una effettiva collaborazione (e l'ha praticata in Iraq).
Inaspettata perché solo qualche giorno fa esponenti autorevoli dell'Associazione delle Ong avevano -durante un'iniziativa promossa dall'Agi, riportata anche dal manifesto- manifestato con una certa vivacità la loro contrarietà alla commistione tra azione umanitaria e militare. Nel giro di poche ore, di fronte al voto del Parlamento sull'Afghanistan, questa commistione sembra invece da apprezzare e da difendere. Un (nuovo) cambio di posizione rapido ed estemporaneo.
Non è qui in discussione il giudizio sulla posizione della maggioranza parlamentare e delle mediazioni raggiunte che pongono fine all'avventura irachena e fanno «riduzione del danno» sulla missione in Afghanistan. Sta di fatto che il governo italiano ha comunque disgiunto per l'Afghanistan la parte umanitaria da quella militare mentre dal Ministero degli Esteri confermano, che l'Italia uscirà a breve dall'esperienza militar-umanitaria dei Prt (Provincial Reconstruction Team). Non si capisce perché, allora, ci sia la necessità di questa deriva realpolitica -nascosta dietro una cortina fumogena di idealismo umanitario- di una parte del mondo non governativo che invece avrebbe del tutto l'interesse rimarcare il proprio impegno contro la guerra e a separare la propria azione da quella delle truppe e delle alleanze militari (la Nato non è nata certo per fare peace keeping), che tra l'altro oggettivamente indeboliscono il ruolo delle Nazioni Unite e la credibilità delle «missioni di pace», quando sono effettivamente tali.
L'impressione è che entrino in gioco dunque nuove ragioni in queste prese di posizione: la ridefinizione del rapporto con la politica (con una parte di questa) ed il governo fino al rischio di un rinnovato collateralismo, la possibilità di una rinnovata e finanziata azione sul campo, il rinsaldarsi di un'alleanza con i vertici delle Forze Armate, con le quali alcune Ong italiane attivamente collaborano da anni.
L'azione umanitaria in questi anni ha sofferto molto, dalle ambiguità della missione arcobaleno del Kosovo alle strumentalizzazioni della Croce Rossa a Baghdad, fino all'avventura fallimentare di Avanposto 55 in Darfour. Peccato, allora, aver perso un'occasione per mantenere -a proposito dell'Afghanistan- una posizione di autonomia e di continuità nella difesa dell'indipendenza dell'azione umanitaria. Questa ne avrebbe avuto molto bisogno dopo anni di brutte figure, di ambiguità e strumentalizzazioni.
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