Senza un euro in tasca Ecco i nuovi poveri italiani

Donne, uomini, famiglie che fino a ieri avevano una vita più che dignitosa travolti improvvisamente dall'economia dell'euro. E ogni anno quasi 200 mila piccole imprese strozzate dall'usura. La denuncia in un libro-inchiesta
31 luglio 2007
Ernesto Milanesi
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Poveri, in senso stretto: indigenti, non solo economicamente. Ma nuovi, perché fino a ieri capaci di sopravvivere più che dignitosamente. Donne, uomini, famiglie travolti d'improvviso dall'economia in euro e dalla soglia della quadratura dei conti, che altrettanto repentinamente diventa impossibile da raggiungere.
Nuovi poveri, appunto. Gente comune. Vittime di una guerra silenziosa e dolorosa, che si combatte ogni giorno fra le mura domestiche. Cittadini senza più diritto alla sussistenza: soli con il dovere di non arrendersi. Storie che non fanno nemmeno notizia, perse nelle pieghe dell'indifferenza. Tanto più a Nord, dove si consuma ricchezza e si produce marginalità come se fosse uno scarto del marchio di fabbrica. Addirittura peggio nel «mitico» Nord Est che nessuno ha più voglia di guardare dritto negli occhi, quando lo specchio virtuale delle statistiche restituisce bagliori di agonia sociale.
Padova «capitale» dell'usura, monopolizzata della malavita. Milano metropoli del credito al consumo che stritola peggio di un cravattaro. O Roma città aperta dove si finisce a dormire dentro l'auto. Testimonianza crude, come l'operaio padano che versa tutti i risparmi alla banca della Lega Nord che li brucia senza pietà; come il 52enne senza la minima speranza di essere «ammortizzato» nel mercato del lavoro; come la signora di Ostia per cui i 35 euro del telefono sono diventati un lusso.
Questo e molto altro racconta il libro di Giampiero Beltotto e Giancarlo Giojelli (Nuovi poveri, Piemme, pagine 206, euro 12,90) con il taglio giornalistico dell'inchiesta sul campo senza preoccuparsi dell'assenza di telecamere Rai al seguito. Una lettura che dovrebbe far riflettere anche a sinistra, se non si vuol rimuovere la «questione sociale». Certo, sono pagine intinte nella sensibilità cattolica. Eppure racchiudono testimonianze emblematiche, aggiornano (non solo numericamente) i rapporti ufficiali, schiudono un altro punto di vista sull'Italia con un piede nell'Europa e l'altro nella fossa.
Nuovi poveri, vecchia ideologia? Forse, vale la pena misurarsi con questa specie di impietosa fotografia. «Un tempo erano chiesa, politica, sindacati a dover leggere la realtà, a dare risposte. Ora resta l'individuo. Sempre più individuo. Si attesta sulla sua persona, cerca di destreggiarsi fra dolore e soddisfazione. La persona che prima non era tanto presa in considerazione diventa il metro di paragone» ammonisce Nicola A. De Carlo, docente di Psicologia del lavoro all'Università di Padova.
E il sociologo Mauro Niero della Facoltà di Scienza della formazione di Verona sottolinea: «La gravità di nuovi fattori di povertà in una situazione di welfare state in ritiro sarà tanto maggiore quanto più le solidarietà (fra lavoratori o cittadini), che l'hanno generato, non avranno possibilità di replicarsi».
Intanto i nuovi poveri arricchiscono il bisogno di attenzione. Non c'è più la punta dell'iceberg della «quarta settimana». L'Adusbef, associazione per la difesa dei consumatori, suona il campanello d'allarme: negli ultimi sei anni, in media ogni italiano ha accumulato 7.735 euro di debito e ogni famiglia supera quota 21 mila. Addirittura l'Istat indica che su 10 milioni di minorenni ben 1,7 vivono in una situazione di grave indigenza: il 73,2% è concentrato al Sud. Un cortocircuito che non lascia dubbi sul futuro...
E non basta, perché paradossalmente l'Italia gioca con la sua povertà. Legalmente o nei canali clandestini la cifra in gioco è 25 miliardi all'anno. Equivale al 2% del prodotto interno lordo. Un tesorone incassato dallo stato con slot machine (10 miliardi) e lotto (altri 7); più 1.500 milioni di euro che arrivano dalle lotterie nazionali e circa altrettanti dal bingo e dai gratta e vinci. Soltanto il Casinò di Venezia assicura un gettito di 190 milioni di euro, cifra che sfiora un quarto del bilancio comunale. Il gioco è una forma di tassazione indiretta, per di più a carico soprattutto dei «meno abbienti» che si affidano al colpo di fortuna. Siamo un popolo di giocatori che non fa molto caso all'impatto sociale: 700 mila «compulsivi» e tre milioni di «borderline».
Di qui alla povertà oscillante il passo è davvero breve. Sono 14 milioni gli italiani compresi fra la categoria statistica degli indigenti «puri» o che appartengono alle famiglie pericolosamente vicine alla soglia di povertà.
Nuovi poveri si diventa. Ogni anno 40 mila piccole imprese e attività artigianali più 150 mila commercianti falliscono per... usura. Una «nicchia» del sistema Italia che muove 12-13 miliardi di euro, pari ad una normale manovra finanziaria del governo. È l'economia sommersa, tutt'altro che new. La Banca d'Italia a gennaio 2006 ha rilevato l'aumento del 7,7% delle diverse forme di credito al consumo: rate che magari non si riescono a pagare, spesso nemmeno ricorrendo ai normali circuiti del credito.
E, da poveri, si finisce con il perdere anche la casa. L'Unione Inquilini contabilizza nel 2005 per le grandi città l'aumento del 150% degli sfratti, accompagnato dal più 220% delle richieste. Del resto, ormai l'80% è stato eseguito per morosità. Mancano i soldi dell'affitto e si è costretti a dormire dentro la vecchia utilitaria.
Avvertono nell'introduzione Beltotto e Giojelli: «Qui si tratta di poveri che non troverete in nessun elenco ufficiale. Quelli che non hanno visibilità. Non sono stati colpiti da malattie alla moda e non hanno alcun sindacato a difenderli. Una povertà che i direttori di banca conoscono bene. È la mafia che revoca improvvisamente il fido. E allora si ricorre al debito, all'acquisto a rate, all'usura». Nuovi poveri, appunto. Chi se ne preoccupa?

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