L'antimilitarismo popolare durante l'impero romano
"Gran parte dei cittadini si portava verso il campo in gran fretta, temendo
che i soldati fossero ostili all’avvento di Pertinace. Si credeva che i
pretoriani, avvezzi a servire un tiranno esercitando la violenza e la rapina,
non avrebbero visto di buon occhio un governo ispirato alla moderazione.
I cittadini dunque accorrevano in massa per costringere i pretoriani a
sottomettersi".
Erodiano
Disprezzo e avversione sono diretti sia ai pretoriani sia ai legionari stanziati ai confini: essi solitamente gradiscono non la monarchia aristocratica, ma la tirannide; e amano i donativi sempre piú sostanziosi e la licenza di rapina e di violenza. Dopo il discorso del prefetto al pretorio Quinto Emilio Leto, che propone l’acclamazione di Pertinace, «i soldati (ovviamente, i pretoriani) erano incerti ancora e maldisposti; ma il popolo, rompendo gli indugi, acclamò Pertinace imperatore, chiamandolo padre e salutandolo con fausti auspici. Allora anche i soldati, costretti dalla superiorità numerica della folla (essi erano infatti pochi, circondati tutt’intorno dal popolo, e disarmati per la festa imminente) per quanto la pensassero in modo assai diverso, si unirono alle acclamazioni; riconobbero Pertinace come Augusto, e pronunciarono in suo nome i consueti giuramenti». Enunciato il suo programma di «un regime aristocratico, anziché una tirannide», Pertinace, tra i primi provvedimenti, «ordinò ai soldati di astenersi dalle violenze contro i civili; di non portare scuri, e di non percuotere chiunque incontrassero. Il suo programma era di ripristinare l’ordine e la disciplina…». Senato e popolo romano «erano contenti e ben presto, in seguito ai positivi atti di governo di Pertinace, manifestarono soddisfazione «tutte le province, i popoli alleati, e gli eserciti». «Dunque tutti si rallegravano, in pubblico e privatamente, per il nuovo governo moderato e pacifico. Ma nella felicità comune erano malcontenti i pretoriani, cui spetta il compito di scortare l’imperatore.
Poiché infatti si vietava loro di rapinare e di commettere abusi, ed erano costretti a una rigida disciplina, consideravano quel governo mite e umano come un’offesa e un oltraggio per loro, quasi fossero defraudati di un diritto alla violenza; e non si adattavano alla fermezza del nuovo governo; anzi, già dal principio si mostravano riottosi e insubordinati». Ben presto è
pronto l’humus della rivolta e della eliminazione di Pertinace: «…i pretoriani mordevano il freno, rimpiangendo le rapine, le violenze, l’incontrollata dissolutezza concesse loro sotto la precedente tirannide. Meditavano di eliminare Pertinace, che riusciva loro odioso per la sua severità, e cercavano un capo che potesse ricondurli alla sfrenata licenza di un tempo». Il 28 marzo 193, tre mesi dopo l’avvento, i pretoriani assassinarono Pertinace e, pochi giorni dopo, calmatosi il tumulto popolare, «proclamarono che l’impero era messo all’asta, promettendo di elevare al potere il maggior offerente e di portarlo al palazzo sotto la tutela delle loro armi».
IL POTERE IMPERIALE NELLA CULTURA PAGANA E CRISTIANA SOTTO SEVERO ALESSANDRO
https://iris.uniroma1.it/handle/11573/1088714#.X2EVy2gzY2w
Le frasi virgolettate sono di Erodiano, storico greco probabilmente vissuto fra il 170 e il 255 d.C.
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