Vi furono 80 morti e 450 feriti

1898: Turati e le cannonate di Bava Beccaris

Storia dei lavoratori che chiedevano più diritti e di un commissario con pieni poteri che fece sparare sui manifestanti
19 settembre 2004
Francesca Belotti e Gian Luca Margheriti

Il passo lento e l'andatura pesante, Filippo Turati attraversa una piazza del Duomo riscaldata dal tiepido sole primaverile, che rincorre le ombre sfuggenti dei bambini che giocano all'aperto. Turati si dirige verso la galleria Vittorio Emanuele, dove ad attenderlo c'è l'amico socialista Gaetano Salvemini. I due uomini si tuffano subito in una conversazione animata, dalla quale emergono pareri contrastanti. Milano è una città affamata che invoca il ribasso dei prezzi: per questo Salvemini teme che il malcontento della gente possa degenerare in disordini di piazza. Il suo pacato collega scuote la testa: non può e non vuole credere che scoppieranno delle agitazioni. Turati si sbaglia.

CHIAMATA ALLE ARMI - Se durante la giornata del primo maggio 1898 non si verificano incidenti, ci sono almeno due episodi che contribuiscono all'inasprimento del clima già difficile di quei giorni. La classe 1873 è richiamata alle armi. Corre voce che i ventiseienni dell'epoca devono prepararsi ad imbracciare i fucili contro i coetanei africani, per una ripresa della politica coloniale italiana nell'Africa settentrionale. Nel frattempo a Pavia, nel corso di uno scontro con la polizia, muore il figlio del radicale Giuseppe Mussi, vicepresidente alla Camera.

DIRITTI PER I LAVORATORI - Nel suo appartamento in piazza del Duomo, Turati scrive. Scrive per «Critica sociale», la rivista da lui fondata nel 1891 insieme alla compagna Anna Kuliscioff, scrive per il neonato «Avanti!» ed, essendo un avvocato, si occupa di ricorsi e proteste. E' vicino al proletariato milanese e lo sostiene anche la mattina di quel 6 maggio 1898, quando, fuori dallo stabilimento Pirelli di Ponte Seveso, un dipendente dell'ingegner Giovanni Battista diffonde volantini con la richiesta di più diritti per i lavoratori. L'incauto operaio è subito fermato da alcuni agenti di polizia, che lo rilasciano poco dopo, mentre tale Angelo Amadio viene condotto alla caserma di polizia di via Napo Torriani, con l'accusa di aver tirato pietre contro le forze dell'ordine. Il quarantunenne Turati, preso in spalla da due operai, esorta alla calma la folla, che già si incammina alla ricerca del compagno arrestato. A pochi passi dalla caserma, la polizia fa fuoco sui manifestanti; risultato: un morto e cinque feriti. I disordini continuano anche il giorno seguente: via Torino, via Orefici, corso di Porta Ticinese e via della Moscova (dove ha sede la Manifattura Tabacchi), sono inondate di studenti e lavoratori che protestano contro il carovita e chiedono giustizia. La risposta del prefetto non tarda ad arrivare: sarà l'autorità militare a gestire la delicata situazione. Nel pomeriggio del 7 maggio viene proclamato lo stato d'assedio della città.

COMMISSARIO CON PIENI POTERI - Ecco allora che entra in scena il generale piemontese Fiorenzo Bava Beccaris, a detta degli amici buono e affettuoso, semplicemente temibile secondo i suoi oppositori. A sessantasette anni compiuti, questo ferreo tutore dell'ordine viene nominato «Regio commissario straordinario con pieni poteri» e in men che non si dica mette a punto un piano per riportare la calma e la tranquillità nel capoluogo lombardo. I suoi uomini avrebbero dovuto occupare, prima i bastioni e le Porte della città, poi i sobborghi e le stazioni, e, infine, le fabbriche e gli opifici, garantendo il reinserimento pacifico delle maestranze. Dopo aver fatto arrestare il direttore del quotidiano «Il Secolo» e aver vietato l'uscita del giornale, Bava Beccaris si dedica a smantellare le barricate di Porta Garibaldi e Porta Ticinese a colpi di cannone, ricevendo le congratulazioni da Roma. Non risparmia nemmeno un convento di Cappuccini in corso Monforte, reo di essersi schierato contro i soldati. I frati vengono rastrellati e il convento occupato dai militari.

OTTANTA MORTI - Il bilancio di quattro giorni di duri scontri non poteva che essere pesante: si calcolano ottanta morti e quattrocentocinquanta feriti. Senza contare gli arresti. A finire in carcere ci sono anche Filippo Turati e la compagna di lotte e di vita Anna Kuliscioff. Lei è condannata a tre anni di reclusione con l'accusa di essere una socialista propagandista, lui a dodici, ma, grazie a un indulto riparatore, è scarcerato il 4 giugno dell'anno seguente.
Mentre Milano piange i suoi morti, il generale Bava Beccaris riceve la Croce di Grande ufficiale dell'Ordine militare di Savoia. Un anno più tardi, precisamente il 29 luglio del 1900, re Umberto I viene ucciso a Monza dall'anarchico Gaetano Bresci. L'uomo dichiarerà di essersi voluto vendicare dei morti di Milano del '98 e dell'offesa per la decorazione a Bava Beccaris.

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