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Un libro sulle piaghe del «Belpaese» Che si apre e si chiude nella città ionica

Taranto, Italia

Tra i libri più interessanti giunti in libreria nelle scorse settimane figura Il corpo e il sangue d'Italia - Otto inchieste da un paese sconosciuto. Due tarantini migrati a Roma, legati non solo esistenzialmente ma anche professionalmente alle sorti del capoluogo Jonico, aprono e chiudono il volume.
5 gennaio 2008
Enzo Mansueto
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

La copertina del libro Interessante in sé, per la qualità degli scritti che lo compongono, e anche perché esso consente di riflettere su alcuni elementi contestuali, quali gli orientamenti della nuova narrativa italiana, nonché lo stato dell'informazione giornalistica, sul comune terreno dell'autorappresentazione «realistica » del Paese.

Questa raccolta di reportage «d'autore» sul declino del Bel Paese muove infatti dall'assunto, dichiarato in introduzione dal curatore Christian Raimo, secondo il quale a un disinteresse diffuso per le sorti disastrose della società italiana, a tutti i livelli, col conseguente abbandono di forme costruttive di impegno, corrisponde una morbosa attenzione mediatica, che si esprime nelle forme speculari del sensazionalismo accusatorio (la pseudoindignazione di Striscia la notizia, Le Iene, etc.) e della blandizie da soggiorno (le seriose inchieste sull'abbigliamento invernale dei cani dell'Italia sul Due odi Verissimo).

Atteggiamento che per effetto dell'egemonia dell'infotainment televisivo avrebbe finito per trascinare l'informazione su carta stampata, con una omologazione della realtà «percepita» (in altri tempi avremmo detto: dell'opinione pubblica in-formata) davvero inquietante, e alienante.
Che spetti ai narratori - leggi: romanzieri, sceneggiatori, reporter, etc. - il racconto partecipato della realtà è un'idea che trova ampio consenso tra i lettori (e gli editori…) dopo quella che altri hanno efficacemente chiamato «funzione-Saviano ». Ridurre il concetto, però, al successo di Gomorra è gesto non solo malizioso, ma inesatto, poiché gente come Alessandro Leogrande, ad esempio, che apre questa raccolta, lavora sul fronte del reportage narrativo su malaffare e criminalità organizzata meridionale da tempi non sospetti e uno scrittore come Antonio Pascale esordì con l'illuminante La città distratta nel 1999, buttandoci dentro lo squallore periferico del casertano, ben prima che l'amico Saviano ci introducesse nell'habitat camorristico di Scampia.

Un terzo motivo di interesse, e qui soprattutto per il lettore pugliese, è la centralità emblematica che le laceranti e cancrenose vicende politico- amministrative del Comune di Taranto assumono in questo racconto «col cuore in mano» dello scempio nazionale. Non perché, come puntualizza Raimo nella prefazione, Taranto «sia la capitale immorale d'Italia, con il suo buco di bilancio comunale mostruoso, i suoi record di diossina presente nell'aria, il suo mare guasto, ma perché dell'Italia è forse l'osservatorio privilegiato, il paradigma sociale e antropologico utile a capire anche ciò che accade nel resto della penisola ». Un primato negativo esemplare, supportato peraltro dallo stillicidio della cronaca quotidiana, assegnato quindi non da moralistiche valutazioni esterne sulla mala amministrazione e la città tutta, ma, come è nello spirito del libro, da soggettive, partecipate, coinvolte inchieste di narratori dal didentro, ben consapevoli che, come è oramai dato acquisito nella fisica, il fenomeno osservato comprende necessariamente l'osservatore.

E così due tarantini migrati a Roma, legati non solo esistenzialmente ma anche professionalmente alle sorti del capoluogo Jonico, aprono e chiudono il volume, con quadratura fatale. Alessandro Leogrande, con un pezzo riuscitissimo di reportage elevato a squisita narrazione, racconta il riapparire sulla scena politico, per le amministrative della scorsa primavera, di Giancarlo Cito, dietro l'ectoplasma «muto» del figlio Mario (il primo candidato sindaco a prendere il 20,2% dei voti senza pronunciare nemmeno una parola), dopo una condanna definitiva e quattro anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Ornella Bellucci, invece, chiude il libro, anatomizzando il cadavere dell'Ilva e dell'indotto industriale tarantino, nel drammatico passaggio(eufemisticamente: «privatizzazione ») del polo siderurgico nelle mani di Emilio Riva, col conseguente tracollo ambientale, col dramma della sicurezza sul lavoro e la definitiva cancellazione, dal paesaggio fisico e mentale della città, del mare.

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