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Taranto, la "Seveso del Sud" ora si ribella

Consensi e dubbi tra tanti tarantini: ma sarà vero di poter abbattere le emissioni? o è meglio andar via dal rione Tamburi? «Siamo nati in questo quartiere e non riusciamo ad immaginare un altro luogo dove vivere, anche se in giardino abbiamo la diossina» Chi tutelerà i posti di lavoro?
13 novembre 2008
Pamela Giuffré
Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno

- TARANTO - Dalle canzoni di Caparezza alle leggi di Nichi Vendola. La diossina dell’Ilva suscita clamore e mobilita artisti e politici. A rendere famosa questa micidiale sostanza inquinante sono stati prima gli studi sull'ambiente e i dati nazionali ed europei, poi l’orecchiabile testo di «Vieni a ballare in Puglia» che svela crude verità.

Verità raccontate in tv, scritte sui giornali, persino sulle riviste femminili di moda. Ma di sicuro a suscitare maggiore clamore è lo schema di disegno di legge approvato dalla giunta regionale pugliese l’altro ieri. Primo in Italia, questo ddl mira a ridurre i limiti previsti dalla legge italiana per la diossina.

Una buona notizia per tutti, ma le opinioni si dividono nel punto in cui il provvedimento prevede che i limiti di diossina dovranno scendere entro termini prefissati - 2,5 nanogrammi a metro cubo da aprile 2009 e 0,4 nanogrammi a metrocubo da gennaio 2011 -, altrimenti, in caso di mancato adempimento nei 60 giorni dalla scadenza, la Regione potrà sospendere l’attività dell’impianto siderurgico.

Ed è questa la maggiore preoccupazione dei tarantini che abbiamo intervistato ieri nel rione Tamburi: morire per il lavoro o vivere senza lavoro? «E' davvero difficile sapere cosa fare - dice Gianluca Festinante - quando ci sono in ballo la salute e l’occupazione». Gianluca ha u n’edicola in via Archimede. Dalla sua rivendita di giornali, se alza la testa vede le ciminiere dell’I l va che «sbuffano» nel cielo. Se l’ab - bassa vede invece la polvere rossastra che si posa su quotidiani e riviste. «Non è certo uno spettacolo piacevole - spiega - e mi rendo conto che le condizioni del quartiere sono pessime. Ai Tamburi c’è una pesante cappa nel cielo e sento la differenza d’aria. Ma come posso pretendere la chiusura del siderurgico? Troppe famiglie si mantengono grazie all’Ilva».

La legge regionale sulla diossina? «Se fosse stato così facile abbassare i livelli di diossina nel giro di quattro mesi appena, penso che gli stessi dirigenti dell’Ilva si sarebbero attivati per farlo. Qualche volta penso che l’unica soluzione sia quella di lasciare il quartiere. Ma non saprei dove andare. Di che vivere. La mia edicola in città sarebbe una tra tante. Qui invece mi conoscono tutti».

«Siamo nati in questo quartiere e non riusciamo ad immaginare un altro luogo dove vivere, anche se in giardino abbiamo la diossina» aggiunge un cliente. Mariano è giovane, ha un panificio nella zona ed è andato all’edicola per comprare le figurine a sua figlia. Le paga, ma prima di consegnarle alla bambina le ripulisce dalla polvere come ha già fatto Gianluca.

Giovane è anche Caterina Tasto, presidente della commissione Ambiente del quartiere e residente ai Tamburi. Tasto ha redatto un documento sulle condizioni ambientali del rione, in cui non si fa riferimento solo all’Ilva ma anche all’Agip e alla Cementir. A suo parere «mitigare l’inquinamento di origine industriale si può. E’ necessario realizzare un grande polmone verde mediante un’opera estesa di forestazione» dice Secondo Christian Scardicchio, biologo, «l'Ilva deve necessariamente riuscire a rispettare i parametri richiesti dalla Regione anche se attualmente si trova a livelli ben lontani».

E Giuseppe Corisi, consigliere di quartiere e già segretario del comitato cittadino permanente per l’ambiente nato nel 2001, sostiene: «Non si può lavorare per morire. Basterebbe chiudere l’area a caldo per ridurre notevolmente l’inquinamento».

Giovanni Cito, presidente dello stesso comitato, annuncia: «Rimetteremo in azione il comitato se sarà necessario. Non voglio la chiusura dell’Ilva. Non l’ho mai chiesta. E’ l'unica fonte economica del territorio. Ma è indispensabile provvedere al risanamento ambientale della città». «Intanto si è creato allarmismo tra la gente del quartiere - afferma Maria Lambiasi -. Vogliamo garanzie sulla nostra salute».

«Diamo alla fabbrica il tempo necessario»

TARANTO - «La situazione è drammatica. L’inquinamento a Taranto non è una scoperta recente. Ma va dato all’Ilva il tempo necessario per abbassare i livelli di diossina». Così Egidio Di Todaro, presidente della circoscrizione Tamburi-Lido Azzurro, sullo schema di disegno di legge regionale. «Si chiede all’Ilva - dichiara Di Todaro - di abbassare i livelli dal 6-7 per cento al 2,5 in quattro mesi. Penso che sarà impossibile. E che altrettanta difficoltà avranno anche l’Agip ed oltre 200 aziende del resto d’Italia. Non possiamo correre il rischio di cassa integrazione e conseguente chiusura di queste ditte».

La proposta di Di Todaro alla Regione è chiara: «L'Ilva dev'essere messa nelle condizioni di adeguarsi ai valori chiesti. Del resto, ha già assunto l’impegno a completare il piano di risanamento e a ridurre la diossina».

Al Comune, invece, il presidente chiede «di dare l’autorizzazione al progetto aziendale che prevede la realizzazione di una retina su una recinzione alta 30 metri lungo il muro che separa l’Ilva dal quartiere Tamburi e da Statte per impedire alle polveri sottili di filtrare. Potrebbe essere utile per il momento».

Più categorico, invece, don Nino Borsci, parroco della chiesa San Francesco ai Tamburi e direttore della Caritas, che gestisce il centro di accoglienza notturna «Santa Maria del Galeso» sulla strada per Reggio Calabria, a due passi dall’Ilva. «Credo che ormai sia arrivato il tempo di imporre all’Ilva condizioni ben precise - dice don Nino - senza preoccuparsi del ricatto occupazionale. Altrove le industrie sono state riconvertite senza gravi conseguenze. Anche a Taranto sarà così dopo la chiusura dell’Ilva. Anzi, con la riconversione forse potrà essere impiegato un numero maggiore di personale». Di inquinamento stasera don Nino Borsci parlerà al consiglio pastorale parrocchiale. «Ma la questione - aggiunge - non riguarda solo l’Ilva. Ci sono anche Eni e Agip. Il cattivo odore di gas arriva dall’Eni. Inoltre, tornando all’Ilva, anche il viadotto che passa sulla strada del dormitorio dev'essere rivestito come quello che scorre lungo la via Appia. Invece è rimasto com'era vent'anni fa».

Intanto, nel centro polivalente di via Lisippo da avantieri i tecnici dell’Arpa hanno montato strumenti per rilevare l’inquinamento. Ma a pochi passi di qui, nella chiesa Gesù Divin Lavoratore, tira aria diversa. «Il problema è molto sentito - sostiene padre Angelo Catapano - e lo soffriamo tutti. Non vogliamo però la chiusura dell’Ilva. Serve un compromesso nel quale ognuno faccia la propria parte per coniugare salute e lavoro». Accoglie invece con favore la proposta Vendola sulla diossina il presidente del Movimento cristiano lavoratori, Antonio Citrea: «Ho dedicato gran parte della mia vita al quartiere Tamburi e a cercare di abbassare i livelli di inquinamento, finora invano, pur essendo riuscito a tenere alta la guardia. Aspettavo con ansia un simile provvedimento. L’Ilva deve abbassare i livelli di diossina secondo i limiti regionali e, se non adempie, andare incontro alle sanzioni previste, anche la chiusura. Tanto tutti gli addetti allo stabilimento riusciranno a trovare lavoro altrove. La battaglia per la vita è più importante.

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