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La diossina e il mercurio hanno contaminato il nostro mare

La diossina? Dall’Istituto Talassografico mettevamo in guardia dal 2006. Quando la grande industria chiude, cosa accadrà qui a Taranto dove non è mai stata creata un’occupazione alternativa?
15 novembre 2008
Maria Rosaria Gigante
Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno

- TARANTO - «La diossina? Dall’Istituto Talassografico mettevamo in guardia dal 2006. Oggi si fa un gran parlare dei nuovi limiti alle emissioni, ma è altrettanto importante chiedersi dove va a finire la diossina e soprattutto dove si è accumulata in tutti questi anni. Considerato che è una sostanza scarsamente biodegradabile, vuol dire che esistono contaminazioni ambientali accumulate nel tempo. Per cui è necessaria una valutazione della diossina nei suoli che circondano Taranto, ma anche nei sedimenti e negli organismi marini.

E’ un monitoraggio che sicuramente va fatto». Nicola Cardellicchio, presidente della Società Chimica Italiana, divisione Chimica per l’ambiente e Beni culturali, è dal luglio scorso il responsabile dell’Istituto Talassografico. Ubicato in una elegante palazzina degli inizi del secolo scorso, più che mai abbisognevole di una consistente opera di manutenzione, il Talassografico - 30-35 unità tra specialisti, tecnici, ricercatori e dottorandi, tutti tarantini - rivendica oggi maggiore attenzione dagli enti locali. Ma, soprattutto, propone di offrire una banca-dati sugli esiti delle proprie ricerche specialistiche sul mare e le coste ad enti locali, Università e a quanti si occupano di riqualificazione ambientale.

Potrebbe sembrare una cosa diversa da una parte rivendicare attenzioni dal Comune, da cui il Talassografico cerca di ottenere la sede in comodato d’uso per poter investire i fondi che già in passato più volte il Cnr aveva messo a disposizione per la sua ristrutturazione, e dall’altra dire che «il nostro grosso problema è quello di trovare spazio in città perché ci venga riconosciuto di più il ruolo di studio delle problematiche ambientali costiere. Molte problematiche si giocano sul mare. Ma noi dobbiamo alzare la voce per farci ascoltare, mentre invece dovrebbe essere spontaneo rivolgersi a noi».

Potrebbero sembrare cose diverse e, invece, sono aspetti legati dallo stesso filo conduttore: la scarsa considerazione da parte della città verso un ente che svolge a pieno il suo ruolo nei consessi scientifici internazionali. Ne sono una testimonianza i diversi progetti nei quali il Talassografico è coinvolto. Solo tra gli ultimi, il progetto «Spicosa», uno studio internazionale che a Taranto guarda alle condizioni del Mar Piccolo finalizzando il tutto ad un’ottica di ripresa e di sviluppo socio-economico. Altra ricerca (annuale) in corso quella relativa ai livelli di contaminazione dei molluschi bivalve lungo tutta la costa pugliese (attualmente in fase di campionatura grazie ai mezzi mobili di cui l’Istituto dispone: una barca di 26 metri ed un gommone di 8 metri), ricerca che rivelerà la qualità delle acque dei nostri mari.

Progetti e ricerche che danno la cifra dell’Istituto e che, invece, la città non sembra tenere in giusta considerazione. Forse è anche per questo che quell'allarme lanciato un paio di anni addietro sul rischio diossina passò inosservato. E così pure rischia di essere per la questione mercurio.

«E' un contaminante che abbiamo trovato ben localizzato - dice Cardellicchio -. Il mercurio trovato è in forma poco solubile, biodisponibile e poco trasferibile agli organismi marini. Non capiamo bene l’origine: potrebbe derivare dai cantieri navali dimessi. E’ in corso con un ente milanese un progetto di ricerca integrato per capire non solo i livelli di concentrazione, ma soprattutto come il mercurio possa trasformarsi in specie più tossica e finire negli organismi marini. Al momento non dico che la situazione sia gravissima, ma un domani qualcuno dovrà occuparsi di bonificare l’area».

Su cosa, allora, il Talassografico richiama la città? «Sull'esigenza di dotarsi di un piano integrato per il recupero ambientale del Mar Piccolo, la sua decontaminazione e valorizzazione per poter pensare a nuovi insediamenti - replica Cardellicchio -. Dobbiamo pensare come vogliamo le coste su cui, noi l’abbiamo detto nell’ ambito dell’Area vasta, c'è molta frantumazione. Occorre pensare al recupero dell’area del Galeso, della Palude La Vela, con piste ciclabili, polo museale e razionalizzazione della mitilicoltura per poter poi puntare alla produzione di qualità dei mitili a cui va assicurato il marchio di origine. Un adeguato progetto integrato va anche pensato per le aree portuali. Tutto ciò ci potrà dare nuova occupazione e servirà anche a distoglierne dall’area industriale. Perché quando la grande industria chiude, cosa accadrà qui a Taranto dove non è mai stata creata un’occupazione alternativa?»

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