Verso una nuova scienza del web:il futuro gira in versione 2.0

Collaborazione diffusa e produzione orizzontale di saperi: la seconda rivoluzione di internet non dimentica la ricerca Crescono le comunità, aumenta la consapevolezza della forma aperta, orizzontale e gratuita per l'innovazione e la conoscenza
8 agosto 2007
Alessandro Delfanti
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

La rivoluzione di Internet non si è dimenticata della scienza. Non solo perché la rete è fatta di algoritmi matematici e di computer, insomma di prodotti ad altissimo contenuto di scienza, ed è nata al Cern di Ginevra per permettere a centri di ricerca sparsi per il mondo di scambiarsi dati scientifici. Ma anche perché sulla scienza (come su molte altre attività umane) si sono riverberati gli effetti del cosiddetto web 2.0, cioè di quegli strumenti che permettono a chiunque di collaborare alla produzione dei contenuti della rete. Pensiamo agli esempi più noti, come Wikipedia, YouTube o Del.icio.us, in cui migliaia di persone cooperano per produrre e condividere cultura. Non più consumatori passivi ma produttori attivi, anche se solo di piccole frazioni dell'immenso magma della rete. Anche una parte importante della scienza sta sviluppando i suoi strumenti per allargare la partecipazione ai suoi processi e per sfruttare al meglio le potenzialità di Internet. C'è chi la chiama già Scienza 2.0.
Partiamo dalla pubblicazione e dalla discussione dei risultati delle ricerche scientifiche. In questo campo l'esempio più interessante di applicazione alla scienza del web 2.0 si chiama PLoS One (http://www.plosone.org), una rivista online appartenente alla famiglia di Public Library of Science. Su questa piattaforma i ricercatori possono pubblicare i loro articoli scientifici senza passare dal vaglio della "peer review", il classico controllo effettuato da esperti nominati dalla rivista. A valutare l'interesse, l'originalità e l'importanza di una ricerca è la comunità scientifica online: tutti gli scienziati che si accreditano possono commentare, correggere e discutere il lavoro dei colleghi, dando vita a un processo di rielaborazione continua degli articoli pubblicati. Gli autori infatti, a differenza di quello che accade su una «normale» rivista cartacea, possono modificare i loro lavori seguendo i consigli e le critiche del popolo della rete. Perfino Nature , una delle riviste scientifiche più prestigiose del mondo, sta sfruttando le risorse del web collaborativo. Con il suo Nature Preceedings, un sito in cui i ricercatori possono pubblicare le loro ricerche prima di proporle a una rivista, in modo da ricevere critiche e consigli dai colleghi sparsi per la rete. Oppure con Connotea (http://www.connotea.org), un servizio di "social tagging" pensato per etichettare e condividere i link agli articoli scientifici preferiti.
Ci sono poi casi in cui con la collaborazione si fa scienza, non la si comunica soltanto: un esempio è la nuova enciclopedia della vita, Encyclopedia of Life (http://www.eol.org), nata all'università di Harvard sotto l'egida del famoso evoluzionista Edward O. Wilson. La sua versione beta è già online per stimolare i ricercatori di tutto il mondo a collaborare alla stesura delle sue voci: una per ogni specie vivente della Terra. Un compito titanico, dato che stiamo parlando di 1,8 milioni di specie, quelle classificate finora. Per affrontarlo, Eol sfrutterà il metodo Wikipedia: tutta la comunità scientifica potrà partecipare compilando le voci, correggendole o aggiungendo nuove informazioni, mentre una commissione supervisionerà i contributi e garantirà l'autorevolezza del prodotto finale. Inoltre Eol sfrutta i database già esistenti, aggregando alle sue voci dati genomici, ambientali o tassonomici. E naturalmente tutti i contenuti saranno messi a disposizione di scienziati, insegnanti, studenti o semplici appassionati di biologia. Gratuitamente.
Anche l'Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato di recente una piattaforma online grazie alla quale tutti potranno collaborare per scrivere la nuova versione della International Classification of Diseases, la classificazione ufficiale di tutte le malattie. L'agenzia dell'Onu si propone di usare il sapere dei diretti interessati: medici, ricercatori, pazienti di tutto il mondo, che nei prossimi quattro anni potranno discutere, proporre e dialogare con gli esperti incaricati dall'Oms, aiutandoli a stilare la nuova classificazione.
Infatti una delle caratteristiche più importanti di queste aperture alla collaborazione diffusa è che in questo modo si mettono al lavoro migliaia di intelligenze, sfruttando saperi e persone che, anche se esterni o periferici rispetto alla scienza accademica ufficiale, hanno dimostrato di saper rivaleggiare con gli esperti: per esempio studenti o giovani ricercatori, nel caso di PLoS One, oppure associazioni di malati e medici di prima linea, nel caso dell'Oms.
In altri esempi di scienza collaborativa non sono le intelligenze umane a essere condivise, ma quelle dei computer. E' il caso del calcolo distribuito, usato tra gli altri da fightAIDS@Home (http://fightaidsathome.scripps.edu): basta scaricare un programma sul nostro pc per donare un po' di tempo macchina (quando non stiamo lavorando e il computer è inattivo) alla ricerca, in questo caso alla ricerca sull'AIDS. Il computer si connette ai server di fightAIDS@Home, scarica un po' di dati e comincia a elaborarli. Moltiplicato per le centinaia di migliaia di personal computer si tutto il globo che aderiscono a fightAIDS@Home, significa dar vita a uno dei supercomputer più potenti del mondo, ben più dei costosissimi e giganteschi megacalcolatori, e metterlo a lavorare gratuitamente su un progetto di ricerca biomedica.
E non è un caso se la maggior parte delle esperienze di scienza collaborativa vengono proprio dalla ricerca biomedica. E' in questo campo che i laboratori sono tanti, piccoli e sparsi per il mondo: l'attrezzatura per un laboratorio biotecnologico è infinitamente meno costosa di quella di un acceleratore di particelle, per esempio. Inoltre negli ultimi vent'anni gli interessi economici hanno moltiplicato le barriere alla comunicazione che impediscono la circolazione delle informazioni tra i biologi, come brevetti e copyright. Ma la natura stessa di queste forme di collaborazione le obbliga a fondarsi sulla condivisione libera dei dati. Del resto, negli ultimi anni sono esplose forme di pubblicazione dei dati scientifici che, appunto, sfruttano le nuove tecnologie informatiche per mettere a disposizione di chiunque, in modo rapido, comodo e gratuito, i risultati delle ricerche. Le riviste scientifiche e gli archivi "open access" sono indispensabili per la scienza collaborativa online, e i dati che contengono costituiscono il materiale grezzo sul quale si fonda la scienza 2.0.
Yochai Benkler del Berkman Center for Internet and Society di Harvard è l'autore di La ricchezza della Rete , uscito da pochi mesi per Egea edizioni, e uno dei massimi studiosi della «commons-based peer production» o produzione orizzontale basata sui beni comuni, costituita da processi collaborativi tra pari, non-gerarchici. Secondo Benkler la scienza «si adatterà alle strutture aperte, in rete, in diverse forme», magari «attraversando i tradizionali confini istituzionali per costruire a partire da contributi di diverse dimensioni apportati da tantissime persone». Benkler conferma che sono già numerosi gli esempi di «adozione di modelli di ricerca orizzontali in rete tipici della produzione sociale basata sui beni comuni». E anche se «siamo ancora lontani dal coinvolgere masse di persone nella ricerca scientifica», anche perché «siamo solo nelle fasi iniziali dell'adozione di queste pratiche, e non sappiamo se esse avranno successo», è certo che in tutto il mondo «sta crescendo la consapevolezza che la scienza verrà promossa dalla condivisione in forma aperta di innovazione e conoscenza».

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