Conflitti

Quell'uno per cento

Una testimonianza da Falluja, da un gruppo di volontari arrivati per portare scorte di medicinali all'ospedale della città.
Cliff Kindy
Fonte: CPTnet - Christian Peacemaker Team - 24 marzo 2005

Uno dei nostri ospiti di Falluja, Mohammed, ci ha detto, sulla strada per la città, "Avete il 99% di possibilità che non vi sia permesso di entrare a Falluja oggi". Cinque di noi, tra cui due membri del Muslim Peacemaker Team, due attivisti per i diritti umani del posto, e due amici iracheni si trovavano in una fabbrica poco fuori da Falluja, pronti ad entrare in città con il progetto di incoraggiare la ricostruzione.

Come ci ha detto Mohammed, le prospettive di riuscire ad entrare erano scarse; i soldati statunitensi avevano rispedito indietro alcuni rappresentanti del Ministero della Religione proprio quel giorno.

Uno degli Iracheni del nostro gruppo stava portando scorte di medicinali a Falluja. L'assalto statunitense che aveva devastato la città, lo scorso novembre, era iniziato con un attacco all'ospedale e alle cliniche. Alcuni credono che gli USA abbiano colpito proprio quegli obiettivi in quanto fonti di informazioni sulle perdite tra i civili nell'attacco dell'aprile 2004 a Falluja - informazioni che scatenarono la critica dell'opinione pubblica nei confronti dell'attacco.

I visitatori sono entrati senza difficoltà, forse perché portavano scorte di medicinali. I cinque membri del Christian Peacemaker Team (CPT) del nostro gruppo hanno spinto sedie a rotelle dal centro della città fino al ponte del fiume Eufrate, dove è permesso solo il transito pedonale per transitare in ospedale. Poi abbiamo visitato la sola clinica rimasta in città, che ospita 200 000 persone.

La città devastata si è mostrata ai nostri sguardi mentre ci spingevamo nelle varie zone. I negozi erano aperti, anche se molti sono ancora inutilizzabili a causa dei danni di novembre. Giornalisti indipendenti e le organizzazioni non governative (ONG) hanno riportato che oltre il 65% delle abitazioni di Falluja sono state distrutte o danneggiate così pesantemente da non essere abitabili. Un membro della squadra di ricostruzione della città ci ha detto che le forze di sicurezza statunitensi e irachene hanno attaccato trenta delle cinquanta moschee della città e distrutto la maggior parte delle infrastrutture elettriche e idriche.

Giunti in una moschea del luogo, il nostro gruppo ha sperimentato come sia possibile per elementi non Sunniti partecipare alla ricostruzione di Falluja. Lo sceicco ci ha detto: "Se venite ad aiutarci da Cristiani per mostrarci quanto sono buoni i Cristiani, non abbiamo bisogno del vostro aiuto. Se invece venite come esseri umani per condividere la nostra tragedia, siete i benvenuti".
Alla fine quattro famiglie numerose hanno accolto il nostro gruppo in una tendopoli in cui le famiglie erano tornate, abbandonando i campi per rifugiati fuori dalla città, per sentirsi "a casa". In ogni direzione, per quanto riuscissimo a vedere, quasi ogni abitazione era stata rasa al suolo dagli attacchi aerei e dai bulldozer.

Gli abitanti ci hanno detto: "Quando siamo andati via, le nostre case erano ancora in piedi e non c'erano combattenti della resistenza nella zona".

Uno sforzo di ricostruzione massiccia attende la popolazione di Falluja.
Qualcuno potrebbe dire che hanno il 99% di possibilità di fallire se sperano di poter rendere nuovamente vivibile la città. Noi crediamo che gli abitanti di Falluja siano quell'uno per cento. Porteranno a termine la ricostruzione.

Note: Tradotto da Chiara Manfrinato per www.peacelink.it
Il testo e' liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando le
fonti, l'autore e il traduttore.

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