Il libro al tramonto? Gli Usa discutono tra speranze e paure

Il direttore della rivista “Wired” ha lanciato la provocazione a partire dal progetto di Google di una grande biblioteca virtuale. Finito il supporto cartaceo che ne sarà dell’autore e del suo carisma?
19 settembre 2006
Leonardo Vilei
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

«In innumerevoli anonimi uffici nel mondo, migliaia di lavoratori chini su di uno scanner, circondati da libri polverosi in procinto di essere digitalizzati, stanno assemblando la libreria universale pagina per pagina. Il sogno è antico: riassumere in un solo luogo tutta la conoscenza, passata e presente. Tutti i libri, tutti i documenti, tutti le opere della mente, in tutte le lingue». Comincia così un articolo di Kevin Kelly (Scan this book), uno dei protagonisti più noti della rivoluzione di internet degli ultimi anni, comparso sul New York Times nel maggio di quest’anno e, naturalmente, in accordo con la sua etica della conoscenza, disponibile nella sua pagina web, http://www.kk.org.
Fondatore e direttore del magazine Wired, una delle prime riviste ad occuparsi degli scenari della rivoluzione digitale, Kelly è considerato un vero e proprio guru in materia e come già in altre occasioni il suo intervento non è passato inosservato, riaprendo uno dei dibattiti più interessanti di questi anni, quello cioè sulla proprietà intellettuale e sul concetto stesso di autore. L’archetipo della summa della conoscenza, la Biblioteca di Alessandria, rinasce e si manifesta in rete, secondo l’analisi, non priva di una certa retorica altisonante, che sempre caratterizza i suoi interventi, che Kelly fa del progetto intrapreso dal colosso della navigazione on-line Google. Nel dicembre del 2004 Google avviava infatti la scansione e la messa on-line del contenuto di cinque importanti biblioteche, da affiancare ad un’opzione di ricerca semplice ed immediata. La costruzione della biblioteca universale è così cominciata grazie alla disponibilità delle biblioteche delle Università del Michigan, di Harvard, di Stanford, di Oxford e della New York Public Library, per digitalizzare tutte o una parte delle loro raccolte e renderle disponibili per la ricerca su internet. Si affiancano, alle già citate biblioteche, tutti gli editori, le librerie o i singoli autori che stanno aderendo a “Partner Google Libri”, un programma on-line che consente di includere il contenuto delle proprie collane nei risultati principali delle ricerche di Google. Se il libro non è protetto da copyright ed è considerato di dominio pubblico è possibile sfogliarlo dall'inizio alla fine. Nel caso di libri ancora protetti da copyright, è invece possibile visualizzare solo alcune frasi. Per quanto riguarda i libri provenienti dalle case editrici, è infine possibile visualizzare un numero limitato di pagine. In tutti i casi vengono comunque forniti gli esatti riferimenti bibliografici, accanto agli indirizzi, fisici e on-line, delle biblioteche o delle librerie in cui è possibile localizzare il documento che si sta cercando.

Quanto descritto fino ad ora non desta certo scalpore, piuttosto meraviglia e soddisfazione per chi di ricerca vive o semplicemente si diletta. Identificare un’opera straniera in lingua originale, o che si stimava perduta, o fuori catalogo, e magari averla integralmente a disposizione, amplia di colpo le possibilità della ricerca e dell’investigazione. Ma il discorso di Kelly si spinge ben oltre e descrive l’Eden della conoscenza come il primo passo di una più importante trasformazione: «La tecnologia che ci porterà verso la fonte planetaria di tutto ciò che è stato scritto trasformerà anche, allo stesso tempo, la natura di ciò che adesso chiamiamo libro e delle biblioteche che attualmente lo contengono. La biblioteca universale e i suoi “libri” saranno altro rispetto a qualunque biblioteca o libro finora conosciuti».

Seguendo l’immaginario di Kelly la biblioteca universale finirà con l’includere tutto quanto proviene dalle doti intellettuali e artistiche degli esseri umani, siano essi quadri, fotografie, brani musicali, trasmissioni televisive, film o le stesse, infinite, pagine web realizzate in questi anni. Quando tutta questa conoscenza sarà contenuta in un i-pod, o, scrive Kelly, «probabilmente direttamente inserita nel nostro cervello», la frammentazione e la ricomposizione, secondo le esigenze e le attitudini di ognuno, saranno la norma, eliminando per sempre la distanza tra autori e fruitori. La relazione e la condivisione tra gli individui finirà in questo modo per soppiantare per sempre la proprietà intellettuale e il concetto di autore.

Questa eventualità ha suscitato un accalorato intervento (The end of authorship) dello scrittore statunitense John Updike, pubblicato sul Sundey Book Review, supplemento letterario del New York Times. L’intervento, già pronunciato in occasione della Fiera del Libro di Washington, è un’apologia della libreria tradizionale, «vero e proprio fortino di cultura e civilizzazione», e, naturalmente, riserva naturale protetta per gli autori. L’ottantenne scrittore della Pensilvanya teme che «le ripercussioni di questo paradiso dei frammenti che fluttuano in libertà provocheranno soltanto una ingannevole improvvisazione», in cui, privati dei punti di riferimento saldi i lettori si troveranno in sostanza più ignoranti, incapaci di sopperire all’assenza di gerarchia e di autorità. Più che un’evidenza anagrafica, la paura di Updike rivela quasi in modo paradigmatico l’infatuazione dell’autore, tendenzialmente maschio, per se stesso e per la propria opera. Con un tono paternalistico, minato dall’incalzare degli eventi, Updike teme che «secondo le tendenze attuali, presto gli autori saranno come madri supplenti, uteri in affitto» esposti «a un enorme flusso di parole praticamente infinito a cui si accederà per motore di ricerca e popolato da ingenti e promiscui frammenti di parole carenti di autorità riconosciuta».

Se gli autori, come indica l’etimologia della parola, sono coloro che fanno prosperare, aumentare, accrescere la conoscenza, tramite il proprio ingegno, una perdita di gerarchia e di autorità non dovrebbero comunque portare l’umanità verso la catastrofe. Si riconosce comunque nelle parole di Updike una sincera preoccupazione per i meccanismi di formazione della cultura e dell’identità personale, per le quali, fino ad ora, i libri ci avevano accompagnato svolgendo perfettamente la propria funzione. Fino ad ora, ma non da sempre, giacché l’era Gutenberg a sua volta mutò in profondità le forme di trasmissione della conoscenza e la sua circolazione.

I due interventi citati stanno riproponendo il dibattito che già quarant’ anni fa Umberto Eco sintetizzava nella sua fortunata formula degli apocalittici e degli integrati, con un Updike, da una parte, apocalittico da manuale, e il guru Kelly dall’altra sfrontatamente integrato. Diversi blog discutono in queste settimane della questione, evidenziando, al di là delle diverse posizioni espresse, come il blog stesso sia una delle forme più evidenti della ridefinizione del concetto di autore dei nostri giorni. In proposito, sul quotidiano spagnolo El Pais, un “autore tradizionale”, Enrique Vila-Matas, ha scritto con ironia: «In realtà il futuro digitale del libro è già scritto e non credo di aver partecipato alla sua scrittura, né prossimamente mi accingerò a farlo».

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