Film copiati e taroccati

L'arrivo dell'era digitale nel cinema modifica le tecniche di ripresa e i costi dei film. Ma sta emergendo un fenomeno nuovo: i film oltre a essere copiati ora vengono riveduti e corretti da «registi» improvvisati. Il caso della riproduzione del primo episodio di «Guerre stellari»
Franco Carlini

Con l'uscita del primo episodio di Guerre Stellari, Episode I: PhantomMenace, avvennero due cose interessanti riguardo al futuro del cinema nell'epoca digitale. La prima era la numerosa presenza di attori virtuali, per impersonare gli strani personaggi della saga: non più fantocci di pezza con uomini all'interno, ma attori «sintetici», con tutte le migliori espressioni facciali che le tecniche di animazione oggi permettono. Erano tali per esempio i personaggi del gangster Jabba e il razzista Jar Jar Binks La seconda novità, episodica, ma minacciosa, fu la comparsa di un'edizione riveduta e corretta. L'uso di attori virtuali è ormai corrente e nel recentissimo "I Robot" (esplicitamente ispirato alla famosa raccolta "Io robot" di Asimov), appena uscito nelle sale americane, essi compaiono in quantità industriale. Per le case produttrici la possibilità di lavorare direttamente al computer permette non solo di utilizzare dei personaggi non umani, ma anche di sostituire completamente le comparse umane in molte scene di massa. Non è irrealistico immaginare produzioni in cui il paesaggio sia completamente «falso» e dove in esso si muovano centinaia o migliaia di attori altrettanto artificiali, con un risparmio vistoso sia nella preparazione della location che nell'uso delle comparse. Molto meno realistica e certo discutibile è invece, almeno per ora, la possibilità di sostituire anche gli attori più importanti, se non addirittura, come alcuni hanno vagheggiato, di riportare sulle scene Marilyn o Clark Gable, attraverso dei loro avatar virtuali.

L'eventuale sostituzione degli umani con dei digitali ha già suscitato le proteste preventive delle associazioni di categoria che riecheggiano quelle messe in atto nei mesi scorsi a Broadway dai sindacati dei musicisti i quali cercano di contrastare l'uso della musica digitale registrata nei teatri, al posto delle orchestre vere.

Ma la storia più interessante, anche se apparentemente minore, è la seconda, quella relativa all'edizione riveduta e corretta. Nei primi mesi del 2001 dunque comparve in rete un Episode I: Phantom edition. Ce lo ricorda Vaidhyanathan nel suo recente libro («The anarchist in the library», Basic Books, 2004) dedicato al mondo del copyright e alla sua crisi. L'edizione «editata» e «fantasma» di Guerre Stellari I era più corta di 20 minuti di quella vera, guadagnandone in ritmo e compattezza. Molti dei tagli riguardavano proprio il personaggio razzista di Jar Jar e anche questo effettivamente era un bel miglioramento. In breve, sempre per circuiti sotterranei e amatoriali, le copie cominciarono a circolare, sia come cassette Vhs che come file scambiati in rete, attraverso il circuito Peer to Peer che usa il software Gnutella, diventando un vero fenomeno di culto. Accresciuto oltre a tutto dal fatto che l'autore dei tagli e delle modifiche rimase sempre segreto e misterioso.

Per scaricare l'intero film in formato Dvx occorrevano molte ore, trattandosi di qualcosa come settecento megabyte, ma come scrive Vaidhyanathan, lo scopo di chi lo scaricava non era tanto di procurarsi gratuitamente e abusivamente una copia originale dell'opera di Lucas, quanto di «vederne una versione migliore e celebrare quella rivoluzione anarchica che aveva permesso a un solitario `critico cinematografico' di prendere il controllo dei contenuti e connettersi con migliaia di altri appassionati che condividevano con lui la passione per la saga di Star Wars».

In sostanza in una storia del genere vediamo addensarsi molti elementi: 1) le tecnologie digitali mettono a disposizione degli autori di cinema strumenti versatili per efficacia e efficienza: si creano personaggi virtuali, si gira in digitale, si monta e manipola con facilità. Per le aziende del cinema ci sono delle opportunità da cogliere, e le vanno cogliendo;

2) le stesse tecnologie tuttavia sono disponibili anche a un pubblico più vasto: sono cadute molte barriere di costo e di facilità d'uso e questo permette a altri autori di creare opere originali, ma anche, come nel caso della Phantom edition, di alterare l'opera prima;

3) sia gli originali che le alterazioni vengono duplicati e distribuiti in rete in circuiti alternativi, pubblici o sotterranei.

In un quadro del genere Hollywood vorrebbe cogliere solo le opportunità per sé, contemporaneamente evitando i rischi. Le opportunità non stanno soltanto nei risparmi in fase di produzione, ma anche nei nuovi canali che si sono aperti. La battaglia di retroguardia che Hollywood condusse a suo tempo contro il videoregistratore, per sua fortuna venne persa. Allora, negli anni '80 le aziende del cinema sostennero che il Betamax della Sony (e poi ovviamente anche il Vhs) avrebbero distrutto l'intera industria del cinema, permettendo una troppo facile copiatura di quanto veniva immesso nelle reti televisive.

Una saggia sentenza delle Corte Suprema degli Stati Uniti diede loro torto, affermando un principio fondamentale, ovvero che la tecnologia dei certamente poteva essere usata anche per commettere degli illeciti (copie abusive, in violazione del copyright), ma che aveva bensì molti usi leciti e che dunque non poteva essere messi fuori legge. Grazie a quella sentenza il mercato delle videocassette ha potuto svilupparsi e a guadagnarci sono state soprattutto quelle stesse case cinematografiche che si opponevano. Quando si dice essere «cortomiranti».

La stessa assenza di prospettive, abbinata a una strenua e impossibile difesa dello stato di cose esistenti le major vanno mostrando a proposito delle tecnologie digitali e di rete, in perfetta reazionaria sintonia con quelle della musica. In realtà sanno benissimo che tutta la filiera dell'intrattenimento è già oggi squassata, ma sperano tuttavia di rinviare indefinitamente la resa dei conti con le tecnologie e con il loro stesso pubblico denunciando l'uso illegale che i loro clienti fanno delle opere legalmente acquistate.

Le più lungimiranti, tuttavia, hanno un altro progetto, ben più minaccioso: avendo ben capito che il copyright come è stato finora non regge più, per effetto del dilagare inarrestabile delle tecnologie, sembrano avere sostanzialmente deciso di non fare più ricorso ad esso e ai suoi strumenti legali. La strada scelta è un'altra: il copyright a tempo lo si vuole abolire, nel senso di renderlo eterno. Non serviranno più i tribunali ma saranno le tecnologie stesse, con i loro bollini elettronici incorporati nell'opera, a eternalizzare la loro proprietà sulle idee e sulla loro espressione.

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