Fermiamo la moria degli insetti
Viola Clausnitzer è una scienziata del Senckenberg Museum für Naturkunde di Görlitz. Insieme a 70 ricercatori internazionali, ha redatto il piano d’azione per la conservazione e il recupero degli insetti.
Signora Clausnitzer, lunedì è stata pubblicata la “road map per la conservazione e il recupero degli insetti”. Molte delle misure vengono già richieste da molto tempo. Perché allora c’è un nuovo piano di salvaguardia?
È ora di metterle in atto. Per costruire abitazioni e strade, in Germania ogni anno un’area grande quanto cento campi da calcio viene sigillata, ovvero asfaltata. A ciò si aggiunge la distruzione del paesaggio determinata dall’agricoltura industriale, dall’ampliamento delle superfici coltivate a causa di cui spariscono le siepi e i margini delle strade. Gli insetti hanno bisogno di questi habitat. Tutto ciò è noto, ma non ha mai sortito alcun effetto, giacché i gruppi d’interesse dell’agricoltura, dell’industria edile e chimica hanno fatto sì che tutto ciò non venisse adeguatamente reso pubblico. Il piano fa in modo che più persone mettano il dito nella piaga.
Crede che ora le misure verranno attuate?
La lobby non ha nessun interesse a modificare alcunché. I grandi gruppi come la BASF non vorranno lavorare in questa direzione. Lentamente, tuttavia, stiamo assistendo a un cambio di direzione, la pressione sui politici cresce. Io, però, non sono personalmente in grado di valutare a che velocità si stia spostando la barra.
Lei, tuttavia, è in grado di valutare se la moria degli insetti possa ancora essere fermata?
Sì. Possiamo ancora fermarne la diminuzione o perlomeno rallentarla. Ciò che non sappiamo è quanto tempo ci voglia per il loro recupero dopo l’attuazione delle misure. Ci sono ambiti che non conosciamo fino in fondo. Ecco perché occorrono più ricerche.
Se non dovessimo seguire il piano, quale scenario ci attende?
È difficile da valutare. Gli ecosistemi sono molto complessi. È complicato affermare cosa succede se si rimuove un solo tassello. Ma alcuni esiti li conosciamo già da altri Paesi. Nel Sud-est asiatico, per esempio, alcune piantagioni vanno già impollinate a mano, perché ci sono troppo pochi insetti.
È un pericolo che incombe anche sull’agricoltura tedesca?
Probabilmente sì. Notiamo una diminuzione soprattutto degli insetti volanti che si occupano dell’impollinazione. Si tratta di diversi tipi di api e vespe, ma anche di coleotteri. Forse lo avvertono già i frutticoltori. Alla moria degli insetti, tuttavia, spesso si sovrappongono gli eventi atmosferici. Se si verifica una gelata tardiva e il raccolto scarseggia, ciò non può essere fatto risalire a una causa o all’altra.
In che modo influiscono sugli insetti erbicidi come il glifosato?
Il glifosato è un erbicida e distrugge rapidamente e in modo assai efficiente piante e microrganismi. È un'intromissione nell’ecosistema che tramite le reti alimentari ha inoltre effetti su tutti gli altri esseri viventi, ovvero anche sugli insetti e gli uccelli. Si suppone, oltre a ciò, che animali, insetti e, forse, anche l’uomo assumano glifosato e che tale sostanza ne comprometta la salute.
Quanto tempo abbiamo ancora?
Le misure immediate devono essere attuate subito, quindi entro i prossimi cinque anni, affinché parecchie specie non vadano perse. Tra queste c'è la riduzione delle sostanze tossiche, ovvero dei pesticidi. Le misure a medio a termine, che sono l’oggetto principale della ricerca, sono pensate per i prossimi 20 anni. Di molte specie non sappiamo ancora perché si riducano o se fattori come la microplastica o la contaminazione da interferenti endocrini nelle acque svolgano qualche ruolo. Le misure a lungo termine oltrepassano questo arco temporale e in futuro devono diventare la norma, per esempio la creazione di programmi globali di monitoraggio.
Chi deve agire?
Occorre un’inversione di rotta drastica e in tutta l’Europa nella politica agricola. Non intendo puntare il dito contro singoli agricoltori e dire: “Sono loro i colpevoli”. È la politica che negli ultimi anni ha favorito soprattutto l’agricoltura industriale. La conseguenza è stata che sempre più piccole imprese hanno dovuto chiudere e soltanto le grandi sopravvivono. Dobbiamo cambiare direzione. A questo scopo, però, è necessario anche un profondo cambiamento sociale. Persone che mangiano meno carne e sono disposte a pagare di più. A quel punto, anche un’azienda con dieci o venti maiali riesce a sostentarsi.
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