Il caso dell'acciaieria della città inglese di Scunthorpe

Sulla decarbonizzazione del ciclo siderurgico

A Taranto sembra prevalere la tattica di rinviare il passaggio all’acciaio “verde” ad un lontano futuro, magari responsabilità di altri affidando alla vigente autorizzazione integrata ambientale dello stabilimento ILVA il proseguimento di un’attività siderurgica svantaggiosa, inquinante e funesta.
12 settembre 2025
Roberto Giua (chimico ambientale)
In riferimento al dichiarata volontà governativa di adeguamento e decarbonizzazione dello stabilimento siderurgico di Taranto, vale la pena di precisare quanto segue.
La costruzione di 3 forni elettrici ad arco consiste nell’edificazione di una acciaieria elettrica molto più grande di quelle già esistenti in Italia - il grande stabilimento Ori Martin di Brescia comprende, in effetti solo un forno ad arco.
I forni elettrici a Taranto dovrebbero prendere il posto dei convertitori – sei, tre nell’acciaieria uno e tre nell’acciaieria due – senza che, però, sia stato in qualche modo considerato l’aspetto delle fasi successive alla fusione dell’acciaio – che attualmente prevede trattamenti in siviera e colate continue, tutte svolte negli stessi capannoni o in zone attigue ai convertitori.
I forni elettrici EAF dovrebbero essere alimentati con rottami e con ferro preridotto, prodotto in impianti e con modalità assolutamente non definiti. E si dovrebbero, così, spegnere altiforni, cokerie, sinterizzazione (agglomerazione), oltre a parchi minerali e centrali elettriche (non essendoci più, così, gas combustibili prodotti dallo stabilimento), con giganteschi risvolti anche occupazionali. In paragone, vorrei citare un documento, facilmente reperibile in rete, datato 2 luglio 2025, che riguarda lo stabilimento siderurgico della British Steel di Scunthorpe e le “sfide economiche” per il passaggio all’acciaio “verde”.
Il documento delinea la configurazione dello stabilimento, assolutamente analoga, con una potenzialità un po’ inferiore, a quella dello stabilimento di Taranto. Individua la essenzialità dello stabilimento per la sicurezza nazionale e la sovranità industriale, essendo l’unico a ciclo integrale nel Regno Unito. E definisce la fondamentale criticità dell’assenza di minerale di ferro in loco (nel Regno Unito c’erano miniere, non più presenti attualmente, mentre in Italia questa condizione non è stata mai realizzata) il che rende competitiva la produzione in paesi che dispongono di minerali.
Con ciò, lo stabilimento di Scunthorpe è in costante perdita, e l’invecchiamento degli altiforni rappresenta un’ulteriore criticità, per la necessità di massicci investimenti – si parla di 400-950 milioni di sterline per forno, con un sostanziale impegno economico a fronte di ritorni incerti, dato in particolare il declino economico globale delle operazioni basate sugli altiforni.
Il documento indica quindi come passaggio per la decarbonizzazione della produzione dell’acciaio la tecnologia dei forni ad arco elettrico (EAF). Ciò, però, a fronte della condizione critica del costo dell’elettricità, essendo i forni EAF ad alto consumo di energia elettrica.
Il passaggio alla tecnologia EAF comporterebbe, sempre secondo il documento, un investimento di capitale stimato in 1,25 miliardi di sterline (1,45 miliardi di euro, per due convertitori ed una minore capacità produttiva), con un significativo rischio di esecuzione, considerata la difficile situazione finanziaria dell’impianto e il costo dell’elettricità.
La soluzione indicata dal documento consiste nel riposizionamento strategico dello stabilimento di Scunthorpe come attività di laminazione di semilavorati di acciaio “verde” prodotti con ciclo DRI a idrogeno verde e forni EAF in siti con energia elettrica da sorgenti rinnovabili a basso costo.
Eliminando, così, sia la problematica del reperimento dei minerali (e del loro costo) che dei sostanziali investimenti necessari per la conversione industriale della fusione dell’acciaio, che il costo dell’energia elettrica per l’alimentazione dei forni elettrici, che la necessità di un ciclo dell’acciaio senza produzione di emissioni di ossidi di carbonio. Lo stabilimento ILVA di Taranto
È abbastanza facile trovare delle analogie con la situazione di Taranto e dell’acciaio in Italia, delle criticità economiche e impiantistiche delle soluzioni prospettate e non – sottolineo – NON analizzate in nessun modo nel discutibile documento prodotto dal Ministero.
Bisogna, a questo punto, pensare: o che non siano stati coinvolti sinora, e non si comprende perché, tecnici competenti nel considerare i risvolti di una decarbonizzazione dell’acciaio italiano e tarantino, e quindi non si sia analizzata la convenienza economica, la solidità impiantistica, la proponibilità del passaggio, sic et simpliciter, alla tecnologia EAF e DRI, che appare così più uno slogan che una concretezza.
Oppure, che si sia presa una qualche decisione “strategica” a livello ministeriale, e che si siano poi incaricati o si incaricheranno dei tecnici compiacenti di confortare tale decisione di elementi scientifici e procedurali.
Oppure ancora, e appare più probabile, che il documento e il possibile seguito servano solo a rinviare, rinviare, rinviare il passaggio all’acciaio “verde” ad un lontano futuro, magari responsabilità di altri governanti e decisori, affidando alla vigente autorizzazione integrata ambientale dello stabilimento di Taranto il proseguimento di un’attività siderurgica svantaggiosa, inquinante e funesta.
Note: Per approfondimenti:

Fabrizio Bianchi
"Perché la decarbonizzazione dell'ex Ilva non sia solo una favola bella"

https://www.scienzainrete.it/articolo/perché-decarbonizzazione-dellex-ilva-non-sia-solo-favola-bella/fabrizio-bianchi/2025-09-04

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