La Conferenza ONU sul clima si terrà in Brasile dal 10 al 21 novembre

La COP30 ci chiama alla mobilitazione

Intanto Trump e i repubblicani non solo negano la crisi climatica ma minacciano gli Stati che scelgono la decarbonizzazione e impongono all’Europa massicci acquisti di combustibili fossili, con la leva dei dazi doganali.
7 novembre 2025
Redazione PeaceLink

La nuova conferenza ONU sul clima si terrà in Brasile

La prossima Conferenza ONU sul cambiamento climatico, la COP30, si svolgerà dal 10 al 21 novembre in Brasile, nella città amazzonica di Belém do Pará, e viene già definita dal presidente brasiliano Lula come la «Cop della verità».

Trent’anni la prima Conferenza delle Parti – quella che nel 1995 - inaugurò il processo negoziale della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Dopo trent'anni la verità è dura da accettare: le emissioni globali di gas serra non sono diminuite, ma sono aumentate di un terzo.

Cos’è la COP

La COP (Conference of the Parties) è il vertice annuale in cui i Paesi firmatari della Convenzione ONU sul clima si riuniscono per decidere come contrastare il riscaldamento globale. È in queste sedi che si definiscono gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni, i fondi per i Paesi più vulnerabili e gli accordi internazionali, come quello di Parigi del 2015, che fissava l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C, cercando di limitarsi a 1,5°C.

Ma quell’obiettivo oggi appare fallito. Secondo i dati più recenti, il superamento della soglia di 1,5°C sembrerebbe ormai inevitabile. Lo ha ammesso con toni drammatici il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, durante un intervento a Belém:

«Abbiamo fallito», ha detto, esortando i governi a non «rimanere prigionieri degli interessi dell’industria fossile».

Fatalismo e silenzio mediatico

Eppure, nonostante la gravità della situazione, la COP30 rischia di passare quasi in secondo piano. I grandi media ne parlano "quanto basta", presi da crisi geopolitiche, guerre e scandali. C’è una sorta di rassegnazione collettiva, un fatalismo climatico che ci sta anestetizzando.
Eppure, nulla è più urgente del clima: da ciò che si decide oggi dipende la sopravvivenza delle prossime generazioni.

L’impegno dell’Italia scritto nella Costituzione

Nel 2022, l’Italia ha introdotto un’importante novità nella Costituzione, aggiungendo un comma all’articolo 9, che ora recita:

«La Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni».
È un principio che impegna il nostro Paese non solo a proteggere il territorio, ma anche a farsi parte attiva nei negoziati internazionali per ridurre le emissioni e accelerare la transizione ecologica.

Gli Stati Uniti e la controffensiva fossile

Intanto, sul piano geopolitico, il presidente Donald Trump, tornato alla Casa Bianca, ha portato nuovamente gli Stati Uniti fuori dall’Accordo di Parigi, smantellando gran parte delle politiche climatiche introdotte dall’amministrazione precedente.
La sua linea è chiara: rilanciare la produzione di petrolio, gas e carbone, nonostante siano i principali responsabili dell’effetto serra. Trump e i repubblicani non si limitano a questo: minacciano gli Stati che scelgono la decarbonizzazione, e impongono all’Europa massicci acquisti di combustibili fossili, con la leva dei dazi doganali.

La COP della verità

La COP30, ospitata nel cuore dell’Amazzonia, sarà dunque un banco di prova decisivo. O sarà la conferenza del risveglio, o quella del fallimento definitivo.
Lula ha voluto che si svolgesse lì, dove la foresta amazzonica – polmone del pianeta – viene quotidianamente devastata da incendi e deforestazione. Una scelta simbolica, ma anche un monito: non ci sarà più tempo per rinvii e mezze misure.

La “Cop della verità” ci mette davanti a una domanda essenziale: vogliamo davvero porre in salvo il Pianeta o preferiamo continuare a convivere con la catastrofe, finché non sarà troppo tardi?

La COP30 ci chiama alla mobilitazione.

È tempo che la società civile si riprenda il suo ruolo, che le associazioni, i movimenti, le scuole, le comunità locali e i media indipendenti facciano sentire la propria voce.

Perché i governi non si muoveranno se non se non percepiranno la pressione di un’opinione pubblica vigile e informata.

Non bastano i tweet dei leader: serve una mobilitazione globale dal basso, capillare, che attraversi reti sociali, media alternativi, gruppi ambientalisti, collettivi studenteschi, podcast indipendenti, blog, radio.

Ogni spazio di comunicazione sociale deve diventare uno spazio di resistenza climatica.
Ogni parola, ogni immagine, ogni storia può contribuire a risvegliare la consapevolezza, a rompere il muro dell’indifferenza e del fatalismo.


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