Latina

Condannati all’ergastolo tutti i cinque responsabili della desaparición di tre cittadini italiani durante la dittatura argentina

Dall’Italia cinque ergastoli per cinque genocidi argentini

I condannati erano alti ufficiali che operavano all'ESMA. La tristemente famosa scuola superiore dell'esercito argentino
15 marzo 2007
Flaviano Bianchini

La II Corte D’Assise di Roma ha chiuso oggi, nell’aula bunker di Rebibbia, il processo ESMA (Escuela Superior de Mecanica de La Armada, la scuola superiore della Marina) con questa sentenza: “Per avere, agendo di concerto ed in concorso tra loro e con altre persone non identificate, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, cagionato la morte, dopo averne disposto od operato il sequestro, e dopo averli sottoposti a tortura, di Angelamaria Aieta e di Giovanni e Susanna Pegoraro. Con le aggravanti di aver commesso i fatti con premeditazione, ed adoperando sevizie ed agendo con crudeltà verso le persone”.
Sono stati condannati il capitano Jorge Eduardo “El Tigre” Acosta, comandante del Servizio Informazioni e capo carismatico dell’ESMA, Alfredo Astiz, comandante di uno dei gruppi di sequestratori e torturatori, il capitano Jorge Raúl Vildoza, comandante dell’ESMA, il prefetto navale Héctor Febres, responsabile del destino dei bambini nati dalle prigioniere sequestrate in stato di gravidanza e il contrammiraglio Jorge Vañek, comandante delle operazioni navali.
Mdres de Plaza Mayo Quadro di Carmen D'Elia La notizia della condanna è stata ricevuta con un applauso in Argentina. Nella sede del Ministero dell’Educazione era stata adibita una videoconferenza con l’aula bunker di Rebibbia. A Roma una delle leader di Plaza Mayo, Estela de Carlotto. A Buenos Aires il Ministro dell’educazione Daniel Filmus, il segretario della Procura dei Diritti Umani Luis Eduardo Duhalde e alcuni responsabili delle madri e delle nonne di Plaza Mayo.
“Mentre molti nel paese cercavano di dimenticare, altri lottavano per la memoria e la giustizia, come le madri e le nonne di Plaza Mayo” sottolineò il Ministro Filmus dopo aver ringraziato la giustizia italiana per il compito fatto.
Nessuno degli imputati era presente mentre fu emessa la sentenza dato che tutti – eccetto il latitante Vildoza – sono sotto arresto per il maxiprocesso all’ESMA con accuse di violazioni ai diritti umani commessi in questo emblematico centro di detenzione.
Angela Maria Aieta fu sequestrata nel ‘76 perché lottava per i diritti umani e aveva anche la “colpa” di essere madre di Dante Gullo, leader della Gioventù peronista. I militari fecero irruzione in casa sua e la portarono all’ESMA. Dopo mesi di prigionia e torture fu gettata da un aereo nell’oceano, in uno dei tanti voli della morte che servivano a liberarsi dei “prigionieri”.
Susanna Pegoraro fu sequestrata in un bar di Buenos Aires. Era incinta e aveva 21 anni. Il padre, Giovanni, fu rapito solo perché aveva letto la targa dell’automobile che si stava portando via sua figlia. Giovanni Pegoraro fu ucciso poco tempo dopo il sequestro. Era “inutile”. Ai militari “non serviva”.
A Susanna, combattente contro la dittatura, fu concesso di vivere. Fino al parto. Dieci giorni dopo, la sua bambina fu presa dalla famiglia di un militare e Susanna fu uccisa.
Nel corso del processo, testimonianza dopo testimonianza, è emerso anche “l’assordante silenzio” dell’Italia e del Vaticano. Tanti sopravvissuti hanno chiesto al nostro Paese e alla Chiesa un aiuto che non è mai arrivato. Come il figlio maggiore di Angela Maria Aieta, che dopo essere riuscito ad arrivare, in modo rocambolesco, al Parlamento italiano è stato fatto sparire. O come le lettere dei vescovi argentini inviate a Roma. Si dovette aspettare il 29 settembre del ‘79 per sentire pronunciare, da papa Woityla, la parola desaparecidos.
E intanto l’ESMA continuava a mietere vittime. Nei 92 mesi di attività passarono da lì più di 5000 persone, ne uscirono vive non più di 300. Centinaia di bambini nacquero sui pavimenti di luride celle e vennero strappati dalle braccia delle madri per essere venduti o regalati in cambio di favori politici. Se i cadaveri da smaltire superavano il limite venivano bruciati in grandi fosse comuni vicino al campo di calcio. Il personale che non eseguiva gli ordini veniva eliminato senza tanti complimenti.
Responsabile del campo era il contrammiraglio Rubén Jacinto Chamorro, a capo della sezione dei servizi segreti c’era “El Tigre” Acosta che insieme a Chamorro e all’ammiraglio Massera, Comandante in Capo della Marina e compagno di tennis del Nunzio Apostolico Pio Laghi, si specializzarono nel traffico di bambini e soprattutto di mobili “ereditati” dalle case dei desaparecidos e arrivarono a fondare un’agenzia di vendita in un ricco quartiere di Buenos Aires.
L’ESMA era un edificio di tre piani con un grande sotterraneo dove si trovavano le sale di tortura insonorizzate e dotate di sofisticate apparecchiature per la registrazione audio e video degli interrogatori. Per raggiungerle si percorreva un corridoio contrassegnato dalla scritta “Via della felicità”.
La scuola diventò un modello per tutte le dittature latinoamericane; nel febbraio 1979 vi organizzarono addirittura un seminario di “lotta antisovversiva” al quale parteciparono militari e poliziotti provenienti dall’Uruguay, dal Paraguay, dalla Bolivia, dal Brasile, da El Salvador, dal Perù e dal Guatemala.
L’ESMA fu solo uno dei circa 340 centri di detenzione argentini e chiuse nel novembre del 1983 poco prima del passaggio dell’Argentina alla democrazia. Ma resta il simbolo dell’orrore di una dittatura che per anni, con il benestare degli Stati Uniti, la complicità di Stati come il nostro e una imprescindibile morale cattolica appoggiata dal Vaticano, si è resa responsabile di più di 30000 desaparecidos dando vita a una delle pagine più oscure della storia del continente e del mondo intero.

Note: Letture FORTEMENTE consigliate sul tema:
Massimo Carlotto, Le irregolari. Edizioni e/o.

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